Pubblicato: Gio, 24 Ott , 2019

Editoria, licenziamenti e tagli. L’informazione perde, chi ci guadagna?

Gli editori chiudono e licenziano, saltano le trattative. Nessuna strategia, avvertono i sindacati, solo macelleria sociale.

 

 

Il lavoro  fragile non è  flessibile

Le tutele dei lavoratori ed il diritto del lavoro sembrano davvero affievolirsi di giorno in giorno nel nostro Paese. Società in buona salute, che sbarcarono in Italia, ora in fretta e furia, decidono di chiudere, mandare a casa, spostare sedi e lavoratori. Non è solo il caso del comparto Whirlpool, ma anche di settori diversi, apparentemente lontani. Addio diritti sanciti dallo Statuto dei lavoratori, la legge 300 del 1970, scomparsa in un colpo o meglio disarticolata a piccoli ma inesorabili colpi. Cominciata con l’utopia della flessibilità, divenuta ben presto “resilienza per i lavoratori” senza un piano, né una strategia di reinvestimento, ma portato come un vessillo di rilancio per l’economia del Paese, il cosidetto Jobs Act, non ha garantito flessibilità al lavoro, ma solo fragilità ai lavoratori. L’utopia degli aiuti agli imprenditori con sgravi fiscali per indurli a siglare contratti di lavoro subordinato non ha funzionato e tutti i nuovi contratti, di fatto, saranno a scadenza, una volta terminati gli incentivi. Manca una strategia di investimenti sul medio e lungo periodo, una visione del Paese Italia. L’idea neoliberista in salsa renziana del lavoratore flessibile, in un mondo del lavoro fluido, non ha pagato, semplicemente perché i posti di lavoro ed i lavoratori ancora non si incontrano, di fatto, diminuiscono, ma soprattutto vengono pagati di meno. Per questo la flessibilità intelligente, il mi reinvento ogni giorno, così mi aggiorno  e cresco, si è rivelato un boomerang. Se il Jobs Act del governo Matteo Renzi avrebbe dovuto restituire la dinamo ad un pianeta congelato dai sindacati, come si è detto e scritto, in realtà ha fatto inghiottire i lavoratori da squali e squaletti. Nel frattempo, però, si è sdoganata la cultura che i sindacati sono solo una zavorra per lo sviluppo economico del Paese, come se non fossero in grado di prendere atto della necessità del mutamento sociale in atto. E, invece, il trucco c’era e ben presto si è visto. La fragilità dei lavoratori non coincide tanto con il cambiamento della tipologia di occupazione, quanto con la difficoltà di trovare l’occupazione, equamente e dignitosamente retribuita, una volta persa la prima si salta semplicemente nel vuoto. Il reddito di Cittadinanza si traduce così in uno strumento assistenziale, ma raggiunge ancora una platea limitata e deve superare il crash test, ovvero quello che permetterà all’assistito di tornare, in un tempo breve, nel mondo del lavoro da quel percorso, esattamente come era stato immaginato.

Editoria, macelleria sociale

Nel mondo dell’editoria, poi, e dell’informazione la luce ha cominciato decisamente a spegnersi, quando anche i gruppi, multinazionali in buona salute hanno fatto lo strappo e chiuso da un giorno all’altro. Ricordo bene la vicenda Sky,  che fece da apripista ad altre, dando il via a quello che avevo definito “il black out Roma”. Tutte le principali aziende editoriali stanno abbandonando la Capitale per restringere i ranghi, robotizzare l’informazione, chiudendo i giornalisti in gabbia e trasferendoli a Milano. In questi giorni, proseguono inesorabili le notizie di tavoli traditi e di negoziazioni vituperate. Così leggiamo comunicati a manetta dei sindacati della Stampa italiana. Dalla Giunta esecutiva della Federazione nazionale della Stampa italiana e della Consulta delle associazioni regionali di Stampa che “si affiancano con convinzione ai colleghi della Poligrafici che saranno in sciopero domenica 27 e lunedì 28 ottobre 2019 per protestare contro l’ennesimo piano di tagli proposto dall’editore e presidente della Fieg, Andrea Monti «Questa vertenza – denunciano Giunta e Associazioni di Stampa – rappresenta lo snodo di una crisi dell’editoria che per affrontare i problemi della categoria fa ancora perno sulla riduzione del costo del lavoro e sui prepensionamenti, senza proporre idee per il rilancio delle redazioni e senza considerare i giornalisti come unica vera risorsa del settore. Il piano dell’editore Andrea Riffeser Monti, che ancora una volta fa pesare sulle spalle dei giornalisti la crisi del settore e alcune scelte scellerate del gruppo, contiene non solo irricevibili proposte di tagli alle buste paga, ma ancor più irricevibili deroghe al contratto nazionale di lavoro, con la cancellazione di diritti fondamentali». Su di un altro fronte, si combatte per Askanews che vuole licenziare 23 giornalisti. Con quella che viene definita “Una forzatura inspiegabile, mentre era in corso un confronto con la rappresentanza sindacale interna, l’azienda ha comunicato oggi l’apertura della procedura di licenziamento collettivo”. E questo quando ancora è pendente il verdetto del tribunale sul piano di concordato presentato dalla stessa azienda. Per l’ennesima volta, quindi, l’editore Luigi Abete, decide di scaricare sui lavoratori il peso di difficoltà economiche e di scelte gestionali discutibili e oggi, dopo anni di cassa integrazione, ha deciso di mandare a casa un terzo della redazione. Il Cdr di Askanews denuncia l’atteggiamento irresponsabile dell’azienda e insieme ai giornalisti metterà in campo tutte le iniziative necessarie a contrastare i licenziamenti. Allo stesso tempo chiede che tutte le istituzioni politiche ed economiche si attivino per cercare di riportare Abete e l’azienda sul terreno della ragionevolezza, per trovare gli strumenti che consentano di superare questa ennesima fase di crisi senza fare “macelleria sociale”. Ultimo, ma non meno rilevante il caso NewsMediaset. È essenziale riprendere la trattativa ed è necessario che sia bloccata la data dell’11 novembre contenuta nelle lettere individuali di trasferimento per riaprire il tavolo. Invita l’azienda a riprendere il confronto con il Cdr, accompagnato da FNSI, Stampa Romana e Alg, facendosi carico delle questioni sociali e familiari dei colleghi e delle colleghe, indicando la cornice industriale in cui si dovrebbero inserire i trasferimenti a Milano.

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