Processo sulla trattativa Stato-mafia: arriva la stroncatura della Dna
La Procura di Palermo lasciata sempre più sola. Il pm Nino Di Matteo: «Ennesimo intervento a gamba tesa»
La Direzione nazionale antimafia passa all’attacco e lo fa con una mossa che non ti aspetti. O forse sì. Nella relazione annuale sul 2013 critica l’impostazione del processo di Palermo sulla trattativa Stato-mafia, che vede sul banco degli imputati boss di Cosa nostra, così come alte cariche dello Stato e dei Servizi segreti. Bastano poche righe per accendere la miccia là dove i rapporti tra le toghe non possono certo definirsi idilliaci. La Direzione distrettuale antimafia di Palermo, osserva il consigliere Maurizio De Lucia nel documento, «ha ritenuto di dover inquadrare alcune delle condotte da provare nei confronti di alcuni degli imputati nella fattispecie astratta di cui all’art. 338 c.p. (Violenza o minaccia ad un corpo politico, amministrativo o giudiziario, ndr), ponendo in tal modo nuovi problemi di natura giuridica e fattuale al giudice che dovrà decidere sulla corretta ricostruzione dei fatti operata nell’inchiesta».
La bacchettata ai magistrati palermitani non finisce qui. Come se non bastasse, infatti, nella relazione viene sottolineata l’importanza della sentenza di assoluzione del prefetto Mario Mori e del colonnello Mauro Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1996. «Tale processo – si legge – presenta significativi momenti di collegamento sia probatorio che sostanziale con quello in argomento ed il suo esito non può non destare oggettivi motivi di preoccupazione in relazione all’impostazione del processo cosiddetto trattativa». Parole che, inevitabilmente, finiscono per acuire nuovamente la polemica tra la Dna e la Procura di Palermo.
Le “preoccupazioni” del sostituto procuratore De Lucia (fedelissimo di Pietro Grasso, applicato da qualche anno a Palermo, dove ha coordinato alcuni dei principali processi sull’infiltrazione mafiosa nel mondo politico) giungono a poca distanza da quelle, anch’esse messe nero su bianco, dal giurista Giovanni Fiandaca e dallo storico Salvatore Lupo, coautori del saggio in uscita il 20 febbraio, dal titolo: “La mafia non ha vinto – Il labirinto della trattativa” (ed. Laterza). Anche in questo testo vengono messi in dubbio i fondamenti giuridici del processo in corso a Palermo. Non solo. Il patto scellerato che lo Stato sancì con la mafia per far cessare le stragi viene addirittura ritenuto legittimo e necessario. «Qualcuno può avere avviato, più o meno autonomamente, trattative con la leadership dell’organizzazione mafiosa, o con qualche sua fazione, o qualche suo satellite. […] La scelta politico-governativa di fare concessioni ai mafiosi in cambio della cessazione delle stragi risulterebbe legittima perché legittimata, appunto, dalla presenza di una situazione necessitante che impone agli organi pubblici di proteggere la vita dei cittadini».
Un duro colpo dietro l’altro per i sempre più isolati pm di Palermo. Non dimentichiamo il procedimento disciplinare nei confronti di Nino Di Matteo e quello, recentissimo, contro il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, “reo” di aver criticato proprio la sentenza di assoluzione di Mori e Obinu. Come se non fossero sufficienti gli ordini di morte lanciati da Riina dal carcere milanese di Opera.
Le repliche dei magistrati alla relazione annuale della Dna non si sono fatte attendere. Per Di Matteo «è l’ennesima entrata a gamba tesa contro un processo che da’ fastidio a tutti, non è la prima e purtroppo credo che non sarà neppure l’ultima. Mi chiedo cosa succederebbe se qualcuno di noi formulasse giudizi di merito di questo genere su processi tuttora in corso davanti a tribunali e corti d’assise diverse». «Mi chiedo – gli fa eco un’ancora più amareggiato Teresi – che competenza istituzionale abbia un semplice sostituto procuratore nazionale antimafia per esprimere così taglienti giudizi su un processo in corso di cui credo non conosca pressoché nulla». Il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti respinge però al mittente le polemiche: «Nessun intento critico nei confronti della Procura di Palermo può e deve essere letto», tiene a precisare. «Senza volersi ingerire nelle scelte processuali – continua – la Dna ha inteso soltanto evidenziare la complessità del processo, certamente di maggiore interesse attuale per l’opinione pubblica, in relazione alle inedite problematiche giuridiche e fattuali che esso presenta».
Smentita di Roberti a parte, sta di fatto che il processo sulla trattativa Stato-mafia fa paura a molti. Primi fra tutti quegli intellettuali che ebbero un ruolo importante nell’ignobile dialogo. È questo è innegabile.