Pubblicato: sab, 7 Giu , 2014

7 giugno ’64 Bologna e Inter per uno storico spareggio

Cinquantanni fa l’unico  spareggio del calcio italiano. Lo racconta il giornalista e scrittore Giuseppe Bagnati

mJ0o-vrM0romdEOBWk6oveg (1)Non ce ne saranno altri. Cinquant’anni fa si è giocato all’Olimpico di Roma lo spareggio tra Bologna e Inter per assegnare lo scudetto. Era il 7 giugno 1964. Nella storia dei campionati a girone unico non era mai successo e non succederà più perché adesso  a parità di punteggio contano i confronti diretti.

L’Inter si presenta al campionato 1963-64 con lo scudetto sulle maglie. Helenio Herrera centra l’obiettivo alla sua terza stagione in Italia, quando qualcuno cominciava a sospettare che tanto mago  poi non era. I rinforzi sono decisivi: arriva Burgnich da Palermo, Jair,  ma soprattutto diventano titolari Facchetti e Mazzola, che l’Inter aveva utilizzato poco nelle stagioni precedenti. Decisivo l’intervento del presidente Angelo Moratti, che ottiene l’utilizzo a tempo pieno di Mazzola.

E stavolta Herrera fa il mago per davvero. Durante una tournee precampionato in Marocco proclama : quest’anno lo scudetto non ci sfuggirà. Picchi giocherà da libero e diventa capitano.

 Il Bologna si piazza quarto. Segna più di tutti, ma prende anche tanti gol. Troppi: a fine stagione saranno 39, 19 in più dell’Inter. Dà spettacolo tanto da far esclamare al suo allenatore Bernardini dopo un 7-1 al Modena: “ Così si gioca soltanto in paradiso”.

Ed eccoci al campionato 1963-64. Il Bologna acquista il portiere del Mantova e della Nazionale William Negri, detto carburo perché dava una mano al distributore di benzina gestito dalla famiglia. Ha  anche un passato da giocatore di pallavolo. Gioca tutte le 34 partite di campionato più lo spareggio, incassa soltanto 18 gol. L’Inter si rafforza col centravanti Milani. L’altra pretendente è il Milan, che nel  maggio del 1963 ha conquistato la sua prima coppa dei campioni.

Sarà un campionato tutto da raccontare: drammi, gialli, colpi di scena, morte.

Il Bologna alla sesta giornata del girone di ritorno, 1 marzo 1964, si presenta a San Siro con un punto di vantaggio sul Milan e due sull’Inter. I rossoblù battono il Milan 2-1. Sì, sono da scudetto

Il 1964 è un anno ricco di avvenimenti che passano alla storia. Martin Luther King riceve il premio Nobel per la pace, mentre Nelson Mandela viene condannato all’ergastolo. Gli italiani scoprono quanto è buona la Nutella e il piacere dei viaggi in automobile: s’inaugura l’Autostrada del Sole, pochi mesi dopo l’apertura del traforo del San Bernardo che unisce l’Italia alla Svizzera.

Gli Usa bombardano il Vietnam del Nord e sbarcano in quello del sud. Gigliola Cinquenti trionfa  a Sanremo con Non ho l’età, ma il 45 giri che vende di più è In ginocchio da te di Gianni Morandi. Sono due ragazzi: Gigliola compie 17 anni a dicembre, Gianni 20  nello stesso mese. Federico Fellini vince l’Oscar con Otto e mezzo. Sugli schermi alcuni film che faranno epoca: Il dottor Stranamore,  Mary Poppins,  Per un pugno di dollari, My Fair lady, Il Vangelo secondo Matteo.

Muore Palmiro Togliatti, leader del Pci, il  presidente della Repubblica Antonio Segni si dimette per motivi di salute , al suo posto viene eletto Giuseppe Saragat.

Burgnich e Haller

Burgnich e Haller

I Beatles trionfano a New York, esce il loro primo film A hard day’s  night, che è anche il titolo di una delle loro più celebri canzoni. Viene catturato Luciano Liggio. Nascono in quell’anno attaccanti destinati a lasciare il segno: Marco Van Basten, Roberto Mancini, Gianluca Vialli e Totò Schillaci.

Torniamo al campionato. La gioia del Bologna per il successo di Milano dura appena tre giorni. Il 4 marzo il primo atto del giallo.

