Pubblicato: Mer, 23 Gen , 2013

Per Gaber io ci sono

Il programma cult(urale) di Fazio ha dedicato una puntata speciale a Giorgio Gaber, il cantautore milanese conosciuto come l’a(u)ttore del teatro canzone.

di Rosalba Barbato Di Giuseppe

NEWS_93352E’ uscito l’album tributo Per Gaber io ci sono un cofanetto ( sono 3 i CD ) che accoglie 50 tra i migliori interpreti italiani, cito l’eleganza di Sergio Cammariere, l’eccletismo di Franco Battiato, l’umanesimo di Roberto Vecchioni, l’anima calda jazz di Mario Biondi.
Ieri sera, su Rai tre, ”Che tempo che fa ” di Fazio ha dedicato una puntata speciale all’artista per commemorarne il decennale della morte. La scenografia dello studio mi ha ricordato un’atmosfera da Bar ( Casablanca), con tavoli e sedie occupate rispettivamente dalla famiglia di Gaber e dai rappresentati della Fondazione Gaber. La serata è stata raccontata attraverso il libro, uscito per la Mondadori, ”G. vi racconto Gaber” scritto dall’amico collaboratore Sandro Luporini, che non ha detto una parola, sembrava quasi uno spettatore speciale a cui avevano riservato un posto in prima fila, eppure le mani che giungeva di tanto in tanto, gli occhi lucidi, gli sguardi scambiati con Fazio sono bastati per fare di lui una presenza significativa. Curiosa è stata l’interpretazione a tre del monologo ”Qualcuno era comunista” aperta da Fabio Fazio che l’ha introdotta partendo dal perché si è socialisti e democristiani, interrotto dal fantastico comico Paolo Rossi che ha lasciato spazio anche a due politici che comunisti lo sono stati eccome: Fausto Bertinotti e Walter Veltroni, il primo visibilmente emozionato, il secondo forse più a suo agio. Superlativa la coppa Bisio-Jannacci (Paolo, figlio d’arte). Sorprendente (a mio modo di vedere) la partecipazione di Enzo Iacchetti, che ha avuto una perfetta padronanza del palco, del microfono, della sua straordinaria gestualità. Presente alla serata evento anche Patti Smith che ha cantato Io, come persona tradotta in inglese, per lei, dal nipote di Gaber, Lorenzo Luporini. Il signor G che stava dalla parte dei deboli, dei diseredati, della rivoluzione, ma pensava anche a Giuseppe, a quella persona che ci sta accanto, che diamo per scontato che ci sia.
Se Gaber fosse stato Dio, no, non era abbastanza intero, distaccato, no, non sarebbe servito, era un uomo, che riconosceva i suoi limiti, che non riusciva a riconoscersi allo specchio, (Guardo molto dentro me stesso. Non è rabbia: è autoanalisi. Serve a farmi capire gli altri, ma serve anche a me per resistere all’omologazione imperante)
Si faceva lo shampoo per sentirsi leggero, per sentirsi coccolato. Un uomo che cercava un gesto naturale, che si interrogava ogni giorno, facendo finta di essere sano. Sembrava un uomo e invece… era un uomo-sfera, una palla che sobbalzava, sconquassato dagli eventi insorgeva, era un cane sciolto che avrebbe voluto mangiare un’idea, raggiungere il vero luogo del pensiero: l’utopia. Un uomo adulto, un figlio ormai lontano, un’accattone di affetto, un’intellettuale,era Gildo il compagno di letto di ospedale.
Chiese scusa quando non volle più militare, ( in dialogo tra un impegnato e non so scelsi il non so) si vergognava un po’, a stare lì a cronometrare il mondo, si affliggeva, sospirava, aveva scoppi di illogica allegria mentre guidava alle prime luci del mattino lungo l’autostrada.
Quelli che dividono il loro plus-amore tra il computer e il gatto, dovrebbero ascoltarlo di più per non avere più la pressione bassa,per sciogliere un dilemma, per far tremare meno il dente della conoscenza. Ieri è stata una buona occasione per scoprirlo e riscoprirlo. Le sue canzoni sono materia di approfondimento, riascolto, discussione, da fare necessariamente per la strada, per dare spazio a verifiche e confronti sulla società, su se stessi.

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