Pubblicato: dom, 19 Apr , 2015

Genova per noi…..

Sono passati 14 anni ed ancora non riesco a sopportare immagini  che raccontano di quel maledetto luglio genovese senza stare male.

Ho comprato libri fotografici, numerosi DWD che raccontavano la storia di quei giorni, senza mai riuscire a guardarne solo uno.
Ogni volta che c’era un reportage in TV ci riprovavo, ma come apparivano le prime foto o i primi filmati mi assalivano la nausea e la rabbia , violente e dolorose.
Così come mi è rimasta la sensazione di angoscia e paura quando sento sopra la testa il rumore di un elicottero che si avvicina. Pensavo stesse passando ed invece le notizie di questi giorni mi hanno riscatenato tutti i pensieri ed ho ricominciato  a raccontare di nuovo a tutti quella storia bastarda….

L’idea di partecipare alla manifestazione di sabato 21 luglio 2001 era nata all’interno di una giunta comunale di cui facevo parte,  lì mi ero convinto che le istituzioni democratiche e repubblicane dovevano essere in piazza, con quella piazza.
Dalla provincia di Arezzo sarebbero partiti due pulmann pieni di giovani, donne, ragazzi, anziani, una comunit‡ vera e solidale, impegnata e motivata a protestare pacificamente.
Il venerdì però arrivò la notizia della morte di un giovane, Carlo Giuliani, e nonostante le prime informazioni assolutamente sballate, si capii subito che quel ragazzo era stato ucciso dai carabinieri durante violenti scontri, e che  era solo l’inizio.
Cercammo di decidere velocemente cosa era meglio fare ed alla fine decidemmo che dovevamo comunque andare, lo dovevamo a quel ragazzo ma soprattutto a noi, perchè rinunciare sarebbe stato una sconfitta in tutto ciò cui credevamo.

La situazione era tesa e la preoccupazione altissima: il mio sindaco mi disse che non era il caso di portare il gonfalone e, col senno di poi, quello fu un errore grandissimo, perchè i gonfaloni per primi avrebbero dovuto proteggere i manifestanti; mia madre  mi telefonò dal mare pregandomi di non andare e alla mia determinazione corrispose il suo silenzio assoluto, offeso e preoccupato, per oltre un mese da quel giorno.
Ma nessuno poteva immaginare cosa sarebbe successo.

Sabato 21  alle ore 11 il pulman ci fece scendere a Genova Quarto, da dove partiva l’enorme corteo.
Una volta schierati ci accorgemmo che la folla era così numerosa che era praticamente tutto bloccato! C’erano tutte le associazioni pacifiste, le ONG, L’arci, le Acli, la Fiom, un gruppo di suore numerosissimo, gli scouts e soprattutto tante famiglie e tanti anziani: una marea coloratissima e festante.
Una bozza molto naif di servizio d’ordine provava ad ordinare quella folla secondo la provenienza, assegnando un posto stabilito, ma io ed un piccolo gruppo di amici decidemmo di sfilare lateralmente, per vedere tutta quella fiumana umana e raggiungere piazzale Kennedy, dove c’era il cuore del Social Forum.
Scivolavamo via lentamente, tra gente che cantava, suonava, applaudiva in un clima di euforia ed emozione contagiosi.
La gente alle finestre sorrideva e salutava.
blackBlocCirca a metà corteo notai una presenza molto strana. C’erano una trentina di giovanissimi vestiti completamente di nero che avevano diviso in due la manifestazione, immobili al centro della strada, armati di bastoni e dallo sguardo incazzato e cattivo,  mentre le persone gli passavano accanto intimorite e preoccupate. I temuti e famigerati black bloc erano alla fine  dei ragazzi giovanissimi ma molto organizzati.
Non si muovevano, stavano aspettando! Nessuno, stranamente, sembrava prendersi cura di loro e del loro strano atteggiamento.
Continuavamo a costeggiare quella marea inchiodata sotto il sole, sempre festante e tranquilla, mentre si parlava che la testa del serpentone avesse già imboccato viale Torino, dirigendo su Marassi.
Notai che sulle lunghe scalinate che salivano sulla destra della strada c’erano alcuni agenti e uomini vestiti di  nero,  come i black bloc, molto più grandi però. Come potevano stare ad osservarci fianco a fianco con gli agenti?
La telefonata  mi arrivò improvvisa e  incredibilmente riuscii a sentirla in quel caos incredibile .”Ciao fratello, dove sei adesso” Era il mio amico Franco, poliziotto della Stradale assegnato per quei giorni alla centrale operativa. Ci eravamo sentiti anche il giorno prima e mi aveva raccontato di una situazione strana, di una tensione altissima, ma soprattutto mi aveva chiesto di non andare, pur conoscendo in anticipo la mia risposta.
“Siamo quasi a piazzale  Kennedy, com’è la situazione Frank?”
” Ci sono degli scontri in alcune trverse laterali e c’è molta agitazione in giro, niente di buono. Tieni d’occhio l’elicottero quando si abbassa sta facendo l’appoggio alle cariche da terra, se ti arriva sopra la testa scappa subito, ma non per le vie laterali, possono diventare un cul de sac, meglio indietro, e comunque stai ai lati della strada e cerca sempre di avere una via di fuga. Stai attento!”
” Grazie fratello, tienimi aggiornato”
Fu allora che decidemmo di lasciare la strada e scendere di lato sugli scogli che la fiancheggiavano, percorrendo così gli ultimi duecento metri che ci separavano dagli stand del Social Forum.
Ma non avemmo il tempo di lasciare gli scogli: nel centro del piazzale un gruppo di persone vestite di nero si erano interposte tra i manifestanti che svoltando a destra scivolavano di fianco al piazzale e imboccavano viale Torino, con  le forze dell’ordine schierate in assetto  da guerriglia al centro del piazzale.
Volava di tutto e l’elicottero si era abbassato sul corteo.
L’assalto dei black bloc durò  quasi mezz’ora sino a quando fu inciendiata la filiale di una banca ed intervennero i vigili del fuoco.
I “neri” erano improvvisamente spariti e sembrava che la situazione fosse tornata sotto controllo anche se il corteo rimaneva assolutamente bloccato e immobile.

