Pubblicato: dom, 25 Mag , 2014

Depistaggi omicidio Impastato: no all’archiviazione per Subranni

Il Gip di Palermo ha respinto la richiesta del pm Del Bene riconvocando accusa e difesa. A tirare in ballo l’ex generale del Ros il pentito Di Carlo

peppino-impastato-320x234Non si ferma l’inchiesta sui presunti depistaggi per l’omicidio di Peppino Impastato. Il Gip di Palermo Maria Pino si è infatti riservata la decisione sulla richiesta di archiviazione, per prescrizione dei reati, presentata a novembre 2012 dalla Procura di Palermo a carico dell’ex comandante del Ros Antonio Subrani, accusato di favoreggiamento, dell’ex sottufficiale dei carabinieri Carmelo Canale e dei marescialli Francesco De Bono e Francesco Abramo, indagati per falso.

A tirare in ballo dopo oltre 30 anni il nome di Subranni (già imputato per minaccia a Corpo politico dello Stato nel processo sulla Trattativa in corso a Palermo) nella vicenda Impastato, è stato il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo, secondo il quale sarebbero stati i cugini Nino e Ignazio Salvo, imprenditori mafiosi di Salemi, a rivolgersi – spinti da Gaetano Badalamenti – al generale dei carabinieri per fare chiudere l’indagine sulla morte del giovane attivista di Cinisi, avvenuta nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978. Di Carlo, interrogato dai magistrati, ha rispolverato l’album dei ricordi e ha raccontato di aver visto più volte Subranni negli uffici dei Salvo. «Ho sentito parlare la prima volta di lui quando era Maggiore. Non l’ho mai visto con l’uniforme, ma l’ho visto dai Salvo e da Lima. Non so per quale motivo però», ha detto il collaboratore. «Per quello che mi dissero Nino Salvo e Gaetano Badalamenti, Nino si rivolse a Subranni per chiudere le indagini sull’omicidio Impastato in quel modo, senza che venisse coinvolto Badalamenti». Come è noto, sul luogo del brutale omicidio fu inscenata una ignobile farsa, attraverso la quale tentarono di far credere che Impastato fosse un terrorista, vittima di un attentato-suicidio. Una pista seguita inizialmente sia dalle Forze dell’Ordine che dalla magistratura. Bisognerà attendere il 1984 perché fosse riconosciuta la matrice mafiosa.

Le dichiarazioni di Di Carlo, che hanno consentito la riapertura dell’inchiesta sul depistaggio, sono state contestate dal legale di Subranni, l’avvocato Basilio Milio, il quale ha bollato come «tardivi» i ricordi del pentito. Ha inoltre sottolineato che l’ufficiale denunciò Badalamenti poco dopo il delitto e non coperto il ruolo del boss per ricavarne benefici nella carriera. Per il legale, inoltre, «se si ipotizza il reato di favoreggiamento a carico di Subranni, la stessa accusa deve ipotizzarsi per i periti e tutti i magistrati che seguirono e coordinarono l’inchiesta».

«Ci auguriamo che l’azione della magistratura possa proseguire, nonostante il grave ritardo in cui sono ricominciate le indagini. – afferma Umberto Santino, presidente del Centro Impastato, unitamente a Giovanni Impastato, fratello di Peppino – Ci chiediamo inoltre che fine hanno fatto le carte sequestrate dai carabinieri subito dopo il delitto e di cui non abbiamo avuto più notizia. Ribadiamo che l’esito positivo dei processi ai mandanti e del lavoro della Commissione parlamentare antimafia si debbono certo all’impegno di alcuni magistrati e di alcuni parlamentari, ma sono soprattutto il frutto dell’attività incessante svolta dai familiari di Peppino, dalla madre Felicia e dal fratello Giovanni, che ruppero con la parentela mafiosa, da alcuni compagni di militanza di Peppino e dal Centro siciliano di documentazione, sorto già nel 1977 e successivamente intitolato a Peppino Impastato per la radicalità del suo impegno antimafia e per la sua provenienza da una famiglia mafiosa, che ne fa un caso unico nella lunga storia delle lotte contro la mafia».

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