La sentenza di condanna di Giuseppe Ayala
L’ex magistrato era stato condannato per aver definito il fratello del giudice Borsellino «una persona con problemi di sanità mentale»
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale Ordinario di Milano
In composizione monocratica
SEZIONE 2° PENALE
composto dal Sig. Magistrato
DOTT. Lucio Nardi Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa penale contro Ayala Giuseppe nato a Caltanissetta il 18/05/1945 elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avvocato Madia Titta sito in Roma via dei Colli della Farnesina n.144. Libero contumace
difeso di fiducia dall’avvocato Madia Titta con studio in Roma alla via dei Colli della Farnesina n.144 e dall’avvocato Palazzo Fabio Marzio con studio in Corso Venezia n.61
IMPUTATO
del delitto previsto e punito dall’art.595 commi 10,20 e 3° comma c.p., per avere leso la reputazione di BORSELLINO SALVATORE rendendo una video-intervista a Giulia Sarti del “Movimento 5 Stelle”, in occasione di uno spettacolo teatrale tratto da un libro scritto dallo stesso Giuseppe Ayala, nel corso della quale, riferendosi a Borsellino Salvatore, affermava che trattavasi “palesemente di un caso umano” e che le domande pubblicamente rivoltegli dallo stesso con riferimento alla strage di via D’Ameno, e segnatamente concernenti un incontro al Viminale che Paolo Borsellino avrebbe avuto con l’allora Ministro dell’interno e con riguardo alla c.d, “sparizione della agenda rossa”,supporto cartaceo sul quale Paolo Borsellino annotava gli avvenimenti di maggiore importanza, in particolare dopo la strage di Capaci,erano “farneticazioni di una persona che non stava bene” ovvero che Salvatore Borsellino sarebbe affetto da “problemi di sanità mentale” e che” quelle di Salvatore Borsellino non sono domande…. sono farneticazioni….me ne assumo la responsabilità…..di una persona che non sta probabilmente bene…e non sono il solo che lo dice… ‘aggiungendo poi che ” anche Abele aveva un fratello”, accostando in tal modo la persona di Salvatore Borsellino a quella di “Caino”
In Arese,4 novembre 2010
Parte civile: Borsellino Paolo rapp.to e difeso dall’avvocato Repici Fabio con i studio in Messina in piazza Basicò is.321 n.2
Conclusioni del Pubblico Ministero: assoluzione per non aver commesso il fatto dovendosi applicare l’art. 599 cp.
Conclusioni della parte civile: come da comparsa conclusionale e nota spese.
Conclusioni della difesa: si associa alle conclusioni del PM.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con decreto di citazione diretta del PM in data 21 novembre 2011 Ayala Giuseppe, meglio generalizzato nell’intestazione, veniva citato in giudizio per rispondere del reato di diffamazione aggravata per aver offeso la reputazione di Borsellino Salvatore rendendo una video-intervista a Giulia Sarti del “Movimento 5 Stelle” durante la quale avrebbe pronunciato le frasi meglio specificate nel capo di imputazione. La persona offesa si costituiva parte civile chiedendo il risarcimento dei danni subiti. La difesa dell’imputato, munita di procura speciale, chiedeva procedersi con le forme del rito abbreviato. Veniva ammesso il rito e prodotto il fascicolo del PM. All’esito del giudizio, svoltosi nella contumacia dell’imputato, il Tribunale, sulle conclusioni delle parti, pronunciava sentenza dandone lettura del dispositivo all’udienza del 18 ottobre 2013.
Le circostanze che risultano dagli atti consentono di giungere con certezza ad affermare la penale responsabilità dell’imputato per il reato in questa sede a lui contestato, non residuando alcun dubbio né sulla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, né sulla piena consapevolezza e volontà della condotta, intenzionalmente posta in essere.
