Condanna per l’ex giudice Saguto: usò in modo distorto il suo potere per assicurarsi un tenore di vita elevato
per la Corte di Appello si è trattato di un accordo corruttivo permanente
L’ex presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, il 20 luglio 2022 è stata condannata a otto anni, dieci mesi e quindici giorni per corruzione, concussione e abuso d’ufficio, con l’accusa di aver gestito in modo clientelare e illegale i beni sequestrati e confiscati alla mafia. La sua, scrivono i giudici di Caltanissetta, fu una mala gestio in cui “gli unici interessi perseguiti erano quelli egoistici”.
In questi giorni sono state depositate le motivazioni della sentenza della Corte d’Appello, 1.214 pagine che vagliano istituzioni colluse, prevaricazioni e compiacenze. Secondo l’accusa, Saguto sarebbe stata al centro di un vero e proprio sistema “perverso e tentacolare”, volto a pilotare l’assegnazione delle amministrazioni giudiziarie dei beni sequestrati alla mafia. Avrebbe nominato come amministratori giudiziari solo i suoi fedelissimi in cambio di soldi, favori e regali. Un “patto corruttivo permanente” tra giudici, avvocati, funzionari, ufficiali che ha creato “danni patrimoniali ingentissimi all’erario e alle amministrazioni giudiziarie” ma anche un “discredito gravissimo all’amministrazione della giustizia”. Eccolo, nero su bianco, il cerchio magico di Silvana Saguto. In appello riceve quattro mesi in più di quanto le era stato inflitto in primo grado, ed è radiata dall’ordine giudiziario nel corso del processo. L’avvocato Gaetano Cappellano Seminara (soprannominato il re delle amministrazioni giudiziarie per l’incredibile numero a lui assegnate) è stato condannato a sette anni e sette mesi, un mese in più rispetto al primo grado.
Confermato l’impianto accusatorio del primo processo, in cui era già ampiamente emerso dalla pletora di fatti delittuosi contestati il totale mercimonio della gestione dei beni sequestrati e l’abuso, a vari livelli, del ruolo istituzionale ricoperto. Vi è stata la commissione di una serie eterogenea di reati, posti in essere mediante una grave distorsione – per tempi, modalità e protrazione delle condotte – delle funzioni giudiziarie. I magistrati parlano di “un quadro di desolante strumentalizzazione della funzione giurisdizionale a favore di una gestione privatistica”. La sentenza ricostruisce le fasi cruciali del «patto corruttivo». Sono soprattutto le intercettazioni telefoniche a rivelare che Saguto chiedeva e otteneva dall’avvocato fascicoli e «documenti» che, secondo i giudici, erano in realtà «provviste economiche». Le richieste si facevano più pressanti quando, a causa di un elevato stile di vita, i conti della famiglia andavano in sofferenza, facendola precipitare in crisi finanziaria con carenza di liquidità. Valigette e trolley pieni di soldi che viaggiavano verso la casa del giudice.
Saguto “esercitò un uso distorto del suo potere, spinta da uno spasmodico desiderio di assicurare un tenore di vita elevato a sé e alla sua famiglia, fu responsabile di una mala gestio dei beni sequestrati in cui gli unici interessi perseguiti erano quelli egoistici”. Sembra confermato che da molto tempo tra Silvana Saguto e Cappellano Seminara era in atto il sinallagma corruttivo, nell’ambito del quale gli incarichi dell’amministratore giudiziario venivano compensati con le utilità consistite nelle nomine e nella retribuzione indebita all’ingegnere, marito della ex giudice. Dalle risultanze investigative emergono imposizioni e pressioni, con un abuso di potere non indifferente. Le indagini hanno riguardato anche la tesi di laurea del figlio, che in virtù dello stesso circuito preferenziale, sarebbe stata scritta da un professore dell’università, mentre la sua fidanzata sarebbe stata “piazzata”, assunta in uno studio legale sempre a cambio del conferimento di incarichi di amministrazione futuri. I giudici hanno condannato, quindi, tutta la famiglia: il marito a 6 anni e due mesi di carcere ed il figlio della coppia, a 4 mesi. Confermata poi la pena a 3 anni di reclusione per l’ex prefetto di Palermo e per il docente universitario, anch’egli casualmente amministratore giudiziario, 6 anni e 10 mesi. Nelle indagini sono finiti tra i tanti coinvolti, anche un tenente colonnello della Guardia di finanza all’epoca in servizio alla DIA (due anni e otto mesi) e pure il preside della facoltà di Giurisprudenza di Enna (un anno e dieci mesi). Oltre al risarcimento danni, il tribunale ha disposto anche le somme oggetto della confisca per equivalente, nei confronti di Saguto e Cappellano Seminara portandole rispettivamente a 661mila e 650mila euro.
Pino Maniaci di TeleJato è stato tra i primi a denunciare gli affari torbidi della sezione Misure di Prevenzione di Palermo. La piccola emittente locale tra Partinico e Corleone, è famosa per essere sempre in prima fila nella lotta contro la criminalità organizzata. Nel 2013 Maniaci inizia a condurre una serie di inchieste su gravi episodi di corruzione a carico di alcuni rappresentanti della magistratura siciliana, focalizzandosi proprio sulla Saguto. Maniaci accusa l’allora magistrato di aver sequestrato indebitamente dei beni, addebitando compensi eccessivi per la loro amministrazione, e di aver portato diverse imprese in bancarotta con la complicità del marito e di alcuni collaboratori. La Saguto a sua volta accusò Pino Maniaci di favorire la mafia. Nel 2016 la procura di Palermo indaga il giornalista per diffamazione ed estorsione, ipotizzando l’utilizzo del cosiddetto “metodo a tenaglia” per denigrare o esaltare attraverso i suoi servizi tv mafiosi e politici locali in cambio di pagamenti in denaro. Nello stesso anno anche la Saguto viene indagata: a suo carico ci sono 39 capi d’accusa tra cui corruzione, abuso d’ufficio e appropriazione indebita. Entrambi si proclamano innocenti. Le intercettazioni per i due presunti paladini dell’antimafia sono impietose. Gli inquirenti avrebbero attenzionato il giornalista dal 2014, quando i pm stavano conducendo un’indagine sulle cosche mafiose locali, che aveva portato all’arresto di nove uomini d’onore, e casualmente si sarebbero imbattuti nelle intercettazioni di Maniaci. Inserito nella lista dei cento eroi mondiali dell’informazione da Reporter senza frontiere, assieme solo a Lirio Abbate, anche il volto di TeleJato era finito nella polvere. La guerra nell’antimafia si conclude con i verdetti di primo grado di Pino Maniaci e Silvana Saguto, nell’aprile 2021 il primo viene assolto dalla condanna di estorsione e condannato solo per la diffamazione ad 1 anno e 5 mesi. La Saguto è stata invece riconosciuta colpevole e condannata sia in primo grado (2021) che in appello (2022).