Pubblicato: Lun, 22 Mag , 2023

Perfido Porfido: Lona Lases, la ndrangheta e le elezioni del sindaco disertate per la quarta volta

La mafia esiste anche in trentino: il paese della Val Cembra è commissariato dal 2021

E’ ancora senza primo cittadino e giunta comunale il piccolo paese di Lona-Lases, in Trentino, dove nemmeno questa volta è stato raggiunto il quorum. Già in altre tre occasioni l’appuntamento con i seggi era stato disertato dopo che nel 2020 l’inchiesta Perfido si è abbattuta sul paese, con 19 arresti e le accuse di infiltrazione di ndrangheta nella località dove si estrae il porfido. Per l’ennesima volta il paese non avrà né un sindaco né un consiglio comunale. Ai precedenti tre fallimenti del progetto per creare una lista elettorale, elezioni tutte annullate per mancanza di candidati, si è aggiunta la non elezione dell’unica lista che si è presentata. Questa volta un candidato c’era, ma non è riuscito a convincere la popolazione. Le prossime elezioni si terranno fra un anno.

Il comune della Val di Cembra di 872 abitanti, in provincia di Trento, sembra destinato al commissariamento. L’ultimo sindaco eletto aveva dato le dimissioni nel maggio 2021. La ricchezza derivata dallo sfruttamento delle cave ha attirato l’attenzione delle cosche che hanno dato vita a una prolungata e fruttuosa attività, che però ha comportato anche il pesante condizionamento dell’attività comunale.

All’appuntamento di questo maggio l’affluenza è arrivata ad un timido 31,9%, lontana dalla maggioranza del 50% più uno richiesta per i comuni con una popolazione inferiore ai 15mila abitanti. A votare si sono presentate poco più di duecento persone. Candidato sindaco e giunta comunale arrivavano da paesi esterni, ma sembra che avessero l’appoggio di alcuni degli imprenditori del porfido, non coinvolti nell’inchiesta. Tuttavia, con il pesante dubbio di una classe politica alle dipendenze delle richieste dell’imprenditoria, si è dichiarato contrario all’unica lista presente anche il Coordinamento lavoratori del porfido (Clp), che ha contribuito con le sue denunce a disvelare il lucroso business mafioso che domina le cave e le attività collaterali.

Si susseguono i commissariamenti in questa piccola realtà arroccata tra le montagne e le cave, in un contesto che è sempre stato lontano e blindato nella ricchezza dei suoi territori montani. Anche il cd “oro rosso”, il porfido, ha calamitato gli interessi delle consorterie mafiose, che da oltre tre decenni hanno infiltrato il tessuto sociale ed economico della zona in svariate direzioni: dai servizi, al turismo, ponteggi, aziende, appalti. Nel 2020 l’operazione Perfido, che ha confermato le infiltrazioni della ‘ndrangheta nelle cave, ha aperto un ulteriore capitolo parallelo, gettando luce anche sulle attività della mala nel settore dei trasporti. Le aziende indagate sono trentine, venete, romane e calabresi. Spesso le collaborazioni mafiose sono volute dalle stesse aziende, in particolare quelle con problemi di liquidità, che trovavano sbarrate le porte delle banche. Così, rapidamente, arrivano gli emissari delle ndrine, si infiltrano attraverso generosi quanto immediati prestiti, che diventano cappi al collo. Ma ci sono anche i colossi dell’imprenditoria che, con l’obiettivo di raggiungere maggiori guadagni, anche se illeciti, entrano in affari con i clan. Interessi amministrativi e interessi imprenditoriali: dalle risultanze investigative emerge, infatti, un dialogo voluto e cercato tra la classe politica e imprenditoriale con le consorterie mafiose. Ed è evidente come la forte influenza dei calabresi sia ben radicata nella valle, tanto da non essere nemmeno ora contraddetta e mandare buche tutte le candidature comunali. Il paese è diviso tra chi ha denunciato e chi nega la presenza della mafia nel territorio.

