Strage di Ustica, la Cassazione: depistaggio ai danni dell’Itavia
Nuova sentenza sulla strage di Ustica ma la verità è ancora lontana
Dopo il missile, il depistaggio. E’ questo il nuovo elemento che si aggiunge all’intricata e torbida ricostruzione della strage avvenuta nei cieli di Ustica. La Suprema Corte di Cassazione ha depositato oggi la sentenza relativa al procedimento civile intentato contro i Ministeri della Difesa e dei Trasporti dagli eredi del presidente di Itavia, Aldo Davanzali. Secondo la Terza sezione civile il verdetto d’appello “erra” nell’escludere “l’eventuale efficacia di quella attività di depistaggio” e l’effetto sul dissesto della compagnia aerea Itavia fallita sei mesi dopo la strage. Una sentenza che definisce il depistaggio come “definitivamente accertato” e per questo sarà necessario un nuovo processo civile per valutare le responsabilità dei ministeri nel fallimento della compagnia aerea. Il ricorso presentato da Luisa Davanzali, erede di Aldo, coinvolge nuovamente lo Stato italiano in un’indagine da sempre poco chiara che richiama trame internazionali degne dei migliori gialli. Questo però non è un romanzo, è la storia di 81 persone che sono morte nella notte del 27 giugno 1980 e che attendono ancora una risposta.
La sentenza di oggi segue quella del gennaio scorso in cui la tesi del missile venne definita dalla Cassazione “abbondantemente e congruamente motivata” confermando la sentenza del tribunale di Palermo e condannando lo Stato a risarcire i familiari delle vittime per “non aver garantito, con sufficienti controlli dei radar civili e militari, la sicurezza dei cieli”. In quell’occasione si accertò che fu un missile a far esplodere il Dc9 Itavia che da Bologna era destinato a Palermo, e non una bomba come sostenuto in principio e più recentemente da Carlo Giovanardi, che subito dopo la sentenza esternò la sua contrarietà definendola una negazione dell’evidenza, utile soltanto ad alimentare l’immaginario collettivo con fantasiose storie di battaglie aeree e tradimenti militari. Lo Stato italiano, forse per rimorso sulle responsabilità o forse sapendo che il ricorso sarebbe stato ancora più dispendioso, mostrò maggior rispetto per le vittime e decise di non presentarlo e accettò la condanna al risarcimento.
La sentenza di oggi parla di depistaggio, dando finalmente sostanza a quelle supposizioni che in mancanza di una conferma dalla magistratura, potevano essere annoverate soltanto tra le ipotesi. A distanza di 33 anni, non è ammissibile parlare ancora di ipotesi. Ci sono delle responsabilità che vanno accertate, ci sono delle risposte che i parenti delle vittime attendono. Oggi, con molta fatica e colpevolmente in ritardo, sappiamo che un missile ha fatto esplodere il velivolo e che le indagini sono state depistate. Nessuno riporterà in vita le persone che viaggiavano sul Dc9, neanche una sentenza, ma ai familiari di chi è scomparso quella sera di giugno l’Italia deve dare delle risposte, le deve dare a tutti noi. Non basta sapere che un missile lanciato da non si sa chi abbia colpito il velivolo e che le indagini siano state depistate per addossare responsabilità inesistenti all’Itavia. Vogliamo sapere perché e come tutto questo è successo, perché un aereo, carico di civili, è esploso 33 anni fa precipitando nel Tirreno.