Pubblicato: mar, 4 Feb , 2014

Borsellino quater: Mori e De Donno scelgono il silenzio

 Ascoltata al processo sulla strage di via D’Amelio, Fernanda Contri. L’ex componente del Csm ha ricordato i suoi rapporti con i giudici Falcone e Borsellino

MAFIA: MORI;PM DI MATTEO,ROS NON VOLLE CATTURARE PROVENZANO

L’allora capitano dei Ros Giuseppe De Nonno, con il colonnello Mario Mori in una foto del 1997. (foto ANSA)

Il generale Mario Mori e il colonnello Giuseppe De Donno, chiamati dall’accusa a testimoniare nel processo Borsellino quater in Corte d’assise a Caltanissetta, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere in quanto imputati di reato connesso a Palermo nel processo per la trattativa Stato-mafia. La Corte di Caltanissetta ha deciso di acquisire i verbali delle loro dichiarazioni. È stata invece sentita dai pm della Procura nissena l’avvocato Fernanda Contri.

Ex segretario generale di Palazzo Chigi durante il primo governo Amato ed ex componente del Csm, la Contri ha ricordato la profonda amicizia che la legava al giudice Giovanni Falcone e a sua moglie Francesca Morvillo sin dai primi anni ’80. «Io ero molto amica di Giovanni. Quando ci fu l’attentato all’Addaura, ci furono subito voci che Giovanni se l’era fatto da solo. Quell’anno (1989, ndr.) avevo deciso di passare le vacanze con mio marito e mia figlia in Sicilia, ci tenni ad andare con la mia famiglia ad andare a trovare sulla terrazza dell’Addaura Giovanni Falcone per fargli sapere che almeno un membro del Csm non pensava a questa infamità. Dopo una ventina di giorni in giro per la Sicilia, fui a Palermo e mi ricordo che, dall’albergo dove alloggiavo a Mondello, cercai il colonnello Mori che conoscevo già da forse un anno, per chiedergli se sapeva qualcosa dell’attentato a Falcone e come era potuta nascere la voce che se lo fosse fatto da solo. Facemmo una lunga chiacchierata e il colonnello (all’epoca comandante del Ros, ndr.) escluse categoricamente l’ipotesi che Falcone si fosse fatto l’attentato da solo».

Fernanda Contri ha ricordato anche di come nella villa all’Addaura suonasse di continuo il telefono e la moglie di Falcone si alzava ogni volta per rispondere, ma dall’altra parte nessuno parlava. «Francesca tornava da noi molto scossa, ma non le dicevamo nulla per non preoccuparla ulteriormente». La teste ha inoltre riferito di non aver mai ricevuto confidenze da parte di Falcone sulle «menti raffinatissime» che avrebbero organizzato l’attentato. «A me non ne parlò mai, ma lo fece davanti al Csm».

Rispondendo ancora alle domande dei pm Lari e Gozzo, la Contri ha ricordato di quando si incontrò con l’ufficiale dei carabinieri poco dopo la strage di via D’Amelio. Era il 22 luglio e dovevano ancora svolgersi i funerali del giudice Borsellino, celebrati poi il 24. «Mori non mi parlò mai di trattativa, non saltò mai neanche il più lontano accostamento o accenno ad una eventuale trattativa in corso. Mi ricordo che fece riferimento a quelle che a me erano sembrate delle indagini, delle piste che stava seguendo per verificare da dove poteva essere partita la decisione di far fuori anche Paolo Borsellino. Non ricordo invece se fu in quell’occasione o quando ci incontrammo nuovamente nel dicembre del ’92, subito dopo Natale, a Palazzo Chigi, che mi parlò di Vito Ciancimino. Mi disse che poteva essere non soltanto ai vertici della mafia, ma addirittura il capo della mafia». Nel secondo incontro a Roma, la Contri e Mori commentarono anche l’arresto di Bruno Contrada, ex numero tre del Sisde, avvenuto il 23 dicembre 1992, con l’accusa di concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Di quell’arresto la donna ne parlò anche con l’allora capo della polizia Vincenzo Parisi, «venuto pure lui a Palazzo Chigi e visibilmente turbato, ritenendo l’arresto un fatto assurdo». «Il giorno della Vigilia Parisi mi telefonò a Genova, dove abitavo, e mi tenne bloccata dicendo che si stava commettendo un gravissimo errore e che si doveva trovare il modo di rimediare».

La Contri ha anche ricordato di aver incontrato Paolo Borsellino pochi giorni prima della sua morte. «Era il 9 o il  16 luglio. C’eravamo dati appuntamento al Visconti Palace di Roma, l’albergo dove alloggiavo e dove Paolo scendeva di frequente. In quell’occasione mi pregò di intervenire presso il Governo, presso il Parlamento e tutti quelli presso i quali potevo avere udienza, per accelerare i tempi di approvazione di certe leggi. Mi disse  “Io ne sto interrogando nove, vado avanti e indietro dalla Germania e ho bisogno di queste leggi, perché la mia è una  corsa contro il tempo”. Io capii in un lampo cosa volesse dire, ma non volevo crederci e gli dissi: “Tu parli di una lotta contro il tempo nel senso dei 60 giorni, cioè del tempo della conversione del decreto?” e lui mi guardò e fece un sorriso tristissimo che non dimenticherò più e mi rispose: “Hai capito benissimo cosa voglio dire. La mia, è una lotta contro tutti i tempi”».

 

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