Peppino Impastato e Giuseppe Fava: il ricordo di una grande Sicilia
avamposto di legalità e denuncia
Giuseppe Fava immenso come Peppino Impastato. In comune fra i due, tra le tante cose, anche il 5 gennaio. Giorno in cui Peppino nacque (nel 1948) e a Pippo spararono (nel 1984). Per ironia della sorte, Fava è stato il secondo intellettuale a essere ucciso da Cosa nostra proprio dopo Impastato. Loro, che hanno fatto la storia, erano l’avamposto della denuncia, della legalità e della cultura.
Due uomini, due siciliani, giornalisti, uccisi dalla mafia: Giuseppe Fava era un professionista della carta stampata, Peppino Impastato amava fare l’equilibrista tra satira e denuncia dalla sua Radio Aut. Entrambi avevano individuato i boss della loro zona, da una parte Nitto Santapaola, dall’altra Tano Badalamenti. Pippo continua a investigare e a preparare reportage, giorno e notte davanti una macchina da scrivere. Il teatro, la sua grande passione che alterna sfornando libri. Radio Rai, la sceneggiatura di Palermo or Wolfsburg gli vale l’Orso d’Oro a Berlino. Collabora con i giornali più importanti, locali e nazionali. Racconta di traffici di droga, di chi comanda a Catania, di boss e di editori. Mette la lente di ingrandimento sulla base Nato, cavalieri, politici, imprenditori, questori e uomini di chiesa. Disvela gli intrecci mafiosi. Sono le 21.30 del 5 gennaio 1984, Pippo Fava è in auto, a un passo dal teatro. Su di lui una pioggia di proiettili. Gli sparano da dietro. Peppino Impastato, invece, è stato un’eccezione per l’epoca. Si dissocia dalla famiglia che è un importante clan mafioso e tuona da Cinisi nel nome della legalità. Fonda il circolo musica e cultura, organizza cineforum e teatro. Investiga, denuncia pubblicamente il narcotraffico, il monopolio dell’aeroporto di Punta Raisi, le alleanze politico-mafiose. Sindacalista, appassionato anche alla politica, si candida alle elezioni comunali, ma non fa in tempo a sapere l’esito delle votazioni perché viene assassinato a campagna elettorale ancora in corso, la stessa notte in cui anche Aldo Moro è messo a tacere per sempre (9 maggio 1978). Menti raffinatissime da Roma avevano disposto e Cosa nostra, per mano del Badalamenti, aveva eseguito. Tentarono dunque di inscenare un attentato-suicidio, ponendo una carica di tritolo sotto il suo corpo adagiato sui binari della ferrovia Palermo-Trapani. Alle elezioni, Peppino era risultato il consigliere comunale più votato con 199 preferenze.
Impastato e Fava sono stati uccisi, diffamati, secondo le regole e le strategie mafiose, per screditarli e disonorarli, additati come un “terrorista” e un “femminaro”. Felicia Bartolotta, madre di Peppino, e suo fratello Giovanni Impastato, si batterono strenuamente affinché fosse riconosciuta la matrice mafiosa dell’omicidio. Anche nel caso di Fava l’evidenza di quanto egli stesso aveva documentato sulle collusioni tra Cosa nostra e i cavalieri del lavoro catanesi era stata rivalutata dalla magistratura, che avviò vari procedimenti giudiziari. Il tempo e le indagini disvelarono solo negli anni successivi i fitti collegamenti tra politica e mafia, che decisero per la loro uccisione. Tuttavia restano ancora irrisolti molti punti, come quello della strage della Casermetta di Alcamo, su cui Peppino stava indagando.
Due grandi figure che hanno attraversato i decenni, screditando il servilismo e il potere mafioso. Sono stati gli antesignani del modo di fare giornalismo libero, senza padroni e senza censure. Con una buona dose di incoscienza e coraggio, sempre guardando in faccia i boss che stavano a pochi passi da loro. In Sicilia non è mai stato facile opporsi, esporsi, prendere posizione e denunziare. Ma, come consideravano i nostri due pionieri, “a che serve vivere, se non si ha il coraggio di lottare?”. “Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, sollecita la costante attuazione della giustizia, impone ai politici il buon governo”, spiegava Fava. In un tempo, come quello di oggi in cui c’è chi vuole mettere il bavaglio alla stampa, facendo saltare anche la segretezza delle fonti; impedire le indagini della magistratura e delle FFOO, vietando perfino le intercettazioni, ci mancano davvero tanto figure del loro spessore.