Nel fratempo noi eravamo scesi dagli scogli su una spiaggetta sottostante in cui una decina di bagnanti continuava la propria giornata al mare lontana anni luce da quello che stava per accadere nella strada giusto sopra le loro teste.
C’era un piccolo chiosco e stavamo bevendo birra cercando di capire  a cosa avevamo assistito.
Fu allora che successe l’incredibile. prima dal tetto di un grande palazzo iniziarono a sparare lacrimogeni addosso ai manifestanti,  poi, dal piazzale, una serie di autoblindo partirono a forte velocit‡ e si lanciarono contro i manifestanti indifesi e immobili. Dietro, un fiume di caschi scuri, scintillantti sotto il sole, assaltava roteando i manganelli, tutto ciò che incontrava per strada, colpendo furiosamente.
Dal basso, impietriti, potevamo vedere solo le teste  e sentire le urla, i rumori agghiaccianti, il fumo ovunque.
Fu allora che il grido alle mie spalle, di una raggazza che ci aveva seguito, portò la nosta attenzione sugli scogli alla nostra sinistra: un uomo in divisa grigia, un finanziere,  stava  indicando verso di noi.
Dalla strada un centinaio di suoi commilitoni ci stava osservando! E quello era un ordine.
Eravamo una trentina di persone intorno a qeul chiosco, non ci conoscevamo, ma istintivamente comminciammo ad indietreggiare, tutti insieme, attraversando la piccola spiaggetta e salendo su un gruppo di scogli.
Una cinquantina di divise grigie, caschi e manganelli in area marciavano a testuggine verso di noi. Mentre si avvicinavano bastonavano e prendevano a calci quelle poche persone rimaste nella spiaggetta, in costume da bagno, ancora impegnate a prendere il sole come se non stesse accadendo nulla a pochi metri da loro. Iniziammo a gridare, alzando le mani al cielo in segno di pace e di resa, ed allora che mi accorsi che sopra le nostre teste, ad una decina di metri stallava  un elicottero dei carabinieri, con il suo rombo assordante che eppure, tra la paura e la confusione, non avevo sentito. Cercando una via di fuga verso il mare la conferma della trappola che si stava chiudendo: a pochi metri dagli scogli 4 gommoni di carabinieri con i lacrimogeni in canna, pronti a tirare.
In alto a destra dove la scogliera raggiungeva un piazzale davanti ad un hotel, decine di persone stavano osservando tutto e cominciarono a urlare, sempre più forte.
Non so se furono le loro urla, o semplicemente perchè quando non si può più arretrare si può solo ricominciare ad andare avanti ma, insieme ad un ragazzo che non avevo mai visto, saltai dagli scogli e cominciai a camminare verso quelle divise, con le braccia tese in alto.
Mi fermai a pochi passi da colui che in testa al plotone poteva essere il capo.
“Rappresento il mio comune, sono un pacifista  e voglio solo portare via le persone che sono con me. Lasciateci uscire da questo inferno!”
Credo fosse un tenente. Rimase immobile un istante infinito poi, lentamente, si tolse il casco e davanti a me vidi poco più di un ragazzo, il volto rigato dal sudore e gli occhi stanchi. Non rispose ma con un movimento deciso girò su se stesso e cominciò a camminare lentamente, non verso di noi.
Risalimmò anche noi sulla strada dove le ultime immagini che ricordavo erano quelle di una marea di caschi e bastoni che si abbattevano su di un  corteo immobile ed inerme.
Un macello!!! Gente sanguinante ovunque, donne e ragazzi che piangevano, corpi doloranti in terra, una donna anziana coperta di sangue, esamine, dentro una siepe : un macello!!!
Perchè le forze dell’ordine avevano lascaito che i black bloc distruggessero tutto senza intervennire e dopo che se ne erano andati indisturbati avevano caricato, anche con i mezzi blindati, un corteo di persone pacifeche e immobili, anzi intrappolate sotto il sole?
Che erano quegli uomini neri che ci guardavano dall’alto passare vicino ad altri uomini in divisa? Perchè nessuno fermava i black bloc che pure si muovevano, inconfondibili, liberamente per tutta la città? Noi stessi avevamo visto arrivare un camioncino carico di bastoni e catene con cui si erano riforniti in piazzale Kennedy, chi doveva intervenire?
Il cellulare vibrò nella mia salopette: “Frank è un macello, una strage, sono tutti pazzi, ma che cazzo succede!”
“Vieni via subito, cercate di raggiungere Marassi, ma evitate viale Torino ci sono scontri e cariche in questo momento”
Di nuovo assordante il rumore dell’elicotero : dovevamo scappare.