Cinque giocatori rossoblù  vengono trovati positivi al controllo antidoping per l’assunzione di amfetamine nella partita del 2 febbraio contro il Torino. Le sanzioni sono: partita persa contro il Torino e ulteriore punto di penalizzazione, diciotto mesi di squalifica a Bernardini, assoluzione invece per Fogli, Tumburus, Pavinato, Perani e Pascutti che sarebbero stati drogati a loro insaputa. Il presidente Renato Dall’Ara è malato: quando un giornalista gli comunica la notizia, scoppia a piangere. Gianni Brera lo aveva descritto  come un personaggio tra Arpagone e Bertoldo. Celebri le sue traduzioni dal latino:  “Sine qua non”  in “Siamo qua noi” e “Fiat lux” in “Faccia lei”.

 La tensione è altissima, Bologna grida all’ingiustizia, al complotto. In città spuntano cartelli e striscioni di protesta: La mafia non è solo in Sicilia,
A morte i dittatori di Milano e Torino, Un grido solo giustizia per Fuffo nostro. 

 Il 22 marzo Bernardini, squalificato, guida dalla tribuna il suo Bologna contro la Roma all’Olimpico servendosi di un walkie talkie.  Il Calcio e il Ciclismo illustrato gli dedica la copertina: Bernardini in primo piano con l’antenato dei telefonini in mano.  Il titolo: Vittorioso  all’Olimpico il Bologna radiocomandato. 

Il 29 marzo è Pasqua, l’Inter gioca a Bologna, si temono incidenti. Enzo Biagi scrive di un clima che non si registrava in città dai tempi della guerra civile dopo l’8 settembre. L’Inter vince 2-1 e non succede assolutamente nulla. Merito anche della giunta comunale di Bologna che due giorni prima  aveva riempito la città di manifesti distensivi. L’ultima parte recitava così: “ Cittadini! Salutiamo gli atleti ospiti e quelli della squadra cittadina con la simpatia che è dovuta a chi si appresta ad offrirci un’altra prova agonistica. Riserviamo fin d’ora l’applauso più caloroso, oltre la vittoria e oltre la sconfitta, alla lealtà, che, per gli atleti come per gli spettatori, deve essere, sopra ogni altra cosa, il pregio dello sport”

Ma  non è finita. Un gruppo di professionisti bolognesi si rivolge alla magistratura ordinaria, presentando una denuncia contro ignoti, sostenendo che le provette fossero state manomesse. Il giallo continua. I prelievi effettuati dopo la partita col Torino erano stati divisi in due provette: una per le analisi e una per le controanalisi. Queste ultime, conservate a Coverciano, stabiliscono che le amfetamine furono aggiunte in un secondo tempo alla pipì dei calciatori ed erano in quantità tale da stendere un cavallo. Nessun dubbio:  erano state alterate.

 Il 16 maggio la Caf assolve il Bologna e restituisce i tre punti alla squadra di Bernardini: rossoblù e Inter sono a pari punti in testa alla classifica. Stavolta sono i tifosi a riempire la città di manifesti: “Il Bologna non si tocca” con richiesta di dimissioni dei vertici della Lega e di Coverciano. “Riavuti punti 3 il resto vien da sé” con uno scudetto disegnato. “I 3 punti rubati sono già ritornati”.

Nelle ultime tre giornate di campionato la situazione non cambia, perché le due contendenti ottengono un pareggio e due vittorie a testa. Il 27 maggio a Vienna l’Inter conquista la Coppa dei Campioni battendo 3-1 il Real Madrid (doppietta di Mazzola e gol di Milani). Quella sera al Prater un altro mago, quello del brivido, indovina il risultato finale. Alfred Hitchcock siede  in tribuna dietro i coniugi Moratti. La signora Erminia gli chiede un pronostico.: “Sir , come finirà?” “3-1 per l’Inter” è la risposta del regista. E dicevano che il mago era Herrera.

Ma la stagione non è finita. La società nerazzurra chiede che lo spareggio venga disputato il più lontano possibile dalla finale. Ma la Federcalcio stabilisce che si giochi a Roma, la domenica successiva all’ultima di campionato.

Mercoledì 3 giugno, riunione in Lega a Milano, Renato Dall’Ara, presidente del Bologna, viene stroncato d’infarto alle 17,30 mentre sta discutendo col presidente dell’Inter Angelo Moratti, praticamente gli muore fra le braccia. C’è chi parla di lite fra i due, ma non ci sono conferme. La Gazzetta dello Sport propone di dividere lo scudetto in due, anche Vittorio Pozzo su La Stampa è dello stesso avviso. Ma non si può. Bernardini comunica ai giocatori del Bologna, in ritiro a Fregene, che la Federcalcio è disponibile ad un rinvio dello spareggio. Ma i rossoblù vogliono giocare subito (il 7 giugno) per onorare la memoria del presidente, anche se non potranno  andare ai funerali.

