Pubblicato: Mer, 27 Lug , 2022

Se viene uccisa l’innocenza

Violenze e abuso dei mezzi di correzione sui bimbi nella scuola dell’infanzia

Sandra racconta l’oscuro. Lascia i brutti pensieri di oggi e di ieri; stringe tutte le cose, tutti i colori di questo giorno. Descrive a modo suo di quando la maestra le tirava i capelli e la percuoteva. E’ piccola, nemmeno 4 anni, con un ritardo nel linguaggio. Disegna sul suo peluche il male che lei ha ricevuto, lo cura con cerotti e bacini.

Ci sono momenti in cui è più difficile di altri trovare spiegazioni. Gli abusi su persone anziane, malati e bambini sono quelli che portano più orrore.

La scuola è un punto di crescita, formazione ed educazione. A volte, però, è anche luogo di cattiveria, esasperazione e angoscia. La legge all’art. 571- 572 cp, punisce chi abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte. Si considerano tutti i comportamenti che provengono da persone che, per ragioni familiari (i genitori o i nonni, ad esempio), di lavoro (insegnanti, maestri) o semplicemente di fatto (babysitter, badanti, etc), sono tenute a provvedere ad un’altra persona.

L’uso dei mezzi di correzione da parte dell’insegnante deve ritenersi appropriato, dovendo sempre considerare che sia necessario e proporzionato alla condotta del bimbo. Il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina può essere commesso da qualunque docente, di ogni ordine e grado e prescinde dall’età dell’alunno; è sufficiente un solo atto di eccesso dall’uso legittimo dei consueti mezzi di correzione o di disciplina per sconfinare nell’abuso. L’insegnante non può picchiare un alunno con schiaffi, tirate di orecchie o bacchettate sulle dita, ma neppure può offendere, umiliare, svalutare, denigrare o violentare psicologicamente lo studente causandogli pericoli per la salute (Cass. sent. n. 8035/21 del 1.3.2021). Se il reato viene compiuto davanti a tutta la classe le conseguenze lesive dell’offesa sono ancora più gravi, per la mortificazione psicologica che evidentemente ne deriva e per la violenza assistita che subiscono gli astanti. La Suprema Corte ricorda a tal proposito che «il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall’ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell’altrui personalità». Qualsiasi forma di violenza, sia essa fisica che psicologica, non costituisce mezzo di correzione o di disciplina, neanche se posta in essere a scopo educativo; e, qualora di essa si faccia uso sistematico, quale ordinario trattamento del minore affidato, la condotta non rientra nella fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, bensì, in presenza degli altri presupposti di legge, in quella di maltrattamenti.

I maltrattamenti possono avvenire in tanti modi: percosse, parolacce o umiliazioni. Il malessere che ne deriva è quasi sempre profondo e traumatico, con seri problemi nella crescita della persona. I giovani esposti a violenza, domestica o scolastica, subiscono cambiamenti al livello cerebrale simili a quelli dei veterani di guerra. Il bambino, specialmente se è piccolo o affetto da disabilità, ha timore e difficoltà a riferire i maltrattamenti subiti e manifesta ritrosia anche con i genitori a raccontare il comportamento dell’insegnante. Tuttavia, il suo turbamento è rintracciabile in nervosismi, inquietudini, insonnia, paure, rifiuto di avvicinarsi. Alcuni eventi diventano solchi profondi che possono condizionarne la vita e peggiorare le situazioni di malattia psicofisica dei bersagli più facili. La Corte di Cassazione ha stabilito che è sufficiente la testimonianza del minore vittima degli abusi oppure quella degli altri studenti che hanno assistito. Sono da considerarsi attendibili i racconti genuini con cui i minori riferiscono di condotte violente particolari riservate dalla maestra ad altri bambini o con cui replicano spontaneamente i gesti della stessa (Cass. Pen., Sez. VI, Sent., 30 ottobre 2020, n. 30221). Possono valere le dichiarazioni dei genitori dei minori, colleghi, personale scolastico e dirigente. Trattandosi di reato procedibile d’ufficio, chiunque può denunciare gli abusi dei mezzi di correzione e, più in generale, i maltrattamenti ai danni dei bambini: un collega che abbia assistito, un dipendente scolastico, perfino un passante occasionale.