La mattina dopo mi ritrovai nella piazza del mio paese, prestissimo, non avevo chiuso occhio tutta la notte e avevo bisogno di raccontare a tutti, quelli che potevo, la tragedia da cui eravamo scampati, perchè questo era!
Mentre cominciavano ad arrivare amici e compagni a cui ripetevo le cose assurde di cui eravamo stati protagonisti mi accorgevo che mi scoltavano con un area strana.
Mi credevano si ma la mia versione non li convinceva. Alla televisione avevano soprattutto visto manifestanti violenti che distruggevano una città, falsi pacifisti che assaltavano le forze dell’ordine  ed i genovesi offesi  e arrabbiati con chi aveva scatenato tutto questo.
Ma di cosa parlavano!!! Se non mi credevano loro, se si erano fatte quelle opinioni su cosa era veramnete successo, chi avrebbe saputo mai come erano andate veramente le cose? La televisione, come spesso accade aveva raccontato un’altra storia è quella sarebbe diventata la storia.
“Guardate qui ragazzi!” Emilio si era avvicenato mostrando una copia di Repubblica” In prima pagina Curzio Maltese racconta di aver visto da un piazzale di un Hotel  due uomini scendere dagli scogli ed andare incontro ad un plotone di finanzieri che poi si era ritirato mentre stava per caricare un gruppo di manifestanti rifugiatisi sugli scogli..  È la storia che ci ha raccontato Sauro”
Ora mi guardavano in modo diverso. Dopo due giorni il corriere della sera avrebbe pubblicato anche una grande foto di noi a mani in alto sugli scogli dela paura.
Ma stavano anche cominciando ad arrivare quelle terribili notizie sulla caserma Diaz prima e Bolazanetto dopo.  Quella notte vergognosa,  da dittaura cilena aveva fatto traboccare il vaso dell’omertà e della strumentalizzazione e paradossalmente avrebbe dato forza alla verit‡ sui fatti che sconvolsero Genova e L’italia anche il 20 ed il 21 luglio 2001.

Genova per me è stata tutto questo e molto di più. Pensavo di averla un po’ dimenticata ma sono bastate poche immagini al telegiornale per riscatenare rabbia, paura, tristezza, delusione. C’è un ricordo che però mi tengo stretto:  quando, tornati a Quarto per imbarcare sul pulman una parte di noi rimasta tutto il giorno  bloccata in coda alla manifestazione, scesi di corsa con la mia bandana rossa e la maglietta dello EZLN, con tanto di stella rossa, per andare ad abbracciare un uomo poliziotto che era venuto a cercarmi, mentre il mondo ci guardava incredulo.

Frank, non una divisa, ma un un uomo, un amico.

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