Pubblicato: sab, 21 Dic , 2013

Roma, incontro dei testimoni di giustizia abbandonati dallo Stato

Chiedono che gli venga restituita la dignità e data maggiore tutela per vivere una vita il più possibile “normale”. «Non siamo eroi, ma cittadini onesti»
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Ignazio Cutrò

Si sono riuniti ieri mattina a Roma, nella sede della Federazione Nazionale Stampa Italiana, per denunciare l’abbandono da parte dello Stato e «per dare finalmente voce ai testimoni di giustizia, circa 90 in Italia, che hanno denunciato le mafie e sono stati costretti a lasciare per sempre la propria terra d’origine, a trasferirsi in luoghi segreti, rinunciando alla propria vita». L’incontro-dibattito è stato organizzato dall’Associazione Nazionale Testimoni di Giustizia e promosso dallo stesso sindacato dei giornalisti Fnsi.

«Ci sentiamo in pericolo, siamo stati affamati da parte dello Stato», affermano alcuni dei testimoni che hanno raggiunto la Capitale accompagnati da figli e familiari e che vivono sotto protezione per esser stati dei cittadini onesti in luoghi dove l’omertà e la sottomissione alla criminalità organizzata trovano terreno fertile.

Il loro, è un dramma senza fine e che passa spesso sotto il silenzio dei media e soprattutto dell’indifferenza di quei politici che dovrebbero impegnarsi nell’adottare misure di protezione adeguate alla loro tutela. Quelle attuali, infatti, non bastano né nella località segreta e neppure in quella di origine, a causa della ridotta disponibilità di mezzi e uomini. I testimoni di giustizia, figura introdotta nell’ordinamento giuridico nel 2001, vivono come dei prigionieri in patria, esuli costantemente esposti a possibili vendette criminali.

Quello che desiderano e meritano, in fondo, è di vivere una vita il più possibile “normale”. A Roma hanno raccontato dei loro grandi problemi quotidiani: da quelli connessi al cambio delle generalità a quelli per il reinserimento nel contesto socio-lavorativo. «Siamo trattati come pratiche, ma siamo esseri umani»: è il loro grido di dolore con il quale chiedono di avere assicurati per loro e per i propri familiari i diritti basilari sanciti dalla normativa, ovvero: il diritto alla sicurezza, alla casa, al lavoro, all’assistenza sanitaria e psicologica, all’istruzione per i propri figli.

All’incontro hanno partecipato Rosy Bindi, presidente della Commissione nazionale Antimafia; Filippo Bubbico, viceministro dell’Interno; Don Luigi Ciotti, presidente di “Libera”; Gianpiero D’Alia, ministro per la Pubblica Amministrazione e la Semplificazione; Giuseppe Lumia, membro della Commissione parlamentare antimafia; e diversi testimoni di giustizia, fra i quali: l’imprenditore edile di Bivona Ignazio Cutrò, presidente dell’Associazione nazionale testimoni di giustizia, che nel 1999 decise di ribellarsi alla logica del ricatto mafioso denunciando chi voleva impedirgli di lavorare onestamente e da uomo libero; Giuseppe Carini, testimone chiave contro gli assassini di padre Pino Puglisi; e Piera Aiello, che iniziò a collaborare con polizia e magistratura (in primis Paolo Borsellino) dopo aver assistito all’omicidio del marito e denunciato i suoi due assassini.

Hanno chiesto risposte ai referenti politici e istituzionali presenti su quello che è stato fatto e su ciò che resta da fare per restituire loro la dignità che gli è stata tolta e incoraggiare altri cittadini a seguirli sulla strada della legalità. Ci tengono a rivendicare la loro scelta, «non un atto di eroismo, ma quello che dovrebbe fare ogni italiano onesto», spiega Ignazio Cutrò, che non ha mancato di ringraziare gli “angeli” che lo seguono ovunque, ovvero quei carabinieri che ogni giorno, con lui, rischiano la vita. Ha spiegato la differenza tra loro e i collaboratori di giustizia «noi non siamo mafiosi che si sono pentiti, siamo imprenditori che hanno detto no al pizzo, testimoni oculari di delitti, cittadini su cui pende una taglia». «Il programma di protezione deve tener conto della storia delle persone e concordarlo con loro»  – ha spiegato don Ciotti nel suo intervento, chiedendo alla politica di intervenire sulla normativa che troppo spesso genera confusione tra collaboratori e testimoni, anche sul piano organizzativo e della gestione.  Aspetto sul quale si è soffermato lo stesso Cutrò: « Noi non siamo mafiosi che si sono pentiti, siamo imprenditori che hanno detto No al pizzo, testimoni oculari di delitti, cittadini su cui pende una taglia». «Serve assistenza psicologica sia al testimone che alla famiglia, si pensi solo al mutamento di generalità», ha poi concluso il presidente di Libera.

«I testimoni di giustizia sono un patrimonio inestimabile per sconfiggere la mafia, se c’è la possibilità di sconfiggerla bisogna che si moltiplichino per cento, per mille. È inaccettabile che subiscano violenza due volte: una dalla mafia e dalla criminalità, l’altra dallo Stato», ha dichiarato Rosy Bindi, promettendo di chiedere al Governo l’impegno che finora è venuto a mancare su questa importantissima questione. Le fa eco Bubbico: «Bisogna riorganizzare il sistema, stabilire regole trasparenti e modalità operative condivise ed efficaci per tutelare la sicurezza dei testimoni e contribuire a migliorare la qualità della loro vita, segnata da pesanti disagi, derivanti dalla loro testimonianza di cittadinanza». Il ministro D’Alia si è invece soffermato sul Decreto 101, approvato recentemente dal Consiglio dei ministri e che prevede l’assunzione obbligatoria dei testimoni di giustizia nella Pubblica Amministrazione. «Stiamo lavorando per dare attuazione alla norma. Dopo le vacanze natalizie, già a gennaio, potremmo avere un testo definitivo. È un segnale concreto di solidarietà e vicinanza a chi ha cambiato la propria vita per aiutare lo Stato nella sua lotta alla criminalità. Ma bisogna ancora migliorare la quantità e la qualità dei servizi a sostegno di chi aiuta lo Stato Abbiamo fatto le cose importanti che era giusto fare, anche perché, voglio ricordare, che sono persone che non hanno commesso reati».

La norma sulle assunzioni dei testimoni di giustizia sarà estesa, secondo quanto detto da D’Alia, a tutti coloro che dal 1991 si trovano in situazioni simili. «Ogni posizione – ha però specificato – sarà esaminata con attenzione per evitare abusi. Comunque ci confronteremo con le associazioni». Il ministro ha infine voluto sottolineare che il provvedimento è a costo zero. «La Pubblica Amministrazione – ha detto – ha l’obbligo di assumere una quota di personale appartenente a diverse categorie protette e i testimoni di giustizia devono essere considerati una di queste».

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