Pubblicato: Mer, 15 Gen , 2014

Mafia, Totò Riina: ventuno anni fa l’arresto

La belva più feroce di Cosa nostra veniva catturata dagli uomini del Capitano Ultimo, poco lontano dalla villa dove aveva trascorso alcuni anni di latitanza insieme alla moglie e ai figli

Arresto_riinaIl 23 maggio ricordiamo il giudice Giovanni Falcone, ucciso a Capaci dall’esplosione di 400 kg di tritolo, insieme alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Il 19 luglio, appena cinquantasette giorni dopo da quella strage, celebriamo il ricordo di un’altra: quella di via d’Amelio, in cui morirono il giudice Paolo Borsellino, il caposcorta Agostino Catalano e gli agenti Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Il 29 agosto del 1991 Cosa nostra uccise l’imprenditore Libero Grassi perché si era rifiutato di cedere ai suoi ignobili ricatti. Ogni anno viene posta una corona d’alloro sul luogo dell’omicidio. Il mese di gennaio è ricco di commemorazioni: il 5 fu ammazzato Peppe Fava, l’8 Beppe Alfano, il 26 Mario Francese. Tutti giornalisti caduti sotto il piombo della mafia. Il 15 settembre avremmo potuto festeggiare il compleanno di padre Pino Puglisi, magari insieme ai tanti bambini di Brancaccio, oggi diventati uomini e donne, che salvò dalla strada e dalla criminalità organizzata. Ma il 15 settembre Cosa nostra gli regalò un colpo di pistola alla nuca. E così, adesso, invece del compleanno, ricordiamo la sua morte. La storia dell’Italia, e quella della Sicilia in particolare, è costellata da eroi. Uomini celebrati nel giorno del loro sacrificio estremo, nell’esercizio libero della propria professione e della propria coscienza. Vengono ricordati dedicando loro cortei, manifestazioni, fiaccolate, incontri e convegni ai quali non è raro scorgere i visi di chi, mentre erano in vita, li ha ostacolati, isolati o, peggio, è rimasto in silenzio. Le vittime innocenti della mafia sono centinaia. Qualcuno, un po’ di tempo fa, ha pensato di creare un calendario alternativo a quello più tradizionale cristiano. Anche qualche scuola, una decina di anni fa, aveva dato vita a un “calendario della memoria” per ricordare i nostri eroi, inestimabile patrimonio storico e culturale del nostro Paese. D’altronde sono talmente tanti che ad ognuno di loro potrebbe essere associato un giorno dell’anno.

Tuttavia, sebbene sia necessario e mai banale ribadire l’importanza della memoria, ricordando chi non ha mai ceduto al fascino della convenienza, né ha cercato la compiacenza del potente di turno, sarebbe bello almeno per una volta sostituire alle lacrime i sorrisi; alle parole di rabbia quelle di giubilo; alle immagini di un lenzuolo che copre un corpo senza vita, mentre intorno a lui è l’inferno in terra, quelle di uomo finalmente consegnato alla giustizia dopo ventiquattro anni di latitanza.

Oggi è un altro anniversario, ma non di morte. Era il 15 gennaio del 1993, quando Salvatore Riina fu catturato dal Crimor, a poche centinaia di metri di distanza dalla sua villa al civico 54 di via Bernini, a Palermo. L’operazione, denominata “Belva”, fu portata a termine da Arciere; Vichingo; Pirata; Oscar; Omar; Barbaro e Ombra: la squadra speciale del Ros guidata dal Capitano Ultimo. A segnalare la presenza del “capo dei capi” in quella villetta, che si erge su un terreno di 1720 mq, fu il suo ex autista Balduccio Di Maggio, finito in manette una settimana prima. Deluso dall’eccessiva ferocia di Riina e dei suoi collaboratori, Di Maggio rilasciò le importanti dichiarazioni al generale dei carabinieri Francesco Delfino. Fu così che gli uomini di Ultimo (anche se il racconto di quelle ore è ancora oggi oggetto di discussione) girarono per due giorni intorno ai quartieri de l’Uditore, della Noce e di Passo di Rigano, a bordo della “balena”: il furgone schermato usato dalle forze dell’ordine per fare appostamenti, riprese e ascoltare le intercettazioni. Il 14 gennaio vedono uscire dal cancello di casa Ninetta Bagarella, la moglie di Riina. Alle 8:55 del giorno dopo, Ombra comunica via radio a Ultimo di aver visto uscire Sbirulino. Si tratta di Salvatore Biondino, autista del boss, con lui a bordo dell’auto. Impiegano una quindicina di minuti per percorrere un chilometro e arrivare al primo incrocio. È lì che avviene la cattura della belva, che un’ora dopo, in caserma, verrà fotografato sotto il ritratto del generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Due anni dopo verrà accusato di esser stato il mandante anche di quell’omicidio e per questo condannato all’ergastolo. Uno dei tanti.