Una recente indagine sui presunti maltrattamenti a scuola (PMS) mostra come vi sia stato un tasso di crescita nel 2019 superiore al 104%, rispetto all’anno precedente. I casi di PMS sono distribuiti in tutto il Paese: 30% al Nord; 24% al Centro; 46% al Sud e Isole. Il fenomeno sembra inoltre prevalente nella realtà di provincia (65%) rispetto a quella urbana (35%). La scuola dell’infanzia risulta essere la realtà in cui si ha il maggior numero di PMS (68%), fatto spiegabile con la difficoltà a parlare e scrivere dei piccoli. Se i genitori rappresentano la maggior parte dei denuncianti (87%), assolutamente irrisoria è la percentuale dei colleghi (docenti 8%) o dei collaboratori scolastici (personale ATA 2,5%) e del dirigente (1,2%). L’età media dei maestri indagati è decisamente alta: oltre il 42% ha un’età tra i 50 e 60 anni, ciò va di pari passo con l’anzianità di servizio che porta delle considerazioni immediate: la mancanza di titolo di studio che in passato non era obbligatorio, la sicurezza di chi ricopre quel ruolo da decenni e il probabile stress accumulato nel tempo (dati aggiornati a luglio 2020, orizzonte scuola).

I Dirigenti (pubblico ufficiale) e gli insegnanti (incaricati di pubblico servizio e pubblici ufficiali durante l’esercizio di funzioni amministrative), come il personale operante all’interno di strutture educative e di cura (incaricati di pubblico servizio), sono obbligati a sporgere denuncia in presenza di una notizia di reato. Nonostante questo, e nonostante quanto deciso dalla Suprema Corte di Cassazione in merito a chi assiste un maltrattamento e non lo denuncia (commette il reato di maltrattamenti, nella forma di concorso omissivo, la maestra e l’educatore che, pur essendo a conoscenza delle violenze sui minori perpetrate dalle colleghe, anche in un’altra classe, omette di denunciare gli episodi – Cass. Pev. Sez. VI, 9 marzo 2018 n. 10763), soltanto una piccola percentuale delle denunce proviene da operatori o dirigenti. Perchè, dunque, questo muro di omertà ? Il personale scolastico non interviene essenzialmente per tre motivi: non ne era informato o non voleva essere coinvolto; gli eventi sono stati sottostimati e insabbiati; paura di mobbing e rappresaglie.

Il problema, però, è concreto e diffuso in tutto il paese. Tra gennaio e febbraio di quest’anno sono già decine i casi di maltrattamenti e abusi avvenuti in asili e scuole dell’infanzia. Nel settembre 2021, finisce sulle prime pagine dei giornali la vicenda di maltrattamenti ai danni di 17 bambini di età 3-5 anni, di cui uno con disabilità. L’insegnante di 59 anni è responsabile di episodi agghiaccianti, aggressioni abituali, calci, schiaffi, trascinamenti di peso, violenze verbali e insulti, “ti stacco la testa, oca, beduini”. Ma non è un episodio isolato, una maestra di 43 anni ha condizionato talmente le vite dei pargoletti, da meritarsi l’epiteto de “la cattiva”: bambini picchiati, rinchiusi al buio, costretti a mangiare con la forza e a ingerire il vomito; presi a schiaffi, strattonati. Li obbligava a coricarsi sul loro vomito o tra i rilasci sfinteriali da terrore; li costringeva a pulire per terra con lo straccio e infilava loro il cucchiaio in bocca fino a farli star male. Vessazioni così forti che, dopo anni, alcuni di vivono ancora nella paura. In un’altra regione un’altra scuola materna finisce sulla cronaca. Urla e minacce di carcere per chi non si comportava bene. Per i bambini (3-5 anni) quello vissuto in classe con la donna era “un regime di vita umiliante e degradante”, in base a quanto riporta il capo d’imputazione. Gli inquirenti hanno accertato che la donna utilizzava i tappi per le orecchie mentre era con i bambini o si estraniava con il cellulare, li teneva al buio, alcuni di loro venivano picchiati. I bambini più piccoli erano quelli presi maggiormente di mira. Forte influenza psicologica, istigazione alla violenza e ordini di aggredire i compagni. Mancanza di igiene e di cura. Per i pm la donna ha maltrattato i bambini colpendoli con calci, schiaffi, pugni, tirando loro i capelli, lasciandoli incustoditi o privi di attenzioni; è emersa la sua assoluta incapacità di gestire la classe. Numerose le segnalazioni, anche nelle scorse settimane vi è stato l’arresto di tre insegnanti per reiterate condotte di violenza, fisica e psicologica, nonché gravi omissioni nella cura e assistenza, con maltrattamenti sistematici.