Eppure, agli oltre venti indagati, tra cui anche ex sindaci ed ex consiglieri comunali, sono stati contestati a vario titolo i delitti di associazione mafiosa in quanto appartenenti alla ‘ndrangheta, scambio elettorale politico-mafioso, porto e detenzione illegale di armi da fuoco e riduzione in schiavitù. Si aggiungono poi altri cinque soggetti pure indagati per reati analoghi e sottoposti a fermo indiziario. Sullo sfondo anche l’oscuro presagio di alcuni membri collusi all’interno delle stesse forze dell’ordine.
Da quanto emerso dalle indagini, la cellula ndranghetista, impiantatasi a Lona Lases, è riferibile alla struttura operante a Cardeto, nell’area metropolitana di Reggio Calabria con collegamenti anche fuori dall’Italia, composta in particolare dalle potenti cosche reggine dei Serraino, Iamonte, Paviglianiti e i Macheda. Gli inquirenti hanno rintracciato una fitta rete di contatti tra imprenditoria, istituzioni e politica, rilevando tra le altre il sostegno elettorale ad alcuni candidati in vari appuntamenti per il rinnovo degli enti locali. Intrecci politici indispensabili, agevolati dalle disposizioni statutarie, secondo cui il Trentino ha competenza a legiferare sull’attività estrattiva. Vista la presenza duratura dei clan sul territorio e tenendo conto delle numerose modifiche alla legge sulle cave, è evidente come le ndrine e gli imprenditori a loro affiliati volessero beneficiarne. Grazie a una serie di controlli incrociati tra banche dati, società, conti correnti, proprietà e dichiarazioni dei redditi, è stato possibile ricostruire gli ultimi dieci anni di rapporti e parentele, di persone fisiche e giuridiche ad essi collegati.

A febbraio 2022, le prime condanne: il gup ha riconosciuto l’associazione mafiosa oltre al reato di riduzione in schiavitù, condannando a 10 anni e 10 mesi e al pagamento di oltre mezzo milione di euro per risarcimento uno dei calabresi di Cardeto. Secondo l’accusa, l’imputato avrebbe un ruolo apicale negli interessi della ‘ndrangheta nei comuni di Albiano e Lona-Lases. Altri due imputati, considerati il braccio armato del sodalizio trentino, hanno richiesto il patteggiamento. Le accuse nei loro confronti sono state drasticamente ridimensionate, è stato riconosciuto il loro appoggio ma non l’appartenenza all’associazione mafiosa. I loro legami con l’amministrazione comunale di Lona Lases guidata da un sindaco accusato di voto di scambio politico-mafioso non erano certo irrilevanti, ma non è stato possibile accertarli nel processo.

Nonostante le indagini abbiano disvelato un sistema inquinato, le concessioni delle cave sono ancora in essere con le stesse modalità. Rovesciata l’iniziale proporzione di 80-20, secondo cui l’80% del porfido estratto dai concessionari avrebbe dovuto essere lavorato in zona con il restante 20% esportato fuori dal territorio. Dalle risultanze investigative sembrerebbe emergere che nemmeno il 40% viene lavorato in loco, mentre oltre il 60% è diretto fuori. Un’esternalizzazione massiccia del lavoro, senza controlli sulla manodopera, che sembra fruttare guadagni milionari.

Necessario un intervento immediato sulla normativa delle concessioni, che -è evidente- non possono essere lasciate alla gestione comunale facilmente infiltrabile. Richiesta una Commissione Antimafia d’accesso riguardo Lona Lases e Albiano. Avanzata la proposta di percorsi partecipati e di un’assemblea civica. Auspicata da molti anche una gestione antimafia che guardi direttamente le concessioni e le gare delle cave, così come le sostanze minerarie di prima categoria, le acque minerali, per poi distribuire i canoni sui Comuni, verificando che il materiale scavato sia effettivamente lavorato dal concessionario sul territorio. La piccola realtà di Lona Lases attende per l’ennesima volta un commissariamento che la guidi, pur avendo chiesto da tempo l’insediamento della DIA e di un funzionario amministrativo del medesimo nucleo operativo in loco.

Le consorterie mafiose si insediano nei territori, creano una falsa legalità cercando relazioni che consentano loro di penetrare nel mondo politico, economico, delle forze dell’ordine, delle istituzioni. Con la stessa forza, entrano nell’alveo delle candidature locali, regionali e nazionali, alterando le votazioni politiche. L’inquinamento mafioso è economico ma anche democratico, in quanto influisce sulla rappresentanza, sulla giustizia, sull’amministrazione della cosa pubblica. Per questo, quando si parla delle attività mafiose l’oggetto di tutela non è circoscritto solo all’ordine pubblico ma si estende anche a quello economico e al principio di legalità democratica e di rappresentatività delle istituzioni politiche. Il condizionamento mafioso del voto e del consenso elettorale, nonché la turbativa della libertà di voto, determinano un’esposizione al pericolo del valore costituzionale sotteso al circuito politico elettorale posto a fondamento dell’intero sistema della democrazia rappresentativa. Anche così si scardina la democrazia: dal paesello di periferia fino alle lucenti sale di Montecitorio, imponendo gli uomini dei clan nei ruoli apicali o impedendo le elezioni.

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