E’ la nemesi del primo scudetto dell’Inter, sentenziano gli storici del calcio. Anche allora ci fu un tentativo di spostare la data di uno spareggio. Sentite che storia. E’ il campionato 1909- 10. Si tratta del primo abbozzo di torneo a girone unico , che si svolgerà definitivamente dal 1929-30. Vi partecipano nove squadre, senza eliminatorie regionali. Finiscono a pari punti la Pro Vercelli, vincitrice degli ultimi due campionati, e l’Inter, nata nel 1908. La sede dello spareggio è Vercelli, perché la Pro ha la migliore differenza reti. La data è fissata per il 24 aprile. Ma nello stesso giorno è in programma un’amichevole fra squadre militari e la Pro Vercelli è costretta a dare i suoi migliori giocatori che in quel momento erano sotto le armi: il portiere Innocenti, gli attaccanti Fresia e Milano II. Quando la Patria chiama, si scatta sull’attenti. Anche se è un’amichevole di calcio. Il presidente della Pro Vercelli Luigi Bozino chiede un rinvio alla Federazione. La risposta è no.  A meno che …..Ma l’Inter non accetta il rinvio al primo maggio. La Pro Vercelli annuncia che manderà in campo una squadra di ragazzini tra gli undici e quindici anni. L’Inter non si commuove. E vince il suo primo scudetto battendo 10 a 3 i bambini di Vercelli. Il finale: assedio agli spogliatoi, giocatori  dell’Inter salvati dai carabinieri. I titolari della Pro Vercelli vengono esclusi dalla Nazionale per un anno (poi ad ottobre ci sarà un’amnistia) e multati di 200 lire ciascuno. Il debutto della Nazionale italiana (il 15 maggio contro la Francia) nasce sotto gli auspici peggiori. L’Italia in maglia bianca (quelle  colorate costavano sette centesimi in più) vince 6-2. Ma il calcio  sta muovendo i primi passi e non ha grande risalto sui giornali: la Gazzetta dello Sport relega a pagina 5 la cronaca della partita nell’edizione del  16 maggio. 

Dunque 54 anni dopo sarà l’Inter a vedersi respingere una richiesta di rinvio. 

Per due protagonisti dello spareggio quella settimana cambia la loro vita:  Sandro Mazzola attaccante dell’Inter e Franco Janich difensore del Bologna, si sposano. E’ lunedì 1 giugno. Luna di miele? Macchè, c’è il ritiro per preparare la partitissima di domenica 7.  Sandro sposa la sua Graziella, conquistata sulle note del Cielo in una stanza, Franco la sua Annamaria alle 7 del mattino.

Sandro, per tutti Sandrino, è il figlio di capitan Valentino il più grande del Grande Torino, schiantatosi con l’aereo sulla collina di Superga il 4 maggio 1949. Sandrino aveva 6 anni. 

La sua carriera all’Inter e non al Toro. Lo porta in nerazzurro Benito Lorenzi, detto Veleno, centravanti interista, grato per sempre a capitan Valentino, perché aveva convinto il ct azurro Vittorio Pozzo a farlo esordire in Nazionale. All’Inter Sandrino trova due maestri, e che maestri: prima Giovanni Ferrari, poi Giuseppe Meazza, due che erano stati campioni del mondo. E’ soprattutto Peppino Meazza a insegnargli non soltanto la tecnica calcistica. E quando il giovane Sandrino si lamenta perché un compagno non gli restituiva il pallone che gli aveva passato, Meazza lo rimprovera: “ Ho vinto due campionati del Mondo, ma non ho mai criticato un compagno. Se lo fai un’altra volta, hai smesso di giocare a calcio”. Glielo dice in dialetto milanese, Mazzola impara la lezione. Gioca anche a basket Sandrino. E’ un buon play, arriva a sostenere anche un provino per il Simmenthal, le leggendarie scarpette rosse di Cesare Rubini. Prendono Ongaro, suo compagno di banco. Ma il calcio è il calcio. E con quel cognome poi…

