Pubblicato: ven, 18 Apr , 2014

Linea dura della cassazione, perseguibili gli insulti indiretti su Facebook

L’insulto sui social network se pur indiretto costituisce reato 

 

diffamazioneLa rete e i social nettwork sempre più presenti nelle nostre vite, spesso diventano valvola di sfogo di frustrazioni e bisogni d’attenzione di sempre più utenti e non solo di giovane età. Per cui può capitare che se si scrive uno status polemico e offensivo riferito indirettamente a qualche conoscente, se questo diviene facilmente riconoscibile può capitare di essere incriminati per diffamazione.

Questo è quello che è accaduto ad un maresciallo capo della Guardia di Finanza che, dopo essere stato scavalcato da un collega per un incarico, aveva pubblicato nei sui «dati personali» su Facebook la frase «attualmente defenestrato a causa dell’arrivo di collega sommamente raccomandato e leccaculo…»

L’ingiuria indiretta e telematica è stata ritenuta dal tribunale militare di roma lesiva e quindi costituente una forma di diffamazione, che ha fatto scaturire una condanna per il maresciallo in questione, a tre mesi di reclusione. La sentenza cassata in corte d’appello e relativa assoluzione per l’esponente delle fiamme gialle è stata impugnata dal Procuratore generale militare che ha deciso di ricorre in Cassazione.

La nuova pronuncia della corte ha portato alla singolare decisione di equiparare l’affermazione indiretta sul social network alla diffamazione se l’oggetto risulta evidente dai riferimenti indiretti, infatti nel dispositivo della sentenza si legge: «Ai fini dell’integrazione del reato di diffamazione – si legge nella sentenza 16712 della Cassazione – è sufficiente che il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone, indipendentemente dalla indicazione nominativa».

Gli internauti sono avvisati, gli insulti indiretti, spesso frutto di sfoghi puerili, da oggi sono equiparati alla diffamazione.

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