Don Luigi Ciotti e «il rispetto della verità»
Il fondatore di Libera risponde al ragazzo che lo aveva accusato di averlo picchiato. «Provo grande amarezza, ma continueremo il nostro cammino»
A distanza di poco più di una settimana dal polverone sollevato dalle dichiarazioni rilasciate al quotidiano Libero da Filippo Adriano Lazzara, in merito alle presunte «pedate» ricevute da don Luigi Ciotti, è arrivata la tanto attesa versione del sacerdote.
Don Ciotti non nasconde di provare una «grande amarezza» per come è stata riportata la vicenda dalla testata diretta da Belpietro, così come il rapporto che lo lega al ragazzo. Avrebbe preferito lasciar correre o comunque non dare troppo peso a quelle parole, anche per «rispetto della fragilità di Filippo». «In questi anni – scrive – mi sono sempre imposto, a fronte di dicerie e cattiverie arrivate da più parti, di tacere», ma, considerando anche la vasta risonanza suscitata dalla notizia, «credo sia necessario fare chiarezza e sgombrare il campo da molte falsità».
Prima, però, di raccontare come sono andati i fatti durante quel famoso incontro del 5 marzo 2011 avvenuto nella sede del Gruppo Abele di Torino, il fondatore di Libera ritiene doveroso descrivere il contesto in cui si inserisce l’accaduto, «per non incorrere in inesattezze, giudizi sommari, ricostruzioni inattendibili o motivate da scopi non propriamente nobili». Don Ciotti sottolinea come ormai da quasi mezzo secolo il Gruppo Abele tenda una mano a chiunque si trovi in difficoltà, che sia essa sociale e/o economica, «tenendo sempre la porta aperta». Una scelta non facile, ma alla quale gli aderenti all’associazione tengono fede quotidianamente, ben consapevoli delle difficoltà che incontrano nel realizzare il loro obiettivo principale , e cioè l’accoglienza delle persone che chiedono aiuto per i motivi più diversi. Filippo, insieme alla compagna Antonietta, fa proprio parte di queste persone.
La prima volta che la coppia si rivolge sia al Gruppo Abele che a Libera risale al 17 giugno 2010. Cercano il sostegno delle associazioni, e in particolare quello di Don Ciotti, affinché possano costruirsi un futuro nella loro amata Sicilia. Quello che chiedono (è lo stesso sacerdote a riportare quella accorato appello) è di essere «tirati su da voi, non solo metaforicamente ma di fatto… disponibili a tutto pur di farci una famiglia». A quella richiesta carica di speranza, don Ciotti non sa dire di No. «Incontro Filippo e Antonietta durante una mia trasferta in Sicilia, e mi offro di cercare una soluzione ai loro problemi. All’inizio di settembre vengono accolti nella Certosa di Avigliana, la struttura residenziale nella quale il Gruppo svolge le sue attività di formazione, all’epoca ancora in via di completamento dal punto di vista dell’abitabilità, dell’organizzazione del lavoro e del progetto culturale. Fin da subito, però, iniziano i problemi». Il prete, come era già emerso dalla lettera privata indirizzata al giovane e scritta il giorno dopo l’appuntamento, descrive Filippo come «impulsivo, conflittuale, indisponibile a stabilire un rapporto rispettoso con le persone che lavorano in Certosa, dagli operatori agli operai impegnati nel cantiere. […] È preda di vere e proprie fissazioni». La situazione diventa giorno dopo giorno sempre più invivibile, tanto che il 7 novembre 2010 i due fidanzati vengono trasferiti a Torino in un appartamento in uso al Gruppo Abele. «Di lì a poco, Antonietta verrà regolarmente assunta in uno dei nostri progetti educativi, mentre si continua a cercare per Filippo, dentro o fuori al Gruppo, una collocazione idonea. Ciò nonostante l’atteggiamento da parte sua non cambia».
È don Ciotti in persona a rendersene conto quando, soltanto pochi giorni dopo il trasferimento, riceve un lungo messaggio nel quale sarebbe stato aspramente rimproverato da Filippo per non aver risposto subito a una sua richiesta di colloquio. «A colpirmi è però soprattutto il passaggio in cui, rievocando le difficoltà incontrate in Sicilia, scrive di aver “praticato sul campo, come forza civile e sociale, antimafia e giustizia, scottandomi arrabbiandomi. In prima persona e senza ricerca di poltrone effimere ma di opinione opere e coscienza critica! Subendo denigrazioni, alcune cercate da me, per creare il personaggio e per guasconamente disarmare o’ sistema”». Seguiranno altri messaggi, «segni di un preoccupante egocentrismo, tale da falsare la percezione della realtà», ma ai quali don Ciotti preferisce soprassedere. E questo nonostante continuino «le pretese, le rimostranze, le ossessioni. E nei miei riguardi il tono comincia a farsi minaccioso». Gli sms si riveleranno la premessa di quanto poi sarebbe accaduto quasi tre anni dopo. Con un ennesimo messaggio carico di aggressività, il ragazzo avrebbe persino avvisato don Ciotti del progetto che evidentemente bolliva in pentola da tempo: «Non ho più niente da perdere, mi dispiace, ma ciò che accadrà non sarà colpa mia, non volevo ciò, ma la colpevole indifferenza è una dichiarazione personale di guerra! E guerra sia! Saluti dalle redazioni di Libero e Padania…». Si arriva così all’incontro del 5 marzo 2011.
