Morto Ariel Sharon
Dopo anni di coma è spirato Ariel Sharon. Personaggio estremamente complesso, fu prima falco e poi artefice del ritiro israeliano da Gaza
È morto, dopo 8 anni di coma, Ariel Sharon. L’ex primo ministro israeliano era stato colpito da un ictus nel dicembre 2005 e quindi da un’emorragia cerebrale il 4 gennaio 2006, da quel momento è entrato in coma vegetativo fino a quando, in questi giorni, il progressivo peggioramento delle condizioni degli organi vitali l’ha portato lentamente alla morte.
Sharon può essere definito, per usare un eufemismo, un personaggio controverso. È stato prima uno degli esponenti più nazionalisti e fieri oppositori dei Palestinesi e poi, una volta diventato premier, tra quelli ad aver compiuto i maggiori passi in avanti verso la pace. Fu lui infatti ad ordinare il ritiro unilaterale, sia dei militari e soprattutto dei coloni, da Gaza e dagli insediamenti in Cisgiordania.
Di origine lituana, nato nel 1928 a Kfar Malal, nell’attuale centro-nord d’Israele, iniziò la carriera militare già a 15 anni arruolandosi nell’Haganah (formazione paramilitare ebraica attiva prima della creazione dello Stato d’Israele) arrivando al grado di generale a soli 28 anni. Memorabili i contrasti che ebbe con il ministro della Difesa Moshe Dayan, frizioni che lo indussero, nonostante i grandi meriti acquisiti durante la Guerra dello Yom Kippur, ad abbandonare l’esercito ed iscriversi al Likud, partito di destra e in opposizione al laburista Dayan.
Una volta entrato in politica fu più volte ministro fino a quando non divenne premier nel 2001. Quelli sono i mesi della cosiddetta Seconda Intifada, che Sharon, da candidato, contribuì a scatenare con la famigerata e provocatoria passeggiata nella “Spianata delle Moschee”, luogo sacro per i musulmani e controllato a Gerusalemme dai Palestinesi. Durante il primo mandato conferma la sua fama di falco procedendo alla violenta repressione dell’Intifada, reagendo con forza crescente agli attentati terroristici palestinesi e isolando Arafat a Ramallah. Dopo la rielezione del 2003 inizia la costruzione del “Muro di difesa”, una barriera che separa fisicamente Israele e Cisgiordania al fine di impedire il passaggio di terroristi e armi. Da quel momento però la sua politica nei confronti dei Palestinesi cambia, se per pragmatismo o per convinzione non è dato sapersi. Nel 2004 Sharon annuncia infatti il rivoluzionario ritiro unilaterale di Israele da Gaza e Cisgiordania. A creare un forte malcontento in Patria è lo sfratto, in alcune occasioni violento, di circa 8 mila coloni israeliani dai loro insediamenti in terra palestinese. La frattura causata da questa scelta portò Sharon ad abbandonare il partito di cui era leader, il Likud, per creare un nuovo partito centrista, Kadima, all’interno del quale confluirono anche diversi laburisti tra cui il premio Nobel Shimon Peres.
Entrato in coma nel 2006 Sharon non poté vedere il suo partito trionfare alle elezioni di quell’anno né vedere il termine del processo di pace. Se questo si pensava che, con il ritiro da Gaza, potesse finalmente giungere a conclusione in realtà si è arenato. Gaza è ormai in mano ad Hamas che bersaglia quotidianamente le città israeliane di confine con centinaia di razzi e per tutta risposta Israele, guidata dal 2009 dal Likud di Netanyahu, non esita a bombardare o assediare la Striscia interrompendo le forniture di elettricità. Inutile dire che così facendo, sia gli uni che gli altri, non fanno altro che affossare le speranze di pace che, a più di 60 anni dall’inizio del conflitto, appaiono lontane come non mai.