Ayala Giuseppe è accusato di aver leso la reputazione di Borsellino Salvatore rendendo una video-intervista a Giulia Sarti del Movimento 5 Stelle nel corso della quale, riferendosi appunto a Borsellino Salvatore, affermava che si trattava “palesemente di un caso umano” e che le domande pubblicamente rivoltegli dallo stesso con riferimento alla strage di via D’Ameno, e segnatamente concernenti un incontro al Viminale che Paolo Borsellino avrebbe avuto con l’allora Ministro dell’Interno e con riguardo alla c.d. sparizione dell’agenda rossa, erano “farneticazioni di una persona che non sta bene” ovvero che Salvatore Borsellino sarebbe affetto da “problemi di sanità mentale” e che “quelle di Salvatore Borsellino non sono domande….sono farneticazioni….me ne assumo la responsabilità….di una persona che non sta probabilmente bene…,e non sono il solo che lo dice’,’ aggiungendo poi che “anche Abete aveva un fratello’:
Il tenore letterale delle frasi usate dall’imputato e le modalità di divulgazione delle stesse risultano provate per via documentale e, in ogni caso, non sono contestate dall’imputato (agli atti è allegato il dvd dell’intervista).
Ora, la vicenda deve inquadrarsi in alcuni antefatti avvenuti qualche mese prima dell’intervista.
Dagli atti risulta, infatti, che nel settembre del 2010 il dottor Ayala aveva mosso dure critiche ad alcuni magistrati palermitani titolari, all’epoca, di un procedimento in fase d’indagine particolarmente delicato: il procedimento per la trattativa Stato-Mafia e, a proposito di quei magistrati, il dottor Giuseppe Ayala aveva affermato che era del tutto ingiustificato che questi ultimi continuassero ad avere la scorta.
Altra questione evidenziata dall’attuale parte offesa su “il Fatto Quotidiano” del settembre 2010, riguardava, poi, la circostanza specifica del prelevamento della borsa di Paolo Borsellino dopo la sua morte e la conseguente scomparsa della sua agenda rossa, in relazione alla quale il dottor Ayala aveva fornito — a dire della parte offesa – diverse versioni tale da indurlo a formulare delle insinuazioni sul comportamento dello stesso Ayala anche con riferimento al verificarsi o meno dell’incontro tra Paolo Borsellino e l’allora ministro Nicola Mancino.
La difesa dell’imputato, richiamando il 2° comma dell’art. 599 c.p., evidenzia la non punibilità dell’imputato in quanto, con le frasi pronunciate nel corso dell’intervista, avrebbe reagito al fatto ingiusto altrui costituito proprio da tali insinuazioni.
Non può condividersi, tuttavia, la tesi della difesa. La norma richiamata, infatti, presuppone che la reazione avvenga nello stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui e subito dopo di esso.
Come risulta dagli atti, invece, le frasi offensive risultano pronunciate dall’imputato dopo un mese e mezzo circa dalle insinuazioni della parte offesa (27 settembre – 4 novembre 2010).
D’altra parte non può trascurarsi il fatto che, nel caso in esame, da un lato, ci si trova di fronte ad una persona che ha svolto notoriamente il lavoro di magistrato, con decenni di anzianità, parlamentare per molte legislature ed anche sottosegretario alla Giustizia e dall’altro, al fratello del giudice ammazzato dalla mafia nella strage di via D’Amelia del 1992 al quale deve essere riconosciuto, fin in fondo, il suo diritto di capire, di ottenere risposte ai suoi interrogativi, soprattutto laddove possano apparirgli delle lacune o contraddizioni in merito al tragico evento.
Il risentimento che può aver avuto l’imputato, a parte la distanza di tempo dalla provocazione (circa 2 mesi), doveva essere controllato oltre che per la sua particolare posizione, anche per il fatto che le domande gli venivano poste dal fratello di un magistrato assassinato che legittimamente pretende di conoscere la verità.
L’imputato non è, infatti, una persona qualunque e, perciò, deve saper tenere a freno le sue dichiarazioni. Egli, invece, afferma ‘Anche Abele aveva un fratello” e temendo che l’intervistatrice non abbia capito a cosa alludesse, dice “Non so se sono stato chiaro, anche Abele aveva un fratello’: E poi di nuovo “Problemi di sanità mentale’. “Quelle di Salvatore Borsellino non sono domande sono farneticazioni. Me ne assumo la responsabilità”
Non sembra affatto, perciò, che si possa parlare di stato d’ira provocato dal fatto ingiusto altrui: l’imputato è consapevole della valenza offensiva delle frasi pronunciate tanto che dichiara di assumersene la responsabilità.
