La Camorra è anche al nord: la prima sentenza per associazione mafiosa ad un sindaco veneto
condannato l’ex sindaco di Eraclea per concorso esterno in associazione mafiosa, al servizio dei Casalesi
Per la prima volta un ex sindaco di un comune veneto viene condannato in Cassazione per concorso esterno in associazione mafiosa. Si tratta dell’ex primo cittadino di Eraclea, in provincia di Venezia, finito in carcere con la condanna di due anni e due mesi per essersi messo al servizio del boss dei Casalesi.
La vicenda giudiziaria è iniziata quattro anni fa, con la retata contro i presunti esponenti del Clan dei Casalesi che avevano imperversato nel Veneto Orientale, disponendo e dirigendo l’amministrazione comunale. Teso è il primo sindaco veneto a finire in carcere per espiare una condanna legata ad una associazione mafiosa. L’ex sindaco fa parte di un gruppo ristretto di imputati che ha scelto i riti alternativi. La maggior parte degli imputati prosegue con rito ordinario nell’aula bunker di Mestre, dove i pubblici ministeri hanno chiesto 47 condanne per complessivi 452 anni di carcere.
Per gli inquirenti, l’ex primo cittadino era consapevole delle caratteristiche mafiose dell’organizzazione che avrebbe al suo vertice Luciano Donadio. L’ex sindaco ha accettato l’appoggio elettorale del clan, in cambio di favori. Secondo i giudici di Appello «era pienamente consapevole delle caratteristiche mafiose del sodalizio. Donadio e Raffaele Buonanno, infatti, arrivati ad Eraclea alla fine degli anni Novanta, hanno sempre mantenuto stretti legami con le famiglie camorristiche campane, circostanza confermata dalle intercettazioni e dalle confessioni delle persone che hanno collaborato con la Procura di Venezia, tra cui l’ex braccio destro del boss, Christian Sgnaolin». Dalle risultanze investigative sembra emergere che Donadio e Buonanno hanno messo in atto una struttura organizzativa imponendo «un rigido rispetto dei ruoli e della propria supremazia», nonché definito «l’ambito territoriale di operatività e la tipologia prevalente dei reati». Il tutto «con minaccia di gravi danni a persone e cose attuati proprio in forza della disponibilità di uomini e mezzi pronti a percuotere, ledere, posizionare esplosivo, incendiare auto, attuare ritorsioni mirate».
L’appoggio di politica e imprenditoria ha favorito l’ascesa dei Casalesi anche in Veneto. L’ex sindaco è stato condannato dunque per essersi messo «al servizio del sodalizio». Voti mafiosi in cambio di appoggio elettorale, un’alleanza continuata nel tempo, fino all’arresto. «Donadio ha appoggiato pubblicamente la ricandidatura del sindaco» – ha scritto la Corte di Appello, ricordando come l’unico avversario politico che lo contrastò apertamente subì un attentato incendiario. Il corrispettivo dell’appoggio, fin dalla prima campagna elettorale all’inizio degli anni Duemila, era costituito «da una serie di affari che avevano in ballo, tra cui anche la vendita di un hotel», si legge nella sentenza, che parla di «convergente comunanza di interessi». Sarebbe stato proprio un imprenditore di Eraclea il punto di contatto tra Donadio e l’ex sindaco, immortalati anche in alcune fotografie.
Il politico di Forza Italia è stato primo cittadino tra il 2004 e il 2005, quando venne fatto cadere da una crisi di maggioranza, e poi di nuovo dal 2006 al 2011. Ha ricoperto il ruolo di vice sindaco per Mirco Mestre, eletto nel 2016, che subì l’onta di essere il primo sindaco del Veneto arrestato per voto di scambio politico-mafioso nel famoso blitz del febbraio 2019, dal quale invece Teso sembrava essere uscito indenne.
L’accusa ha sostenuto che Donadio e Raffaele Buonanno erano in collegamento con la camorra di Casal di Principe, esportandone modalità di comportamento, intimidazione e controllo del territorio. Una succursale autonoma ma collegata alla casa madre campana. Tuttavia, per gli imputati che hanno scelto il rito ordinario, la sentenza di primo grado sarà emessa tra qualche mese: sia per Luciano Donadio che per Raffaele Buonanno, i pm della Procura antimafia hanno chiesto una condanna a 30 anni di reclusione. Per i giudici d’Appello il gruppo attivo ad Eraclea dal 1999 al 2009 sarebbe stato una “gemmazione” del clan dei Casalesi, una cellula “decisa, costituita e alimentata da persone che appartenevano ad articolazioni territoriali dei Casalesi” che trapiantate in Veneto avrebbero “diretto ed organizzato un gruppo che replicava sia le modalità illecite di generazione dei profitti sia le modalità operative di affermazione della propria supremazia territoriale”.