Pubblicato: Mar, 4 Lug , 2023

se il conflitto è interno al CSM: Davigo condannato, Ardita parte civile

Piercamillo Davigo condannato in primo grado per i verbali di Amara, secondo il tribunale avrebbe smarrito “la postura istituzionale” agendo da carbonaro

L’ex magistrato, Piercamillo Davigo, è stato condannato in primo grado dal tribunale di Brescia ad un anno e tre mesi per rivelazione del segreto d’ufficio, oltre al risarcimento di 20mila euro al collega Sebastiano Ardita, ora procuratore aggiunto a Messina. I fatti per i quali Davigo è stato condannato in primo grado sono particolarmente gravi, ossia aver divulgato notizie coperte dal segreto d’ufficio. Ha diffuso i verbali segreti in cui l’avvocato dell’Eni Piero Amara avrebbe ricostruito tra il 2019 ed il 2020 i movimenti di circa 70 tra poliziotti, magistrati, funzionari dello stato, imprenditori, avvocati, banchieri, alti prelati vaticani, generali dei carabinieri e guardia di finanza. Secondo Amara, tutti sarebbero riuniti in un gruppo massonico. Si tratta del caso dei verbali sulla presunta Loggia Ungheria.

Sembra che il pm di Milano, Paolo Storari, ritenesse che non venissero indagate e approfondite dalla procura le dichiarazioni rese dall’ex consulente esterno di Eni (già condannato per corruzione in atti giudiziari) . Una convinzione che lo portò a contattare l’allora consigliere del Csm Davigo per denunciare l’inerzia dell’ufficio governato da Francesco Greco (archiviato). L’accusa per Davigo è di aver consegnato a varie persone copie dei verbali d’interrogatorio in cui il faccendiere Amara riferiva dell’esistenza della presunta loggia massonica. Le presunte rivelazioni di Amara hanno portato uno sconquasso senza precedenti nella procura di Milano, tra fughe di notizie, veleni e il processo a Brescia.

Davigo, magistrato del pool mani pulite e poi per dieci anni giudice di cassazione, a fine carriera anche membro del Consiglio Superiore della Magistratura, avrebbe scelto “modalità carbonare”, vie informali, perchè una denuncia avrebbe fatto conoscere il contenuto dei verbali segreti anche ai due componenti del Csm indicati da Amara come appartenenti alla loggia Ungheria.

Tra i presunti membri della loggia erano indicati nomi di grande rilievo, tra cui anche il magistrato Sebastiano Ardita (insieme a quello di un altro ex consigliere Csm). Secondo Ardita, però, Davigo aveva capito che le dichiarazioni erano false, prive di corrispondenza. Come capo della loggia Ungheria sarebbe stato indicato Gianni Tinebra, un magistrato siciliano, il quale tuttavia sembra distante da Ardita per diversi motivi. La vicenda è, però, ancora più complessa: secondo alcuni vi sarebbe stato un tentativo di golpe e condizionamento ai danni del Consiglio superiore della magistratura, in cui il consigliere Ardita sarebbe stato un ostacolo da eliminare, screditandolo.

Davigo agì, secondo la pubblica accusa, fuori dalla procedura formale descritta in due circolari e invece di impedire la diffusione di quegli atti svelò a una decina di persone quelle informazioni rese dal controverso Amara – sulla cui credibilità più procure si sono trovate a discutere -, coinvolgendo Ardita.

I giudici di Brescia scrivono che le “modalità carbonare” appaiono sintomatiche dello smarrimento di una postura istituzionale.

Dal processo sembra emergere un quadro storico divergente da quello illustrato; l’allora procuratore di Milano, Francesco Greco, avrebbe scelto una strategia investigativa silente e riservata a fronte di un tema delicato da approfondire, anche al fine di evitare ricadute pregiudizievoli ai soggetti coinvolti rispetto a notizie di reato deboli o addirittura strumentali. Secondo i giudici bresciani, sarebbe stato Davigo ad indurre Storari a compiere atti extra ordinem, come la consegna della copia di verbali secretati. Storari è stato assolto, per aver riposto fiducia in un soggetto qualificato che lo avrebbe indotto in errore nell’interpretazione delle norme che regolano la trasmissione degli atti dalla procura al csm. La priorità sarebbe stata, infatti, quella di informare la procura di Milano. In nessun caso si giustifica la circolazione di atti riservati.

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