Polemiche in Italia dopo la nascita di FCA
Per la Camusso non ci sono garanzie sugli stabilimenti italiani. Più ottimisti Governo e gli altri sindacati
Non si sono fatte attendere le reazioni in Italia il giorno dopo il cda che ha sancito la nascita della Fiat Chrysler Automobiles e il trasferimento della sua sede legale ad Amsterdam e quella fiscale a Londra.
Centro dell’attenzione, naturalmente, il destino degli stabilimenti italiani di cui Marchionne, ad inizio mese, ne aveva garantito la piena riattivazione. Facendosi forte proprio di quelle parole, il ministro Giovannini si è mostrato ottimista: «da parte del management di Fiat c’è stato un impegno di riattivare gli stabilimenti in Italia che sono in cassa integrazione e così via, noi siamo convinti che questo impegno sarà rispettato». Il titolare del dicastero del Lavoro ha fatto eco al presidente del Consiglio Letta che ieri, da Bruxelles, aveva ricordato come ad esser importanti «non siano le sedi ma l’occupazione, la competitività, il numero di auto vendute e la globalità».
Più articolata la posizione dei sindacati. La CGIL se da una parte ha sottolineato che per loro non sono un problema le alleanze internazionali del gruppo, dall’altro ha tenuto a precisare che ancora, a parte le parole di Marchionne, non ci siano garanzie sul destino degli stabilimenti italiani. Evidentemente riferimento al fatto che già una volta, due anni fa, l’ad Fiat non ha mantenuto la promessa di investimenti in Italia, si trattava del famigerato piano Fabbrica Italia da 20 miliardi.
Più favorevoli all’azienda le dichiarazioni dei leader di CISL e UIL. Bonanni ha dichiarato che «abbiamo la conferma degli investimenti in Italia e bisogna rendersi conto che FIAT è una delle poche aziende che investono mentre le altre delocalizzano», posizione simile a quella di Angeletti della UIL, secondo il quale il trasferimento di FIAT «non è una fuga» ma un modo per assicurarsi un più solido futuro e quindi con maggiori garanzie occupazionali.