L’angolo del cucito
Letta e il V-day mancato
Il premier più traballante dell’Eurozona (il nostro) ha espresso ieri viva preoccupazione per il ritorno di spinte estremiste in Italia. Evidentemente rivolto a Grillo, l’intervento di Letta s’inserisce nel solco, ormai arato, vangato, zappato e seminato all’infinito, del contagio coltivato con profitto da molti, che può essere sintetizzato per i profani con un lapidario “la crisi economica aumenta la tensione sociale”. Tutto giusto, com’è giusto esprimere insofferenza contro coloro che vorrebbero maneggiare la democrazia come un fucile ma, nonostante la correttezza, l’intervento di Letta è stato comunque paradossale.
Il destino ha voluto che il vigoroso attacco contro l’intolleranza sia avvenuto di fianco al premier israeliano Benjamin Netanyahu, uno che di tensione sociale ne sa sicuramente qualcosa, nonché un uomo politico che è riuscito a unire spiccate velleità estremiste (sempre per i profani, è bene ricordare che ha governato dal 2009 in coalizione con Avigdor Lieberman, uno che si è difeso dall’accusa di essere un sostenitore della pulizia etnica degli ebrei di etnia araba esprimendo un concetto sintetizzabile in “Sì, ma vorrei che fosse su base volontaria”) a una altrettanto spiccata indole da palazzinaro nei territori palestinesi occupati. Uno strano incrocio tra Borghezio e Caltagirone -dotato, va detto, anche di una certa abilità politica- che anche ieri non si è lasciato intimidire dal clima moderato inaugurato da Letta e, per riportare la conversazione a un livello più consono al suo expertise, ha decretato in modo secco che è «sbagliato togliere le sanzioni all’Iran», un traguardo per il quale i diplomatici di mezzo mondo si stanno scapicollando da mesi.
L’occasione era più formale che mai, e nella Sinagoga di Roma Letta giocava anche fuori casa. Ma oltre a scagliarsi contro Grillo, Letta avrebbe dovuto raccogliere la sua lezione del V-day e mandarci pure Netanyahu.