A Mafiopoli si coltiva un ortaggio speciale: il mafio, incrocio tra carciofo, pallone gonfiato e lupara. Ascoltiamo adesso l’inno nazionale di Mafiopoli (suono dello scarico del water). Il grande capo, Tano seduto, si aggira come uno sparviero nella piazza, mentre la commissione edilizia è riunita. Si aspetta il grande verdetto. Il progetto Z11 è passato. Per Don Tano seduto non esistono ostacoli. Ci sarà anche un porticciolo, in costruzione, dove approderanno tutte le puttane dei nostri amici e da dove le nostre merci potranno partire indisturbate. A Mafiopoli ci saranno due liste elettorali: una sarà denominata “ospedale da campo” e porterà come simbolo una croce rossa che campeggia su una lupara. E un bisturi. Ma siamo ancora indecisi sul bisturi. (Onda Pazza, Peppino Impastato).
Fava nella sua ultima intervista, rilasciata il 28 dicembre 1983 a Enzo Biagi, considerava in modo estremamente lucido che ” […] I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Se non si chiarisce questo equivoco di fondo, cioè il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale, è roba da piccola criminalità che credo faccia parte ormai, abiti in tutte le città italiane, in tutte le città europee. Il problema della mafia è molto più tragico e più importante, è un problema di vertice della gestione della nazione ed è un problema che rischia di portare alla rovina, al decadimento culturale definitivo l’Italia. […] I mafiosi non sono più quelli che ammazzano, quelli sono gli esecutori. […] La mafia è diventata un’organizzazione che riesce a manovrare centomila miliardi l’anno, più del bilancio di un anno dello Stato italiano, in condizione di armare degli eserciti, possedere delle flotte, avere una aviazione propria. In effetti, sta accadendo che la mafia si sia ormai pressoché impadronita, almeno nel medio oriente, del commercio e del mercato delle armi. Dall’America viene il più grande flusso di droga e denaro. Però neanche loro avrebbero cittadinanza in Italia come mafiosi se non ci fosse il potere politico e finanziario che consente loro di esistere.
Diciamo che di questi centomila miliardi, un terzo, un quinto resta in Italia e bisogna pure impiegarlo in qualche modo, bisogna riciclarlo, ripulirlo, reinvestirlo. E allora ecco le banche, le banche nuove, questo pullulare, questo proliferare di banche nuove dovunque che servono per riciclare. Il Generale Dalla Chiesa lo aveva capito, questa era stata la sua grande intuizione, quella che lo portò alla morte. E’ dentro le banche che bisogna frugare perché lì ci sono decine di migliaia di miliardi insanguinati che vengono immessi dentro le banche e ne fuoriescono per andare verso opere pubbliche. Ritengo che molte chiese siano state costruite con appalti avuti da denari mafiosi insanguinati. Ho visto molti funerali di Stato. Molto spesso gli assassini erano sul palco delle autorità. A mio parere tutto parte da una assenza dello Stato e dal fallimento della società politica italiana. Bisogna ricominciare da lì. Forse è necessario creare una nuova Repubblica in Italia, che abbia una struttura di democrazia e delle leggi volte ad eliminare il pericolo dell’avidità e delle compiacenze. Tutto nasce da lì, dal fallimento della politica e degli uomini politici, della nostra struttura politica e da questa democrazia inquinata”.
Per uno strano scherzo del destino, il 5 gennaio (1863) nasceva anche Konstantin Sergeevič Stanislavskij, attore, regista teatrale e insegnante russo, teorico del teatro e ideatore di quel metodo che ancora oggi porta il suo nome. Considerato una tappa fondamentale per la nascita della recitazione e del teatro moderno. Teatro e arte che sempre hanno animato e arricchito il pensiero di Impastato e Fava. La cultura e l’istruzione non lasciano spazio alla mafia. Il 5 gennaio (2007) si sono riaccese anche le frequenze di radio Aut – ribattezzata radio 100 passi, per la prima volta in onda senza Peppino, ma mai più spenta. La linea guida è la parola degli uomini giusti e liberi, quelli che nemmeno le pallottole hanno il potere di mettere a tacere.