Pubblicato: ven, 1 Apr , 2022

Bavaglio a magistrati e al diritto di informazione

la riforma Cartabia, ovvero il D.Lgs. 188/2021, sulla presunzione di innocenza

Il decreto legislativo italiano 8/11/2021 n.188 “Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della direttiva (Ue) 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali”, è entrato in vigore fulmineo il 14/12/2021.

Si compone di sei articoli, tutti rivolti alle autorità pubbliche, in primis ai magistrati. E’ un provvedimento controverso, in cui sembra essere mancato il corretto bilanciamento tra le tutele connesse all’informazione giudiziaria e il diritto di cronaca (tanto a livello nazionale dall’art. 21 Cost., quanto a livello sovranazionale dall’art. 10 C.E.D.U., ma anche dall’art. 11 Carta Diritti Fondamentali UE), ossia la libertà di espressione quale pietra angolare della democrazia; dall’altro lato, i diritti individuali all’onore e alla reputazione, alla riservatezza, all’equo processo e alla presunzione di innocenza.

Appare evidente che si tratta di una presa di posizione netta, per quanto concerne la diffusione di notizie relative ai procedimenti giudiziari e l’uso dei media. La nuova riforma, però, è più simile ad un bavaglio che ad una tutela: silenzia i giornalisti, ammutolisce i magistrati e toglie loro strumenti d’indagine.

Nella normativa è fatto divieto alle autorità pubbliche di indicare pubblicamente come colpevole la persona sottoposta a indagini o l’imputato fino a quando la colpevolezza non è stata accertata con sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili (art.2). I magistrati potranno essere attaccati dai loro indagati, che avranno il diritto di richiedere all’autorità pubblica la rettifica della dichiarazione resa (che dovrà essere data immediatamente, comunque non oltre 48 ore dalla ricezione della richiesta; in caso contrario l’indagato potrà pretendere l’intervento d’urgenza del Tribunale), oltre ad eventuali sanzioni penali e disciplinari, nonché l’obbligo di risarcimento del danno. L’accusato si trasformerà in accusatore e il giudice in indagato. I magistrati potrebbero trovarsi così costretti a risarcire economicamente i propri indagati, o convocare conferenze stampa “di riparazione”, per non aver osservato il garantismo lessicale imposto dalla nuova legge. Giudici e pm saranno sempre a rischio di essere contestati dai loro imputati, anche in modo strategico e pretestuoso, con ulteriori allungamenti dei tempi processuali e inefficacia dell’apparato giudiziario.

ll rimedio di nuovo conio evoca la rettifica della notizia giornalistica, in tema di diffamazione a mezzo stampa. Tuttavia qui non appare né efficace né coerente: la richiesta di rettifica è attribuita, allo stesso autore della dichiarazione lesiva della presunzione di innocenza, che dovrebbe quindi rinnegare la sua posizione venendo meno di credibilità. Inoltre, un conto è utilizzare lo strumento della rettifica per un enunciato fattuale, suscettibile di una verifica; ben altra cosa è impiegare lo stesso rimedio per sottoporre a controllo la correttezza di una espressione a carattere valutativo.

La persona sottoposta a indagini o l’imputato non possono essere indicati come colpevoli fino a sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili (art.4). Ciò introduce nel codice di procedura penale un nuovo articolo, il 115 bis, che impone la censura persino agli atti giudiziari. In tutti i provvedimenti diversi dalle sentenze, la persona indagata o imputato non possono essere indicati come colpevoli fino a sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili. Unica eccezione gli “atti del pubblico ministero volti a dimostrare la colpevolezza della persona sottoposta a indagini o dell’imputato. Nei provvedimenti che presuppongono la valutazione di prove, elementi di prova o indizi di colpevolezza […] l’autorità giudiziaria limita i riferimenti alla colpevolezza della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste dalla legge per l’adozione del provvedimento”. I giudici saranno dunque costretti a redigere atti con locuzioni e perifrasi estremamente caute, per presentare indizi e prove di colpevolezza, che dovranno però essere raccontati presumendo l’innocenza di chi in quel momento è considerato colpevole. In caso di violazione l’interessato può, “a pena di decadenza”, richiedere la correzione del provvedimento entro 10 giorni. Un assoluto inedito nel sistema giudiziario italiano, che apre a facili campagne di delegittimazione di indagini scomode. Le nuove norme sono volte a impedire anche appellativi “mediatici”: perfino i nomi delle inchieste dovranno rispettare la presunzione d’innocenza Niente più “Mafia Capitale”, “Rinascita Scott” o “Mani pulite”.

