Pubblicato: dom, 2 Feb , 2014

Beni confiscati, prefetto Caruso: «Colpire il mafioso nel patrimonio»

E il sottosegretario alla Giustizia Berretta annuncia: «Nuove misure contro i patrimoni criminali». Obiettivo: cambiare la legge per salvaguardare i lavoratori

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Il prefetto Giuseppe Caruso

«Colpire il mafioso nel patrimonio è una delle cose che più lo manda in bestia, la ciliegina sulla torta della brillante intuizione di colpire la mafia nel portafoglio sarebbe il riutilizzo dei beni confiscati». Lo ha affermato il direttore dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, prefetto Giuseppe Caruso, a margine di un incontro svoltosi sabato 1 febbraio a Misterbianco (prov. di Catania), dal titolo: “Le aziende e i beni confiscati alla mafia sono patrimonio di tutti – Idee, proposte, progetti per rendere effettivo il riutilizzo sociale”. Il dibattito è stato organizzato dal circolo Pd di Misterbianco e dai Giovani Democratici.

Secondo Caruso la legge riguardante la gestione dei beni sequestrati e confiscati ha finora funzionato solo in parte. «Le aziende “lavanderia” andrebbero liquidate attivando i meccanismi di salvaguardia per i lavoratori. Le società che funzionano vanno comunque sostenute dallo Stato, perché senza il vantaggio competitivo offerto dalla mafia non possono andare avanti». Per questo motivo il prefetto auspica un cambiamento della legge n.109/96 sul riutilizzo sociale di tali beni. Legge che prevede l’assegnazione dei patrimoni e delle ricchezze di provenienza illecita a quei soggetti (dalle associazioni e cooperative, ai Comuni, Province e Regioni) in grado di restituirli alla cittadinanza, tramite attività di promozione sociale e lavoro. Come precisa ancora Caruso, infatti, «alcune confische sono servite solo ad arricchire gli amministratori». E, amaramente, aggiunge: «Ho indicato nel Fondo Unico Giustizia la fonte alla quale attingere per creare fiscalità di vantaggio e fondi di rotazione, ma non ho ricevuto risposta».

La legge 109 del 1996 rappresenta certamente un passo in avanti di fondamentale importanza nella lotta alla mafia, lungo quel travagliato percorso tracciato per prima dalla legge 646 del 1982 (la cosiddetta legge Rognoni-La Torre). Tuttavia, perché il bene confiscato diventi davvero un bene comune da restituire a quelle realtà a cui la mafia ha tolto futuro e opportunità socio-lavorative, è necessario ancora fare tanto. Per esempio: fare luce sulle tante ombre che rischiano di offuscare una normativa così importante nel contrasto alla criminalità organizzata, tanto da esserne diventata il fiore all’occhiello. In particolare, è fondamentale che ci sia una più efficace gestione diretta dei beni, ricordando inoltre che l’azione di repressione, da sola, non basta: bisogna anche vigilare. Lo stesso Caruso aveva denunciato recentemente come i tre quarti dei patrimoni confiscati alle mafie siano nelle mani di poche persone, che «li gestiscono spesso con discutibile efficienza e senza rispettare le disposizioni di legge».

«Per questi motivi sono previsti un incremento della pianta organica dell’Agenzia Nazionale per i beni confiscati con soggetti dotati di specifiche professionalità di tipo tecnico e legale, il rafforzamento delle competenze dell’Agenzia, con la previsione che la stessa da un lato svolga un monitoraggio continuo e sistematico sul riutilizzo dei beni confiscati, verificandone la coerenza con il relativo provvedimento di assegnazione, e dall’altro possa assegnare direttamente alle associazioni e organizzazioni contemplate dal Codice antimafia i beni immobili di cui risulti evidente la destinazione sociale», ha dichiarato il sottosegretario alla Giustizia Giuseppe Berretta, intervenendo anche lui al convegno, coordinato da Massimo La Piana, del direttivo del Pd locale, e al quale hanno partecipato pure Maria Luisa Barrera, portavoce Officina Beni Confiscati “Libera” Catania; il sindaco di Misterbianco Nino Di Guardo; la segretaria confederale Cgil Catania Pina Palella; e il segretario del Pd di Misterbianco Natale Falà.

«È inaccettabile che si possa lasciare a qualcuno la possibilità di pensare che con la mafia si lavora, mentre con la legalità le imprese chiudono», ha aggiunto Berretta, annunciando la serie di proposte avanzate dalla Presidenza del Consiglio nei giorni scorsi, destinate a diventare provvedimenti il prima possibile. «Tali provvedimenti introdurranno misure volte ad aggredire i patrimoni della criminalità, incidendo sulle disponibilità economiche delle mafie, ma anche per una più efficace gestione e destinazione dei beni sottratti alle organizzazioni mafiose, trasformandoli in risorse economiche per il territorio».

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