Pubblicato: mer, 5 Mar , 2014

La Commissione Antimafia incontra i pm che indagano sulla Trattativa

Intenso faccia a faccia con i rappresentanti della Scorta civica che, da mesi, manifesta a sostegno dei magistrati minacciati di morte
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(foto STUDIOCAMERA)

La Commissione Parlamentare Antimafia ha incontrato lunedì pomeriggio alla Prefettura di Palermo i pm della Procura palermitana che indagano sulla trattativa fra Cosa nostra e pezzi deviati dello Stato. «Sentiamo la presenza dello Stato nel senso che per la nostra sicurezza si è fatto molto. Però assistiamo a degli attacchi nei confronti della nostra attività e, soprattutto, dell’impianto accusatorio del processo per la trattativa che riteniamo immotivati», ha dichiarato il sostituto procuratore Nino Di Matteo. «Sarebbe bene che, chi parla, avesse conoscenza degli atti processuali e rispetto per le decisioni che già un gup ha preso rinviando a giudizio gli imputati. Abbiamo intenzione di dimostrare la fondatezza della nostra ipotesi di accusa». Non è difficile intravedere nelle parole del magistrato oggetto di continue minacce di morte ormai da mesi un riferimento a quanto riportato dalla Direzione nazionale antimafia nella sua relazione semestrale, in cui non vengono risparmiate dure critiche all’impianto accusatorio del processo trattativa. «Noi – ha aggiunto ancora Di Matteo – abbiamo uno svantaggio rispetto agli altri, che non possiamo intervenire nel dibattito pubblico sulla fondatezza della nostra tesi giuridica che portiamo avanti in ambito processuale. Ciascuno ha diritto di criticare, ma sarebbe bene e opportuno se lo facesse conoscendo tutti gli atti e rispettando le decisioni dei giudici, dal gup che ha rinviato a giudizio gli imputati alla Corte d’assise che ha deciso sulle questioni poste dalle difese, respingendole, e ha accolto le nostre richieste di prova. Ci sembra che da parte di molti si intervenga un po’ superficialmente cercando di demolire un impianto accusatorio». In merito alle recenti critiche rivolte dalla Dna al processo sulla trattativa è intervenuto anche il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo, definendole «non pertinenti», ma dichiarandosi comunque soddisfatto dell’interessamento mostrato dallo Stato circa i problemi relativi alla sicurezza dei magistrati.

In serata sono state ascoltate alcune associazioni palermitane unite nella lotta alla mafia. Il Centro Studi Pio La Torre, la Fondazione Chinnici, Libera Coordinamento Sicilia, il Centro di accoglienza Padre Nostro e Sos Impresa hanno presentato un documento unitario attraverso il quale chiedono che la Commissione avvii, come già avvenne nel 1976 dando vita alla prima legge antimafia, un’indagine sul territorio al fine di «esplorare e approfondire il volto delle mafie contemporanee» e, di conseguenza, attuare una concreta repressione alla criminalità organizzata, tramite l’introduzione, per esempio, di norme contro l’autoriciclaggio e il falso in bilancio. Quello che chiedono le associazioni è però soprattutto «di sospendere la candidabilità di coloro che sono stati rinviati a giudizio per reati di mafia, di corruzione e contro la pubblica amministrazione». «Il semestre italiano presieduto dall’Italia – è l’auspicio che si legge nel documento – sarà un’occasione da non perdere. […] Il Governo italiano avrà la grande responsabilità di far pesare la sua più lunga esperienza di legislazione antimafia, sollecitando le emanazioni di precise direttive comunitarie, la creazione di coordinamenti sovranazionali della giustizia, l’adozione di misure di prevenzione nel sistema finanziario, educativo e sociale».