D’altra parte, agli atti è prodotta una lettera al direttore di `Micromega” che riporta la lettera aperta dell’ingegner Borsellino del 5 ottobre 2010 dalla quale si può dedurre che già il 5 ottobre la vicenda sembrava fosse in qualche modo chiarita. Erano, infatti, intervenuti, in difesa della personalità del dottor Ayala, Alfredo Morvillo e Maria Falcone, notoriamente fratello di Francesca Morvillo e sorella di Giovanni Falcone.
Quanto, poi, alla portata denigratoria delle espressioni usate dall’imputato, non v’è alcun dubbio. Il valore semantico delle singole espressioni utilizzate e il tenore assertivo e definitivo delle stesse convincono pienamente della loro portata diffamatoria ai danni di Borsellino Salvatore.
In definitiva Ayala Giuseppe afferma, in termini convinti e in forma positiva, che Salvatore Borsellino è una persona che ha problemi di sanità mentale e che i suoi interrogativi in merito alle questioni di cui si è detto sono farneticazioni. Infine, non sembra possano esservi altre interpretazioni sulla dichiarazione “anche Abele aveva un fratello” se non quella indiretta che Borsellino Salvatore era Caino, l’assassino del fratello.
Alla luce di tali considerazioni, si ritiene integrato il reato di diffamazione aggravata previsto dall’art. 595 cp di cui l’imputato dovrà rispondere. E’, peraltro, pienamente provata la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. Non v’è, infatti, dubbio che l’Ayala fosse perfettamente consapevole che le espressioni utilizzate e oggi contestate avessero un intrinseco carattere lesivo della reputazione altrui stante l’inequivoco significato letterale delle stesse. Tra l’altro, come è noto, ai fini dell’integrazione del reato in esame, non occorre la sussistenza del dolo specifico, ossia l’animus diffamandi cioè l’intenzione dell’imputato di ledere la reputazione della persona offesa.
Con riferimento al trattamento sanzionatorio, non sussistono elementi positivamente valutabili ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, non risultando, a tal fine, sufficiente il mero stato di incensuratezza dell’imputato.
Quanto all’entità della sanzione penale da irrogare, avuto riguardo alla particolare gravità del fatto (desumibile dalla delicatezza della vicenda giudiziaria oggetto dell’articolo in contestazione), e all’intensità del dolo, secondo i criteri direttivi stabiliti dall’art. 133 c.p., il Tribunale ritiene adeguata la pena finale di euro 2.000,00 di multa cui si giunge partendo dalla pena base di euro 3000,00 ridotta di un terzo per effetto della diminuente connessa alla scelta del rito abbreviato.
La condanna comporta l’obbligo del pagamento delle spese processuali.
Letta la costituzione di parte civile di Borsellino Salvatore, considerata la particolare gravità del fatto lesivo della reputazione e della dignità dello stesso (vedi supra) e ritenuta provata, per i motivi già detti, la sussistenza di un danno di natura morale eziologicamente riconducibile al fatto-reato imputabile all’Ayala,
il Tribunale ritiene doversi condannare, in via equitativa, l’imputato al pagamento della somma di € 15.000,00 in favore della costituita parte civile.
L’imputato medesimo deve altresì essere condannato alla refusione delle spese di costituzione e difesa in giudizio sostenute dalla persona offesa che si liquidano in complessivi euro 1.800,00 oltre accessori di legge.
Il contemporaneo impegno dell’estensore nella redazione di altri provvedimenti impone la fissazione di un termine di 90 giorni per la motivazione.
P.Q.M.
Letti gli artt. 533-535 e 442 Cpp
dichiara
Ayala Giuseppe responsabile del reato a lui ascritto e, per l’effetto, lo
condanna
alla pena di euro 2.000,00 di multa oltre al pagamento delle spese processuali. Letti gli artt. 538 e segg. cpp
condanna
l’imputato al risarcimento di tutti i danni patiti dalla costituita parte civile che si liquidano, anche in via equitativa, nella complessiva somma di euro 15.000,00 oltre alla rifusione delle spese di costituzione e difesa che si liquidano nella complessiva somma di euro 1.800,00 oltre accessori di legge.
Letto l’art. 544 cpp fissa in giorni 70 il termine per la motivazione.
Milano, 18 ottobre 2013
Il Giudice
dott. Lucio Nardi