Telecom, possibili tagli in vista
Uno studio condotto dalla CGIL rivela come siano 15000 i posti di lavoro a rischio. Il dossier, inoltre, pone seri interrogativi sullo scorporo della rete
Sarebbero 15000 i posti di lavoro a rischio nella nuova Telecom targata Telefonica. Il numero viene da uno studio della CGIL basato sull’analisi dello stato dell’azienda incrociato con le più probabili proiezioni per l’immediato futuro.
Nonostante il management della compagnia si sia impegnato a smentire e abbia assicurato che non solo non ci saranno tagli ma gli accordi sindacali presi a marzo saranno rispettati (riguardanti la salvaguardia dei livelli occupazionali e la definizione della attività non cedibili), i timori del sindacato non sembrano privi di fondamento.
In attesa del piano industriale che verrà disvelato a novembre, Telecom si presenta ai nuovi azionisti con un crollo del 18% nei ricavi dell’ultimo triennio che, unito all’addio di Franco Bernabé, lascia intendere che la nuova proprietà vorrà agire con forza per cambiare il modello di gestione.
Alla base delle proiezioni fatte dal sindacato vi è il futuro scorporo della rete e la possibilità che Telefonica voglia seguire l’esempio delle attività in Spagna, con il taglio di call center e società satellite non essenziali.
Quello che preoccupa maggiormente, sindacati ma non solo, è lo scorporo della rete, anche perché sarebbe la prima volta al mondo che tale operazione viene fatta sottraendola ad un operatore.
Ancora non si è certi sulle modalità ma le opzioni sul tavolo sembrano due: costruire una newco pubblica, probabilmente finanziata da Cassa Depositi e Prestiti, oppure una newco mista con l’ingresso di tutti gli operatori del mercato delle TLC.
Qualora la newco fosse gestita dai privati –prefigura il documento della CGIL- ci troveremmo di fronte ad un conflitto d’interessi permanente, visto che le compagnie richiederebbero (a se stesse) un canone di utilizzo minimo e, inoltre, ci sarebbe uno stallo sugli investimenti nelle infrastrutture dato che ogni operatore sarebbe portato ad investire solo nei tempi e nei modi di sua convenienza.
Nel caso di proprietà pubblica lo scenario disegnato dal dossier della CGIL non è migliore. La rete, che andrebbe modernizzata in ogni caso per rispettare la cosiddetta “Agenda Digitale Italiana”, verrebbe acquistata dallo Stato dando un grande vantaggio a Telecom-Telefonica, questa infatti troverebbe un munifico compratore per il ramo d’azienda meno redditizio e che richiede i maggiori investimenti; senza dimenticare il rischio di creare un ennesimo carrozzone capace di fagocitare risorse a danno dei contribuenti.
A queste preoccupazioni si aggiungono quelle riguardanti la certa cessione, per via delle norme antitrust, dei rami d’azienda in Sudamerica che al momento sono i veri motori di Telecom. La vendita di questi asset porterà quasi sicuramente ad un ridimensionamento di Telecom, azienda che, è utile ricordarlo, a metà degli anni ’90 era la quinta a livello mondiale mentre oggi, dopo 20 anni di gestione non eccelsa, rischia di diventare vassalla di Telefonica.