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La Scorta Civica davanti la Prefettura di Palermo

All’esterno della Prefettura un presidio da parte dei cittadini e attivisti della Scorta civica ha resistito, nonostante la pioggia e il freddo, dalle 16 fino ad oltre le 21, perché si mantenga costantemente alta l’attenzione sui magistrati minacciati. Chiedono maggiore protezione da parte dello Stato e, in particolare, vogliono sapere il motivo per il quale ad oggi non è stato ancora messo a disposizione degli agenti di scorta di Nino Di Matteo il Bomb Jammer, dato al contrario come già disposto dal ministro dell’Interno Angelino Alfano lo scorso 3 dicembre davanti ai giornalisti e ancora prima in un colloquio privato con Salvatore Borsellino. «Dopo tre mesi non si ha ancora notizia concreta di ciò, mentre una nuova lettera, indirizzata a Riina a firma “falange armata”, nell’intimare al boss di tacere lo rincuora dicendo “per il resto ci pensiamo noi”», scrivono i rappresentanti della simbolica Scorta civica nel documento-appello letto da due loro rappresentanti davanti alla Commissione. Si tratta di Simone Cappellani, di Agende Rosse, e Giorgio Bongiovanni, direttore di Antimafia Duemila. «Noi riteniamo, al di là dei proclami sui giornali, che lo Stato possa fare di più per garantire la sicurezza dei magistrati, a partire dall’utilizzo di tutti gli strumenti oggi disponibili per scongiurare il pericolo di attentato come ad esempio il dispositivo anti-bomba denominato “Bomb Jammer”. Sappiamo, da fonti non ufficiali, che esiste una versione di questo dispositivo di ultima generazione che riduce al minimo i rischi per la salute, versione attualmente usata privatamente da diverse personalità. Noi cittadini siamo preoccupati e ci chiediamo se, nel diritto alla salute che garantisce la nostra Costituzione rientri anche il diritto per il dottor Di Matteo, per gli uomini che valorosamente gli fanno da scorta, per i cittadini, amici, colleghi e bambini che potrebbero rimanere coinvolti nell’ennesima e tragica strage, il diritto di non essere fatti a pezzi da una bomba».

Bongiovanni ha ribadito al presidente Bindi che la Commissione Parlamentare Antimafia ha un’occasione unica nella storia: «Intanto ha potere d’indagine parimenti alla magistratura, fatta eccezione per gli arresti. Non può arrestare, però può interrogare, può indagare, può fare colloqui investigativi. E quindi questa occasione non se la devono lasciare sfuggire, perché per la prima volta nella storia a Palermo una serie di giudici indaga sui rapporti tra mafia e politica». Il riferimento è al processo sulla trattativa che, al banco degli imputati, vede non solo alcuni dei boss più potenti della mafia, ma anche rappresentanti delle Istituzioni e generali dei Carabinieri. «Noi – ha aggiunto – non possiamo aspettarci un’altra strage. Dovete avere il coraggio di compiere indagini a 360° sui rapporti tra mafia e politica, sui quali i cittadini cominciano a credere di più. La stampa non ne parla mai, ma sarà costretta a parlarne se voi compirete un atto di coraggio e indagherete su uomini politici e personaggi dei Servizi segreti che hanno avuto rapporti con la mafia. È logico che, se lo farete, gli stessi cittadini che oggi manifestano per non far sentire meno soli i magistrati, esulteranno e avranno più fiducia in voi».

E ancora sul dispositivo in grado di disattivare gli impulsi dei telecomandi per eventuali congegni esplosivi: «La Commissione deve indagare e pretendere di sapere dai Servizi e dalle Forze dell’Ordine che proteggono dal Capo dello Stato fino all’ultimo dei ministri, se qualcuno di loro abbia o meno a disposizione il Bomb Jammer. Se così fosse, devono dirci perché non sia stato dato anche al dottor Di Matteo e alla sua scorta. Sappiamo da fonti non ufficiali che esiste una versione di questo dispositivo di ultima generazione che riduce al minimo i rischi per la salute, versione attualmente usata privatamente da diverse personalità. Noi cittadini siamo preoccupati e ci chiediamo se, nel diritto alla salute che garantisce la nostra Costituzione rientri anche il diritto per il dottor Di Matteo, per gli uomini che valorosamente gli fanno da scorta, per i cittadini, amici, colleghi e bambini che potrebbero rimanere coinvolti nell’ennesima e tragica strage, il diritto di non essere fatti a pezzi da una bomba».

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