Povertà e pensieri lunghi.
Ripensare ad un mondo più giusto, muovendo dai princìpi della Teologia della Liberazione e dal pensiero marxista.
Nell’era digitale 4.0, dei viaggi di ‘sollazzo’ nello spazio cosmico e della finanza che produce finanza a scapito del mondo del lavoro – soprattutto in questa fase in cui il commercio del consumismo forzato richiama in ogni dove agli acquisti di Natale – è quantomai importante non dimenticare quanto narrato dal Rapporto ISTAT 2020 sulle povertà.
La relazione dell’Istituto di Statistica rileva, purtroppo, numeri impietosi. Nell’anno in questione torna a crescere la povertà assoluta: sono in condizione di povertà assoluta più di due milioni di famiglie (7,7% del totale da 6,4% del 2019) e oltre 5,6 milioni di individui (9,4% da 7,7%). Dopo il miglioramento del 2019, nell’anno della pandemia la povertà assoluta aumenta raggiungendo il livello più elevato dal 2005 (inizio delle serie storiche). Per quanto riguarda la povertà relativa, le famiglie sotto la soglia sono più di 2,6 milioni (10,1%, da 11,4% del 2019). Nel 2018 il 20% più ricco tra i nostri connazionali possedeva circa il 72% dell’intera ricchezza nazionale, il cui valore complessivo si attestava attorno a 8.760 miliardi di euro. E ancora: in termini patrimoniali, il top-10% della popolazione italiana possiede oggi oltre sette volte la ricchezza della metà più povera della popolazione. Nuove e vecchie povertà (tra cui vanno menzionati 1,3 milioni di minori che vivono condizioni di povertà assoluta) rappresentano un fatto di cui non si può non tenere conto. Rispetto, dignità, istruzione, uguaglianza, cura della persona, debbono richiamare tutti, ciascuno per le proprie possibilità, ad una corresponsabilità diffusa. Vi è la necessità di risvegliare le coscienze a un rinnovato senso del “noi”, in ragione di uno scenario sociale ed economico assai preoccupante. Il nostro Paese, per incapacità o decisioni opposte alle norme comunitarie, dilapidi circa 200mila euro al giorno a titolo di penali alla Unione Europea (UE), soprattutto per violazioni nello smaltimento dei rifiuti e, più in generale, per il mancato o parziale rispetto delle norme ambientali, pari ad un ammontare di 550 milioni di euro nel periodo 2011-2019. Non di meno va ricordato che l’Italia è anche un Paese tra i più devastati a causa di un’evasione fiscale sconcertante, che supera i 100 miliardi di euro annui i cui margini di recupero assai infruttuosi.
Ampi spazi di miglioramento di queste criticità sono, o meglio sarebbero, improcrastinabili. Al riguardo, infatti, troppi ‘attori’ della società (quella che vive bene, ovviamente) hanno sempre guardato al fenomeno della povertà come residuale limitandosi ad analizzare questo tipo di documenti in maniera pressoché analitica o poco più: questi, però, non sono numeri. Sono persone, sono storie di fatiche, di privazioni, di solitudine e talvolta di disumanità. Se pur importanti, gli indicatori relativi ad una parziale ripresa del sistema produttivo che in questi giorni leggiamo, da soli non saranno tuttavia sufficienti a colmare questo Gap.
Ripensare ad un mondo più giusto, muovendo ad esempio dai princìpi cardine della Teologia della Liberazione, non sarebbe un’idea peregrina. Con una buona dose anche di pensiero Marxista, con la finalità di leggere e interpretare la società e le ingiustizie, i teologi della Liberazione usarono la sociologia, la storia, l’economia e l’antropologia rielaborandole con le categorie della teologia e del Vangelo; questa nostra attualità così distorta ed iniqua, ha bisogno di ripartire dalle basi, dai fondamentali che mettano al centro dell’agire politico e sociale le persone e l’umanità prima di tutto. Occorre muovere dunque da pensieri nobili e lunghi, quali che siano, di fede di Storia o di appartenenza politica che siano forieri di giustizia sociale, pur che sia questa la direzione.