“Le Vespe” di Aristofane al Teatro Greco
A distanza di due millenni, la pungente satira politica del commediografo risulta attuale e fa riflettere ancora oggi
In occasione del centenario della Fondazione INDA (Istituto Nazionale Dramma Antico), al Teatro Greco di Siracusa, va in scena “Le Vespe”, pungente commedia di Aristofane, inserita nel più ampio programma di celebrazioni dedicate alla prima edizione del 1914. A dare il via all’azione comica sono due personaggi, Sosia e Santia (Sergio Mancinelli ed Enzo Curcurù), che, sbucando fuori da una botola, introducono l’antefatto: l’anziano Vivacleone (libero adattamento del nome originale Filocleone, nella nuova traduzione di Alessandro Grilli), interpretato da un brillante Antonello Fassari, è tenuto prigioniero dal figlio Abbassocleone che lo critica per la sua mania di partecipare ai processi (ottima perfomance di Martino D’Amico in questo ruolo). La scena si svolge in un alveare ideato dal genio di Arnaldo Pomodoro, firma illustre anche dei costumi che aiutano lo spettatore ad entrare nella dimensione ronzante dei pericolosi insetti. Lo spettacolo è ricco di trovate divertenti che giocano con la morfologia delle vespe: una Vespa Piaggio è spesso utilizzata per l’entrata e l’uscita dei personaggi, così come un’ApeCar il cui vano posteriore è affollato da ebbri partecipanti del simposio finale. I costumi del coro, dotati di ali e strisce gialle e nere, identificano un agguerrito sciame di vecchi pungolosi pronti a difendere il loro compagno di giudizio. Ma il vero elemento comico è dato dalla presenza della musica della Banda Osiris: il celebre ensamble di ottoni, caratterizzato dalla vena comica e dalla grande capacità d’inventiva musicale, puntella lo spettacolo con interventi la cui ironia è data dalla citazione di brani come “Money money money” degli ABBA, eseguito quando Vivacleone sogna di vivere agiatamente grazie agli oboli ricevuti per la sua carica di giudice popolare. Ancora, la preghiera iniziale agli dei del protagonista si trasforma in un rap sostenuto dal beatbox della stessa Banda Osiris. La comicità lascia spazio al romanticismo quando il basso tuba dotato di tutù rosa, i tromboni privati delle loro culisse e le stesse, si trasformano in una leggiadra ballerina nella scena finale delle danze. Sorprende la capacità della regia di Mauro Avogadro di attualizzare la comicità della commedia, basata sul confronto generazionale padre-figlio, che vede contrapporsi due modi opposti di interpretare il governo vigente, giocata sull’interazione col pubblico a cui sono rivolte battute e riferimenti che lo divertono, coinvolgendolo e rendendolo partecipe, così come previsto dalla rottura della quarta parete tipica del teatro aristofaneo. La funzione principale di tale innovazione era quella di poter fare una satira politica in forma non troppo esplicita, ammiccando ad una popolazione che certamente avrebbe compreso il significato di quella comicità. La difficoltà principale nella resa di questo tipo di ironia consiste nel tentativo di traslare il tutto ai nostri giorni: le battute che facevano ridere allora nascevano da situazioni specifiche di circa 2.500 anni fa e faticosamente attualizzabili oggi. Il merito di Avogadro è proprio quello di essere riuscito a trovare riferimenti non tanto col tema della giustizia, quanto piuttosto spostando l’attenzione sulla corruzione, il populismo e la demagogia spesso associate da Aristofane alla figura di Cleone. Questi, uomo politico che fece leva sugli strati più deboli della popolazione, anziani e meno abbienti in particolare, riuscì ad acquisire i consensi necessari per spadroneggiare a suo piacimento. Dal confronto tra Vivacleone e il figlio emerge come l’anziano uomo si ostini a non voler abbandonare i tribunali perché fermamente convinto che da ciò gli derivi un compenso politico e giuridico nonché economico. Il giovane moralista insiste a spiegare all’anziano genitore l’inequità di una simile distribuzione di denaro, cercando di mostrargli come in realtà Cleone non stia facendo altro che curare i propri interessi. Proprio questa sembra essere la chiave di lettura che maggiormente avvicina un testo antico più di due milleni ad una società del XXI secolo come la nostra, in cui si ritrovano ancora oggi le stesse strategie demagogiche. Rimane da sperare che anche noi un giorno, non troppo lontano, troveremo la stessa lucidità con cui Abbassocleonte riesce a leggere il suo tempo.
Maria Linda Piccione