Occorre prendere atto che tra le eccellenze di educatori, insegnanti e professori che il nostro paese coltiva, esistano anche dei punti bui. Maestri frustrati e inaciditi dalla vita che riversano il loro rancore sui fanciulli; bornout ed usura psicofisica dovuta a decenni di cambi pannolini; storie di maltrattamenti familiari mimati e riportati in classe; problemi psicologici e comportamentali. Classi troppo numerose, multietniche, necessità di sostegno ai disabili e agli alunni con patologie psicofisiche, stipendi non adeguati, eccessive responsabilità; scarse opportunità di formazione e aggiornamenti, strutture inadeguate. Sono queste alcune delle criticità che possono incidere negativamente sul loro comportamento. Al netto di ogni circostanza, però, è da stigmatizzare sempre la violenza sui bambini, un atto davvero ignobile.

Considerando imprescindibile risolvere il problema a monte, riorganizzando il sistema scuola, il reclutamento del personale e le strutture in cui si esplica; appare evidente come nemmeno l’attuale meccanismo di denuncia funzioni, trattandosi spesso di maltrattamenti ripetuti nel tempo per cui l’intervento non è mai tempestivo (occorrono mesi per fermare un insegnante potenzialmente violento). Servono modalità rapide, snelle ed efficaci, svincolate da inutili lungaggini burocratiche. Congiuntamente, si valuti l’opportunità di raccogliere segnalazioni anche anonime, che il dirigente scolastico potrà immediatamente controllare e, se possibile, risolvere. La notizia di reato per essere accolta dalle autorità deve essere sottoscritta, però un esposto anonimo può indurre ad effettuare un controllo. D’altra parte, con lo stesso principio è stata creata l’app gratuita della Polizia di Stato YouPol, per segnalare episodi di spaccio, bullismo e violenza domestica. La stessa prevede la possibilità di fare segnalazioni in forma anonima (accesso senza registrazione di dati), anche a chi è stato testimone diretto o indiretto, inviando un messaggio con possibilità di inserire foto e video. Inoltre, il dirigente assume tra i precisi doveri della carica, anche l’obbligo di “esercitare i poteri di vigilanza, controllo, segnalazione e denuncia”, tanto da essere chiamato a rispondere per i maltrattamenti perpetrati da un insegnante della sua scuola se non adempie in modo incisivo all’obbligo di vigilanza e controllo (Corte di Cassazione, II sezione Penale n. 38060 del 17 settembre 2014). Ciò implica anche il ritorno ad una gestione più a portata d’uomo: classi meno numerose, dirigenti più presenti e non costretti a dividersi tra i numerosi istituti sparsi sul territorio. Potrebbe essere interessante valutare una postazione di sos accessibile anche ai bambini, perché se è comprovato che quelli più piccoli o con disabilità non sono in grado di comunicare in modo chiaro, è pur vero che compagni di classe e amici cercano aiuto, creando una catena di solidarietà.

Gianni Rodari diceva che i bambini dovrebbero imparare ridendo e non tra le lacrime; che le fiabe devono esistere sempre, perchè sono il luogo di tutte le ipotesi.

 

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