Pubblicato: sab, 28 Giu , 2014

Dell’Utri, sul Corriere della Sera una pagina di solidarietà

“Il peccato sEnza la vergogna”: messaggi di amici e colleghi per l’ex senatore detenuto con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Scoppia la polemica

094346097-d62c443d-2075-4259-9ccc-df56599f5dd8Un’intera pagina del Corriere della Sera dedicata a Marcello Dell’Utri, con decine e decine di messaggi di sostegno per l’ex senatore di Forza Italia condannato in via definitiva a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa e attualmente detenuto presso il carcere di Parma (lo stesso di Salvatore Riina e delle “cadute” di Provenzano). Si leggono i simil post-it colmi di stima dell’autista Giuseppe Mariani e della segretaria Ines, quello che esprime vicinanza da parte dei lavoratori di Publitalia (la concessionaria di pubblicità del gruppo Mediaset), «orgogliosi per aver avuto il privilegio di collaborare con lui», e persino la gratitudine della Bacigalupo (la società calcistica fondata insieme al fratello Alberto nel 1957). C’è pure chi cita Ronald Reagan («Freedom is never more that one generation away from extinction») e chi il legislatore ateniese Solone, e chi ricorda la comune passione per i libri. Al centro dell’avviso a pagamento, costato 50mila euro a Miranda Ratti, moglie dell’ex parlamentare, campeggia la grossa scritta: “Al tuo fianco, Marcello”. Amici e colleghi stretti in un abbraccio virtuale, pubblicato qualche giorno fa sul quotidiano di via Solferino. Comprensibili e immediate le repliche di protesta.

In una nota fatta pervenire in serata, la rappresentanza sindacale dei giornalisti (comitato di redazione) del Corriere ha criticato duramente la scelta della direzione di accettare la pagina. Per i rappresentanti della redazione, infatti, «sarebbe stato più opportuno rifiutare» ed «è comunque inaccettabile che la direzione del Corriere della Sera abbia deciso di pubblicare un testo simile senza sentire quantomeno il bisogno di prenderne le distanze». Per il comitato di redazione, inoltre, con tale episodio «è stato costituito un imbarazzante precedente. Da oggi ci chiediamo come il Corriere potrà rifiutare analoghe richieste degli amici di altri condannati per mafia, seppur meno noti di Marcello Dell’Utri».

Per la verità, «un precedente» c’è ed è pure «imbarazzante», fosse solo perché reiterato da 15 anni. È “l’omaggio” che ogni 30 novembre il Giornale di Sicilia dedica al boss Francesco Messina Denaro, padre di quel Matteo ricercato dal 1993. Un necrologio di poche righe, di anno in anno sempre più scarno, ma che non è mai un “semplice” necrologio. È chiaro. Lo sanno bene i cittadini, soprattutto gli abitanti di Castelvetrano (se dovessero dimenticare anche solo per un attimo quanto sia ancora presente la famiglia Messina Denaro sul territorio, c’è quel necrologio a ricordarglielo). E lo sa certamente anche la famiglia Ardizzone, principale azionista della Giornale di Sicilia Editoriale Poligrafica Spa. Tutto lecito e legale, per carità. Forse, però, rifiutare per una volta la pubblicazione di quel necrologio potrebbe essere un passo importante agli occhi dell’opinione pubblica. Perché è facile parlare di antimafia, ma farla è tutt’altra cosa. C’è poi il quotidiano catanese la Sicilia, fondato e diretto da Mario Ciancio Sanfilippo, tuttora indagato dalla Procura etnea per concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Proprietario di quote azionarie del Giornale di Sicilia, della Gazzetta del Sud e della Gazzetta del Mezzogiorno (senza contare le partecipazioni in La7, Mtv, Telecom, Tiscali, L’Espresso-Repubblica), Ciancio Sanfilippo si rifiutò di pubblicare il necrologio di Beppe Montana, il poliziotto ucciso dalla mafia nel 1985. Non fece, però, altrettanto il 9 ottobre 2008, riportando sul proprio quotidiano una lettera di Vincenzo Santapaola, il figlio maggiore di Nitto Santapaola, detenuti entrambi al 41 bis. Ed è proprio il regime di carcere duro, l’oggetto principale della lunghissima missiva, che terminava con un accorato appello affinché potesse essere considerato «una persona normale», «un uomo qualunque che vuole vivere la propria vita». Insomma, pare che farsi beffa a mezzo stampa della giustizia, non sia poi così difficile. E se a permetterlo, in modo peraltro così plateale, sono gli stessi giornalisti che, oltre a garantire un’informazione corretta, hanno un dovere etico nei confronti dei propri lettori, allora c’è davvero qualcosa di profondamente inquietante. Per non parlare della vergognosa offesa recata a tutte le vittime di mafia e ai loro famigliari. “La mafia è una montagna di merda”. È arrivato il momento che qualcuno abbia il coraggio di scendere.

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