Caso Cucchi, fissato in 1,3 MLN il risarcimento
Accordo tra il “Pertini” e la famiglia Cucchi che vuole continuare la propria battaglia legale nei confronti degli agenti ancora sotto processo
Quanto costa una vita umana? Quanto costa quella di un detenuto morto? La famiglia di Stefano riceverà dall’Unipol, per conto dell’ospedale Pertini, 1,3 milioni di euro, una somma frutto di un accordo che a giudicare dalle parole della sorella Ilaria non conclude le battaglie legali: <<Abbiamo accettato soltanto con la garanzia del nostro avvocato di poter continuare la battaglia processuale contro gli agenti. Altrimenti non avremmo accettato nessuna somma>> . Accettando la transazione i Cucchi di fatto rinunciano a costituirsi parte lesa nel processo d’appello ai 4 medici condannati in primo grado per omicidio colposo e falso ideologico.
Nella giornata odierna infatti l’avvocato Fabio Anselmo ha ribadito che il risarcimento costituisce solo una tappa parziale del percorso legale che i Cucchi vogliono portare avanti. <<L’obiettivo della famiglia è quello di avere giustizia non a metà, ma a 360 gradi. Per questo – continua il legale della famiglia Cucchi- andremo in appello anche e soprattutto sulla posizione degli agenti per i quali con soddisfazione la Procura generale ha chiesto alla Corte d’assise d’appello un giudizio completo e non limitato>>.
Questa la cronaca, i fatti parlano di due processi ancora in corso e di un sospetto fondato: Stefano forse non è morto di malnutrizione, come invece hanno scritto i giudici nella motivazione della sentenza di primo grado. Il quadro probatorio è complesso e forse non tutto è stato detto, c’è ancora speranza per avere piena giustizia di quello che sembra poter essere stato un omicidio per mano dei militari. I giudici, pur non escludendo l’ipotesi che Stefano sia stato vittima di un pestaggio da parte dei carabinieri, non hanno indicato nelle motivazioni della sentenza di primo grado, perché non è compito della Corte, chi tra i numerosi militari, quella notte, abbia potuto alzare le mani su di lui.
Questa vicenda è ben lontana dalla fine e stride fortemente con i fatti odierni, lo Stato italiano ha adottato due pesi e due misure diverse; forse se Stefano o i suoi familiari avessero avuto anche loro il numero del ministro Cancellieri, oggi non saremmo qui a parlare di questo fatto increscioso. In fondo anche Cucchi più della Ligresti aveva bisogno di “un intervento umanitario” da parte delle istituzioni.
I pericolosi populismi di cui parla il premier Letta, sguazzano nel brodo di coltura prodotto dalle storture dello stato più evidenti, proprio come questa. Se ogni tanto si passasse dalle parole ai fatti, per certi “movimenti” non ci sarebbe ragione d’essere.