Da quella fredda mattina di gennaio sono trascorsi ventuno anni. Due decenni che sono serviti a Cosa nostra per cambiare pelle e strategia. Ha dovuto ridisegnare i propri equilibri, sviluppare nuovi rapporti con il mondo politico e finanziario, ricorrendo alla cosiddetta “zona grigia” (la rete di “insospettabili” professionisti collusi) e cedendo il primato a ‘ndrangheta e Camorra in settori, come il narcotraffico, che fino agli anni Ottanta aveva gestito indisturbata. È una mafia che spara meno, ma non per questo è meno presente sul territorio. Cosa nostra cerca e trova nuove armi per fare guerra allo Stato, ma il clima che si respira oggi è pressoché identico ad allora, con Riina rinchiuso nel carcere di Opera, che lancia ordini di morte per i magistrati che indagano sulla trattativa. Anche il silenzio delle Istituzioni pare lo stesso. Il rischio che la mafia stia rialzando la testa non è poi un’idea così infondata come qualcuno (forse gli stessi che si ostinano a parlare di “presunta trattativa”) vorrebbe far credere. «Ciò che preoccupa Riina – afferma il procuratore generale di Palermo  Roberto Scarpinato, intervenendo a un dibattito organizzato, a Palermo, da “Il Fatto Quotidiano”, – è un retroscena delle stragi del ’92-‘93 che ancora non è divenuto processuale e che qualche bocca rimasta prudentemente chiusa finora possa cominciare a parlare».

«Nell’universo mafioso c’è un clima di insofferenza. C’è la richiesta all’interno di Cosa nostra di uomini forti che sappiano sbattere i pugni sul tavolo e far “abbassare le corna” alla mafia ringalluzzita. In sostanza, Riina auspica il ritorno alla maniere forti che siano di lezione alla magistratura. Le sue parole possono essere interpretate come un’autorevole legittimazione per coloro che vogliono questo ritorno alle maniere forti differentemente da molti altri esponenti di un’ala più moderata». Insomma, c’è chi non vuole lasciarsi alle spalle gli anni ’90, ma farne un lunghissimo presente. A volerlo sono i mafiosi, certo, ma anche, ancora una volta, gli apparati deviati dello Stato. Perché «la trattativa ci fu e c’è ancora oggi», ha osservato il direttore del “Fatto” Antonio Padellaro durante lo stesso incontro, a cui fa eco la giornalista di “Repubblica” Barbara Spinelli: «Il solo vero interlocutore a cui Riina manda i messaggi è lo Stato».

Anche l’antimafia rischia di rimanere ingabbiata nelle pratiche, seppur per certi versi lodevoli, del periodo immediatamente successivo alle stragi. Pratiche spesso confuse, frammentarie, retoriche, usate come uno strumento per far carriera. Esempio concreto ne sono le commemorazioni dei troppi eroi che questa bellissima terra piange: irrinunciabili vetrine sociali e politiche per chi si ricorda di loro soltanto nel giorno della loro morte, pronto a tenere alto lo striscione al corteo giusto il tempo di essere inquadrato dalle tv o a sedere in prima fila in chiesa durante i funerali. Per fortuna, però, alle commemorazioni partecipano anche tante persone che si sentono sinceramente in obbligo morale verso questi uomini che lo Stato non ha saputo tutelare. Ma celebrare un anniversario di morte per mano mafiosa non basta. Con l’esercizio della memoria dovremmo tutti misurarci ogni giorno, farne un punto di forza per staccarci e riscattarci dal passato. E magari anche, come ricordiamo il giorno della loro morte, festeggiare quello in cui invece lo Stato c’era e ha vinto. Quanto meno per dare fiducia alle generazioni più giovani, perché il sangue di Giovanni, di Paolo, di Rocco, di Ninni, di Boris, di Peppino, di Mauro, … non è stato versato invano.

Oggi festeggiamo la cattura di Salvatore Riina e, facendoci gli auguri per questo importante giorno, esprimiamo un desiderio, anche questo lungo vent’anni: festeggiare il prima possibile l’arresto di Matteo Messina Denaro.

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