I magistrati potranno rilasciare dichiarazioni esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica, tramite conferenze stampa (art.3). I giornalisti non potranno più interagire con i magistrati e i cittadini saranno privati del diritto di conoscere correttamente procedimenti che riguardano personaggi pubblici, politici, membri del governo, uomini delle istituzioni, imprenditori e protagonisti del potere economico e finanziario. Viene meno la trasparenza dei procedimenti e il diritto alla libera informazione.

Silenzio obbligatorio anche per la polizia giudiziaria, a meno che non arrivi l’autorizzazione dal vertice della Procura.

Per garantire che indagati ed imputati non siano presentati come colpevoli, in tribunale o in pubblico, è stata introdotta un’ulteriore modifica con riguardo all’art. 474 c.p.p., secondo cui l’imputato assiste all’udienza libero nella persona, anche se detenuto, salvo che in questo caso siano necessarie cautele per prevenire il pericolo di fuga o di violenza. Le misure di coercizione fisica quali «manette, gabbie metalliche, di vetro o di altro tipo e ferri alle gambe» ledono la presunzione di innocenza e sono degradanti per l’imputato. Cambiano anche le regole per l’acquisizione dei tabulati, dei dati telefonici e telematici: potrà essere disposta solo con un decreto motivato del giudice. In caso di urgenza, il pm potrà procedere, ma ci dovrà essere la convalida del giudice.

Formalmente, il decreto 188/2021 dovrebbe tendere al raggiungimento di una “sobrietà comunicativa” rispettosa di principi irrinunciabili; affinché le parole degli organi dello Stato siano attente e misurate, considerando spesso preferibile il silenzio. E c’è già chi inneggia alla censura totale.  Ma è proprio questa parola – “silenzio” – che mette in allarme, poiché la pubblicità nell’amministrazione della giustizia (e della res publica) è un imprescindibile strumento di democrazia. Il pensiero non può che tornare all’incredibile lavoro del pool antimafia degli anni ‘90 e al primo maxi processo durato 7 anni, all’operato di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e di Giuseppe Di Lello che spiegavano e informavano i cittadini sulla struttura organizzativa di Cosa Nostra. Sarebbero stati sottoposti a procedimento disciplinare tutti i magistrati che tutt’ora in assenza di una sentenza definitiva hanno parlato di quello che dalle indagini è emerso sulla strage di Piazza Fontana o sull’attentato a Ustica, su Tangentopoli, sui fitti intrecci della ‘ndrangheta, le scalate di banche e multinazionali, gli affari tra clan e politici. Anche le più recenti inchieste, per esempio quelle di Report o Del Fatto. Forse fin troppo efficaci nelle loro ricerche. Non si dovrebbe mai subire passivamente una limitazione di informazione. D’altra parte, a ben guardare, i rimedi già esistevano anche con la precedente normativa : se un procuratore della repubblica avesse presentato come colpevole un indagato o un imputato prima che quella colpevolezza fosse accertata, ne avrebbe pagato le conseguenze in ambito penale, disciplinare e civile. Nel momento in cui si imbavagliano magistrati e informazione, cosa resta?

Come rileva l’illustre dott. Nicola Gratteri, l’articolo 27 della Costituzione prevede già la presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio, come valore primario da preservare. La direttiva europea alla quale si è ispirata la politica era rivolta principalmente agli Stati di più recente ingresso nell’UE, nei quali non erano presenti adeguati strumenti di tutela dell’imputato. Per l’Italia il risultato raggiunto con la modifica normativa è soprattutto quello di limitare fortemente la comunicazione istituzionale, che viene sostanzialmente vulnerata, a scapito del diritto di informazione dei cittadini e, se possibile, addirittura degli stessi imputati. Il timore è anche un altro, con l’incauta considerazione che non parlandone, sembra che la ‘ndrangheta e Cosa Nostra non esistano. Ma non è così, e di questo silenzio le mafie ne approfitteranno, perché da sempre proliferano silenti. Se la ‘ndrangheta oggi è la mafia più potente è perché per anni non se ne è parlato e ha potuto agire indisturbata. Un cono d’ombra viene dunque offerto ad intrecci di potere, corruzioni e mafie, che non possono che esultare per queste scelte tanto oculate.

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