Mazzola fa tutta la trafila nelle giovanili dell’Inter. Il debutto in serie A è traumatico. E’ il 10 giugno 1961. L’Inter deve recuperare la partita con la Juventus. Era stata sospesa in aprile perché c’era troppa gente ai bordi del campo. Prima viene data partita vinta all’Inter, poi ad una giornata dalla fine viene decisa la ripetizione. La Juve ha due di vantaggio, c’è ancora la possibilità dello spareggio E invece no, perché l’Inter crolla a Catania all’ultima giornata. Ricordate il Clamoroso al Cibali di Sandro Ciotti? A questo punto la ripetezione con la Juve è inutile, perché lo scudetto è dei bianconeri. L’Inter per protesta manda la squadra Primavera. Tutto torna. Sembra un replay dei ragazzini di Vercelli. In quell’Inter primavera c’è anche Sandro Mazzola. Ha  18 anni, quella mattina deve sostenere tre esami di  ragioneria. Il preside si commuove: esami di prima mattina, un’auto ad aspettarlo fuori dalla scuola per portarlo a Torino, Finisce 9-1 per la Juve. Il gol interista è del debuttante Mazzola. Per Boniperti è l’ultima partita da calciatore.

Comincia una grande carriera per Sandrino in nerazzurro: quattro scudetti, due coppe Campioni, due intercontinentali, la Nazionale. Poi una storia che continua da dirigente in due riprese. 

L’altro sposino dello spareggio è il libero del Bologna Franco Janich. Che personaggio. Basti pensare ad una singolare scelta anagrafica: si fa cambiare la prima lettera  del cognome da I in J, voleva far credere di essere  uno slavo, che ne calcio aveva un certo fascino.

Studia da perito elettrotecnico, gioca nello Spilimbergo. Poi all’Atalanta, quindi alla Lazio per scelta di Fulvio Bernardini , che lo vuole con sé anche a Bologna vincendo la tircheria del presidente Dall’Ara poco disposto a spendere tanto per un difensore. E pensare che nel 1956 Janich stava per arrivare alla Lazio dallo Spilimbergo per 300 mila lire. Lo aveva proposto Alfonso Nisi, presidente del Bracciano, al vicepresidente della Lazio Mario Vaselli, che rifiutò: “Costa troppo poco per essere un calciatore”. Nisi è il personaggio che aveva scoperto il rifugio di Mussolini a Campo Imperatore. Janich arriverà alla Lazio dall’Atalanta due anni dopo per 30 milioni

E’ quindi Bernardini a credere a questo finto slavo. Per Janich il dottore è come un secondo padre sarà suo testimone di nozze assieme  a Paolo Carosi . E dire che proprio l’amore per Annamaria aveva creato qualche problema tra Janich e Bernardini. La futura signora Janich era campionessa di nuoto, faceva l’indossatrice, Franco la raggiungeva spesso a Milano e il tecnico temeva che potesse danneggiare la carriera del difensore. Dottore si faccia i fatti suoi. Janich lo dice con eleganza. Ma il senso è quello.

Davvero singolare questo libero del Bologna. La sua storia in Nazionale è racchiusa in due date: il debutto in azzurro nella famigerata Cile-Italia del 1962, passata alla storia come la battaglia di Santiago per le botte prese dai giocatori italiani, l’ultima di Janich in Nazionale è la sconfitta con la Corea ai mondiali del 1966: è l’unico calciatore azzurro ad aver preso parte ai due disastri sportivi che sono passati alla storia. Nella sua carriera c’è anche un altro pezzo unico: Janich gioca 426  partite in A senza mai segnare. Veramente un gol lo ha fatto nella porta sbagliata e nella partita sbagliata: quando era alla Lazio segna un’autorete decisiva in un derby con la Roma.

La sua ultima partita da calciatore nella Lucchese in serie C, dove era approdato dopo 11 anni di Bologna. Ci tiene tanto a giocarla  che dice al suo presidente: la Lucchese mi deve 2 milioni, ci rinuncio pur di scendere in campo. Si è mai visto un calciatore che paga pur di giocare nella sua squadra?

Poi la carriera di dirigente, che avrà a Napoli il suo momento migliore con l’acquisto Savoldi e il record di abbonamenti (70.405) che nemmeno Maradona è riuscito a battere e la costruzione del centro sportivo Paradiso. Per lui Stefano Benni inventa un neologismo quando fa dire a uno dei personaggi di Bar Sport “Janich baluastro della difesa rossoblù” sintesi tra baluardo e pilastro.

Gli sposini Janich e Mazzola giocheranno lo spareggio con esiti diversi. Gianni Brera assegna a Janich 9 in pagella: “E’ inferiore a Picchi per stile ed eleganza. Ma forse lo supera per potenza e capacità di stacco”. Mazzola viene bocciato con un 4. Scrive Brera: “E’ vuoto al punto che sembra si regga a stento”.

