Fiat-Chrysler: più americana che italiana
La Fiat ha comprato la Chrysler ma le differenze tra le due aziende potrebbero far pensare che sia successo il contrario
Aver ottenuto il controllo del gruppo Chrysler, terza casa americana, per solo 3,65 miliardi dollari e senza dover ricorrere ad aumenti di capitali o prestiti bancari è sicuramente un grandissimo affare per Marchionne. Non a caso la borsa, sensibile a questo tipo di particolari, ha visto le quotazioni di Fiat salire di ben il 15% il giorno dopo l’accordo. Rimangono però dei dubbi sulle ricadute nel medio e lungo termine per la casa torinese.
Nella vicenda Fiat-Chrysler a fare la parte del predatore è il gruppo italiano ma, diversamente da quanto accade di solito, è il pesce piccolo ad aver mangiato il pesce grande. Chrysler, prossima al fallimento nel 2009, fu acquistata a prezzo di saldo dai torinesi ma da quel momento, complici i sussidi di Obama e dei sindacati che pur di non vedere chiudere la fabbrica hanno accettato forti riduzioni nel personale e nel salario, la casa di Auburn Hills ha iniziato a macinare utili e incrementare le vendite trimestre dopo trimestre. Il 2013 è stato l’anno dei record, la produzione ha fatto segnare un + 9%, portando i numeri ai livelli più alti dal 2007, ovvero al periodo pre-crisi, mentre i marchi Jeep e Ram addirittura segnano incrementi a doppia cifra. La casa torinese, al contrario, in Europa continua a perdere, da quasi quattro anni, quote in un mercato che per di più è in riduzione anche come numero aggregato. Di fatto, da quando si sono “sposati”, Chrysler ha mantenuto la Fiat.
È comprensibile che Marchionne si sia concentrato nel salvare Chrysler e che di conseguenza, complice la saturazione e la crisi del mercato europeo, la Fiat sia stata messa da parte. Ma alcune domande sorgono spontanee: per quanto tempo Fiat-Chrysler sarà un gruppo italiano? Dove verrà quotata? Dove sarà la sede legale? I numeri dicono che il lato americano è preponderante rispetto a quello europeo, in forte espansione il primo in crisi l’altro. A questo si aggiunga che, lasciate da parte le dinamiche interne al gruppo, Fiat-Chrysler è il settimo produttore mondiale ma è leader in mercati (europeo, nord e sudamericano) che hanno pochi margini di crescita mentre è quasi del tutto assente in Asia dove si immatricolano un terzo delle auto vendute ogni anno.
Come è logico, e Marchionne lo sa benissimo, il dualismo Fiat-Chrysler non può durare in eterno. La parte europea del gruppo deve al più presto tornare in attivo. I guadagni provenienti dall’America possono essere utili per investire ma è necessario ricominciare a progettare nuovi modelli. Fiat negli ultimi tre anni ha presentato solo il Freemont (che comunque deriva dal Dodge Journey di Chrysler), la nuova Panda e la versione L della 500. Lancia è stata ridotta al ruolo di marchio europeo delle auto progettate in USA, infatti le “nuove” Lancia Thema e Lancia Voyager non sono altro che il nome europeo delle Chrysler 300 e Chrysler Voyager. L’Alfa Romeo, infine, dopo 3 anni di assenza di nuovi modelli, e dopo alcune voci che la volevano prossima all’essere ceduta alla Volkswagen, ha presentato la piccola spider 4C che dovrebbe essere una delle auto del rilancio del Biscione.
Chiaro quindi, se non si vuole che la Fiat, a dispetto delle forme legali, diventi la succursale europea della Chrysler è necessario ripartire con gli investimenti, ora possibili grazie alle vendite in America. È necessario farlo al più presto sia per intercettare la seppur debole ripresa sia per non perdere ulteriore terreno nei confronti dei concorrenti.