Politica italiana: il centro non esiste.
Il terzo polo, guardando alla Dc ogni tentativo recente è un flop, come mai?
La politica italiana sembra essere condannata a ripetere gli stessi schemi senza riuscire a trovare una vera via di fuga. C’è chi continua a guardare con nostalgia agli anni della Democrazia Cristiana (DC), l’asse portante del panorama politico del Paese dal dopoguerra fino al 1994, anno dello scioglimento del partito. Nonostante i tentativi di costruire un “centro” stabile, il risultato è sempre lo stesso: il centro non esiste.
I vari esperimenti politici – dalla costellazione di partiti centristi nati dalle ceneri della DC, ai recenti tentativi dei Cinque Stelle di presentarsi come un movimento né di destra né di sinistra, i tentativi del cosiddetto terzo polo di Renzi, di Calenda, di Lupi e perché no, del primo Berlusconi, sono stati invariabilmente
destinati al fallimento. È come se in Italia, una posizione “centrale” non avesse mai trovato un vero consenso popolare, una “terra di mezzo” che possa rappresentare un’alternativa concreta e stabile alle forze politiche più polarizzate.
il fulcro della comunicazione politica di ieri e di oggi per orientare il voto rimane però lo stesso, diffondere paura.
Il cuore del problema è forse da ricercare nel modo in cui la politica si è sempre raccontata e comunicata nel nostro Paese: non tanto nella creazione di ideologie o di proposte di governo, quanto nella continua e costante gestione della paura. La politica italiana è da sempre legata alla capacità di alimentare il timore del “nemico”, che varia nel tempo ma che, in definitiva, è sempre funzionale a spingere gli elettori verso una scelta per “proteggersi” da ciò che sembra minacciarli.
La storicità della DC, che ha dominato la scena politica italiana dal dopoguerra fino agli anni ’90, è indissolubilmente legata alla sua capacità di rappresentare una “terza via”, tra la sinistra socialista e la destra fascista. Ma questa posizione non sarebbe mai stata sostenibile senza l’alleanza con la Chiesa cattolica, che ha contribuito a dare alla Democrazia Cristiana grandi consensi. La Chiesa, infatti, ha esercitato un ruolo centrale nell’influenzare l’orientamento politico degli italiani, creando un argine contro le forze che minacciavano la sua visione del mondo, sia da destra che da sinistra.
Ma la storia della politica italiana è anche quella dei “doppi estremismi”. Quando la sinistra italiana cresceva, la paura di un’invasione del comunismo e la percezione di una sinistra radicale come una minaccia per l’ordine sociale spingeva gli italiani a guardare alla DC e alle forze moderate come garanzia di stabilità. Negli anni ’70, con la tensione degli anni di piombo e le stragi che hanno segnato la vita del Paese, la politica italiana si è trovata di fronte alla “teoria del doppi estremismo”, che vedeva la sinistra e la destra radicali come due facce della stessa medaglia, entrambe potenzialmente destabilizzanti. La paura di una spirale di violenza non solo alimentava il sostegno al centro, ma in qualche modo finiva per giustificare una serie di azioni segrete, le cosiddette “stragi di stato”, che hanno coinvolto i servizi segreti, che non si capisce perché in Italia sono sempre deviati, e che sono ormai entrate nella storia come una delle pagine più oscure della nostra democrazia.
Nel ventunesimo secolo, la paura è tornata ad essere il principale motore della politica. Negli ultimi anni, in particolare, è la paura dell’immigrazione a dominare la scena, diventando il principale argomento di discussione in molti partiti, ma soprattutto nella propaganda politica. Se una volta la paura era legata alle minacce interne, come il terrorismo o la violenza di estrema destra o sinistra, oggi l’attenzione si sposta sull’“invasione” dei migranti, spesso descritti come un pericolo per l’identità culturale e sociale del Paese.
Ma in questo contesto, l’orientamento di voto al “centro” non si rinnova ancora una volta, anzi si estremizza. Oggi si teme una perdita di sovranità e una “sostituzione” della nostra cultura con una diversità considerata minacciosa. L’effetto è simile: spingere gli elettori a cercare un rifugio in un che promette stabilità e ordine, senza mai riuscire a definire un progetto chiaro, ma alimentando la sensazione di essere costantemente in pericolo.
La politica italiana sembra incapace di liberarsi da un circolo vizioso, dove la paura continua a dominare la scena. La costruzione di un centro politico solido e coerente è fallita ogni volta, sostituita da un’idea di politica che si adatta alle circostanze, alle emergenze, senza mai veramente guardare al futuro in modo costruttivo. In un Paese che ha conosciuto le fratture profonde della guerra civile, delle stragi politiche e delle tensioni internazionali, è forse inevitabile che la paura, come strumento comunicativo, continui a giocare un ruolo determinante nella costruzione del consenso.
Se da un lato il centro non esiste, dall’altro la paura continua a essere l’unico vero collante in grado di unire le diverse forze politiche, che spesso si rifugiano in posizioni di difesa, senza mai affrontare i nodi strutturali del Paese. La sfida per la politica italiana, quindi, potrebbe non essere tanto quella di cercare il centro, ma di uscire finalmente dall’ombra della paura per costruire un progetto di futuro condiviso, lontano dalle vecchie logiche di difesa e di separazione.
L’essere di centro, né di destra né di sinistra, sarà ormai per gli italiani sinonimo di ambiguità?