Ed eccoci alla grande sfida. Lo spareggio diventa un fatto di costume che va oltre l’aspetto agonistico.

Indro Montanelli sul Corriere della Sera nel giorno dello spareggio dedica ad Herrera la sua rubrica I protagonisti: “Era giusto che la partita decisiva si disputasse all’Olimpico. La storia ha le sue esigenze e vanno rispettate. L’unica città qualificata a porre sulla testa di Helenio Herrera la corona è quella che ne ha cinto il capo di Carlo Magno,di Arrigo VII e di Napoleone” . “Don Helenio ha dedicato a Herrera un libro modestamente intitolato Yo, che vuol dire Io”. E ancora : “In questo Paese dove si parla tanto di ‘organizzazione’, ma in realtà non si crede che ai miracoli, mancava l’uomo che potesse farne qualcuno, Più che chiamato da Moratti, Herrera fu evocato da questo bisogno nazionale. Era stato mago per modo di dire. Solo giungendo in Italia lo diventò per modo di fare”. Infine: “Don Helenio aveva capito la cosa più importante: che per guadagnare credito nel nostro Paese, bisogna anzitutto non parlarne la lingua”.

Su Tv7 il rotocalco Rai va in onda una ballata del poeta bagherese Ignazio Buttitta, che narra di Jair il moro. Eccone un brano: 

Chi sono questi? Chi sunnu sti cosi?

Uomini sono!  uomini tifosi !

E di tifosi la grande Roma è invasa

Calaru a Roma di Tanti paisi

e ficiru di Roma la so’ casa

sti sciamannati co’ mille divisi

simbuli caschi, trombe e gagliardetti.

E li romani? Giocheno  a tressette.

Soltanto la Rai non è sensibile all’evento: la partita si gioca alle 17, ma non verrà trasmessa in diretta, così come era avvenuto l’anno prima per la finale Milan-Benfica. Soltanto “cronaca registrata di un avvenimento agonistico” alle 22,25. All’orario della partita c’è la Tv dei Ragazzi: prima Yoghi, poi Lassie.

Ma il 1964 per la televisione di stato è l’anno dei grandi sceneggiati televisivi: la prima serie del commissario Maigret con Gino Cervi , che avrà tanto successo da continuare con altre tre serie che supereranno i 10 milioni di spettatori, I miserabili con Gastone Moschin, Mastro Don Gesualdo con Turi Ferro, I Grandi Camaleonti con Giancarlo Sbragia, Vita di Michelangelo con Gianmaria Volontè, Il Giornalino di Gianburrasca con Rita Pavone (ricordate Viva la pappa col pomodoro?). Ma quello che commuove gli italiani è La Cittadella con Alberto Lupo. E  proprio lui, il dottor Manson, tifoso del Bologna, sarà all’Olimpico con una grande bandiera rossoblù.

Viene definito lo spareggio miliardo: si calcola che arriveranno 40 mila spettatori che spenderanno  25 mila lire a testa.

Finalmente si gioca. Il numero magico è 11. Stavolta il mago è Bernardini, non Herrera. La mossa vincente è schierare all’ala sinistra col numero 11 il terzino Bruno Capra, che dovrà controllare l’11 dell’Inter Mario Corso. Ci riuscirà benissimo. E’ la partita numero 11 di Capra in quella stagione e 11 saranno i campionati del terzino in maglia rossoblù.

Si vede subito che l’Inter non sta in piedi, eppure resiste fino ad un quarto d’ora dalla fine. Scrive Gianni Brera: “ Il prolungamento della stagione agonistica è stato fatale all’Inter. Si sono visti i suoi resti, all’Olimpico: una sorta di labile ectoplasma di quella che era stata la squadra più grintosa e gagliarda del campionato.”

Il Bologna segna al 30′ della ripresa: punizione di Fogli, appena deviata da Facchetti. Poi a sei minuti dalla fine il raddoppio. Fogli, che merita con Janich il 9 in pagella di Brera, lancia Nielsen che segna. E’ scudetto, Racconterà Bulgarelli anni dopo:”Lo Bello fischiò la fine e mi assalì una strana sensazione . Eravamo campioni d’ Italia, ma stentavo a crederlo”.

Inutile dirlo: Lo Bello dirige alla grande. Per Bernardini vincere lo scudetto nella sua Roma ha un sapore speciale. La signora Nella, vedova del presidente Dall’Ara esclama: “ Sono felice e disperata”. In quattro parole la sintesi più emozionante dell’unico spareggio del calcio italiano.

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