«La stanchezza e il suo atteggiamento provocatorio mi fanno perdere la calma», confida don Ciotti che tiene a precisare di non aver «“preso a cazzotti” nessuno, come è scritto nell’articolo di Libero, tantomeno ho dato “pugni in faccia”, come invece si dirà nella denuncia ai Carabinieri». Esasperato dalla sua insolenza, l’avrebbe «allontanato con molta decisione, come farebbe un fratello maggiore nei confronti del fratello più piccolo». Il giorno dopo gli scriverà la lettera di scuse, facendogli però notare che «quel suo modo di fare non favoriva certo una pacata discussione», invitandolo quindi per un secondo incontro, al fine di «ricostruire insieme un progetto: senza pretese e con reciproca disponibilità». Il 7 marzo Filippo risponde: «La scorza ce l’ho dura!… E poi un po’ provocatore lo sono! A volte anche per attirare l’attenzione! Volentieri per sabato alle 18! Speriamo che con il GIORNALE niente accada… Il tuo gesto un po’ fragile ti rende più grande e grandissimo nel chiedermi scusa. Chiedo scusa per il caos a te e a quanti in buonafede». La stessa sera, però, si reca al pronto soccorso dell’Ospedale Maria Vittoria di Torino. «“Riferisce lesioni” è scritto nei referti. Ma gli stessi referti, in seguito agli esami predisposti (TAC e raggi al ginocchio sinistro) non evidenziano alcun danno». Il 12 marzo si rivedono alla sede del Gruppo Abele e s’impegnano reciprocamente per cercare un nuovo lavoro a Torino. «Nel frattempo, vista la sua fragilità, gli consiglio di essere seguito da uno psicoterapeuta e da un neurologo che lo sorreggano e aiutino nei suoi momenti di difficoltà: Filippo accetta il consiglio». La ricerca del lavoro si fa più difficile del previsto e il sacerdote si impegna a sostenere il ragazzo anche economicamente per il tempo necessario nel suo ritorno in Sicilia e nella ricerca di una nuova opportunità di vita. «I vaglia e bonifici spediti tra la fine di giugno e la fine di ottobre sono lì a dimostrarlo. Non mi pare il comportamento di chi voglia abbandonare una persona, tanto meno fargli “terra bruciata attorno”, come è scritto nell’articolo». Poco prima però di ritornare nell’isola insieme alla fidanzata, il 3 giugno Filippo si reca alla stazione dei Carabinieri Torino-Monviso per riferire ciò che è avvenuto il 5 marzo. «La denuncia/ querela contiene diverse falsità – dai “pugni in faccia” mai ricevuti, all’interruzione del rapporto con la Certosa, “per motivi di ristrutturazione”». Denuncia che, come già sappiamo, verrà ritirata nei giorni successivi. Continueranno anche i messaggi e le email, ma con toni radicalmente diversi, se non addirittura affettuosi e che seguiranno per tutto il 2012.
Ma ecco che, incomprensibilmente, l’atteggiamento di Filippo Lazzara nei confronti di don Ciotti sembra essere tornato quello di prima, vista la decisione di diffondere quella lettera e rendere pubblici i fatti che l’avevano preceduta. O, almeno, una parte di essi. Da qui la decisione del sacerdote di difendersi non soltanto attraverso una ricostruzione di quegli eventi scritta sul sito di Libera, ma anche in sede giudiziaria. «Episodi come questo – si legge in conclusione – amareggiano e ti fanno venire la tentazione di diventare più selettivo, più diffidente. In una parola: più avaro. Ma è una tentazione che dura un solo istante. Voglio rassicurare tutti (e anche Filippo, innanzitutto) che il Gruppo Abele e Libera continueranno nella loro attività con la stessa fiducia, disponibilità, voglia di scommettere sulle persone, sulla loro sete di dignità e libertà. Ma anche con la stessa coscienza dei limiti, con gli stessi dubbi fecondi che hanno sempre accompagnato il nostro cammino».