Pubblicato: Mer, 18 Dic , 2013

Palermo, scuola intitolata a Rita Atria

Una targa ricorda la figura della giovane che si ribellò alla mafia, pagando un prezzo altissimo. L’appello a giovani e adulti: mai abbassare la guardia

 

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Rita Atria

Si è svolta questa mattina a Palermo, presso la sala Scarlatti del Conservatorio Vincenzo Bellini, la cerimonia di intitolazione dell’Istituto Comprensivo “G. Turrisi Colonna – B. D’Acquisto” alla testimone di giustizia Rita Atria. Nata e cresciuta a Partanna, piccolo Comune del Belice, Rita era figlia e sorella di mafiosi, entrambi uccisi in un agguato a pochi anni di distanza l’uno dall’altro. Nel novembre del 1991, ad appena 17 anni, decide di seguire lo stesso percorso intrapreso dalla cognata Piera Aiello che, dopo aver assistito all’omicidio del marito, denunciò i due assassini e iniziò a collaborare con la polizia. Il primo a raccogliere le rivelazioni della ragazza è Paolo Borsellino, all’epoca procuratore di Marsala, e poi i sostituti Alessandra Camassa e Massimo Russo. Ma è nel giudice che ritrova quasi un secondo padre, al quale confidare segreti più grandi di lei, quelle stesse intime confidenze che le aveva fatto il fratello Nicola sugli affari e movimenti delle cosche mafiose del trapanese, compresi mandanti e movente dell’omicidio dell’amatissimo padre Vito. Rita inizia così una nuova vita a Roma, dove già si trovava la cognata. Vivrà sotto falso nome e per mesi non vedrà nessuno. Nemmeno la madre, Giovanna Cannova, la quale ripudiò quella picciridda ribelle, che ha osato disonorare il nome della famiglia. Una figura lontana anni luce da Felicia Bartolotta, mamma di Peppino Impastato.

L’unico amico rimasto sempre al suo fianco è «lo zio Paolo», come lei stessa amava chiamare il giudice Borsellino. Grazie alle deposizioni di Rita, unitamente alla testimonianza di Piera, vennero delineati gli scenari della guerra di mafia che a Partanna aveva provocato una trentina di omicidi nella faida tra la famiglia degli Ingoglia (alla quale appartenevano gli stessi Atria) e quella degli Accardo. Furono arrestati i mafiosi da lei accusati e fu avviata un’indagine sull’ex sindaco democristiano del paese, Vincenzino Culicchia.

Ma arriva l’estate del ’92. Il 19 luglio, in via d’Amelio, un’autobomba fa saltare in aria il giudice e la sua scorta. Rita adesso è veramente sola. «Ora che è morto Borsellino – scrive nel suo diario – nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura, ma io l’unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi. […] Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi. Ma io senza di te sono morta». La profonda sofferenza interiore di questa Antigone moderna, lasciata da sola con i suoi tormenti dalla società e dalle istituzioni, trapela dalle pagine di quel diario. Come l’eroina di Sofocle che preferì la morte, piuttosto che soggiacere alla legge ingiusta degli dei, Rita sceglie la libertà, anche se per farlo compirà un gesto estremo: una settimana dopo dalla strage di via d’Amelio, si toglie la vita lanciandosi dal settimo piano del palazzo di viale Amelia, 23, nel quartiere Tuscolano di Roma, dove aveva traslocato da appena tre giorni.

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La professoressa Maria Cordone e l’assessore alla Scuola del Comune di Palermo Barbara Evola

«Le parole di Rita – afferma la dirigente scolastica dell’Istituto, la prof.ssa Maria Cordone – sono forse più forti del boato delle bombe che hanno distrutto Falcone e Borsellino e più forti di tutti gli spari di lupara che hanno trucidato i suoi cari. Affido a voi ragazzi, ai miei docenti e a tutti di crescere in una società civile priva di ignoranza, per il bene di tutti. […] ed è con orgoglio che annuncio che la nostra sarà la prima scuola in Italia ad essere intitolata a Rita. La scelta di intitolare a lei l’Istituto Comprensivo, è stata una decisione chiara e netta. In questa ragazza di soli 17 anni erano fortissimi i valori di verità e di giustizia. Sarebbe potuta essere una nostra alunna e non dobbiamo mai dimenticare che la scuola si deve sempre muovere sul sentiero della legalità e del vivere civile. L’opera di educazione è, infatti, la base di tutto».

«Abbiamo bisogno anche dei genitori per condurre i nostri ragazzi nel percorso della loro vita, all’insegna della legalità», interviene l’assessore comunale alla Scuola, Barbara Evola, ricordando il cosiddetto “sistema Abreu”: un metodo didattico tramite il quale «la musica diventa strumento di aggregazione per sottrarre i giovani alle strade e per tirare fuori da loro i talenti, indicandogli una strada diversa». Riscattarli dal punto di vista sociale e intellettuale, significa strapparli dalla povertà, dal degrado e dalla criminalità. «Questa città – continua l’assessore – ha vissuto un momento molto forte, successivo alle stragi del ’92, in cui la comunità si è riconosciuta in determinati valori e si è ribellata. C’è stata un’indignazione fortissima che ha fatto sperare in un cambiamento, ma dopo qualche anno gli equilibri si sono ristabiliti e adesso alle commemorazioni ci ritroviamo sempre gli stessi, ma con i capelli un po’ più bianchi. Palermo non ha bisogno di commemorazioni, né di indossare una volta l’anno “l’abito della domenica”. Abbiamo invece bisogno di costruire un percorso tutti insieme. L’intitolazione, quindi, deve portare dietro una memoria che va raccolta e coltivata. Come diceva padre Pino Puglisi: “Il cambiamento parte da ciascuno di noi”. La solitudine di Rita potrà essere superata soltanto se saremo in grado di raccogliere il suo messaggio e portarlo avanti. Dobbiamo essere in grado di riportare quel cambiamento che avevamo intravisto e che poi ci siamo lasciati sfuggire di mano».

La professoressa Rita Rosa Ingrassia legge un altro estratto dal diario di Rita Atria: “Bisogna rendere coscienti i ragazzi che vivono nella mafia, che al di fuori c’è un altro mondo, fatto di cose semplici ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei. Non perché sei figlio di quella persona o perché hai pagato per farti fare quel favore”. «Questo pensiero ci porta a considerare il fenomeno mafioso non come qualcosa che non ci appartiene, al di fuori di noi, confinato negli angoli più riposti della delinquenza. La mafia, come una malapianta, si propaga, diventa pervasiva ed è capace di trasformarsi in relazione ai tempi che cambiano. Vive bene in un contesto di ignoranza. Ecco perché la cultura, intesa come conoscenza e interiorizzazione dei saperi, è un’arma potentissima per combatterla. Non dobbiamo mai abbassare la guardia.  Penso a Falcone quando diceva: “La mafia è un fenomeno umano e, come tutti i fenomeni umani, così come nasce, muore”. Non illudiamoci che muoia di morte naturale, con il passare del tempo. Non limitiamoci a scoprire una targa. Assumiamoci la responsabilità dell’impegno. Altrimenti, quella di oggi, sarà soltanto l’ennesima giornata di commemorazione».

Presente alla cerimonia, anche il sindaco di Partanna, Nicolò Catania, che ringraziando per la scelta di intitolare la scuola alla sua concittadina, ha detto: «Rita Atria è diventata l’icona e l’ambasciatrice di un nuovo senso di giustizia e di ribellione».

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La poetessa Lina La Mattina

È seguita la toccante lettura, da parte di una studentessa, di un brano dal titolo “Sono solo una ragazzina in cerca di giustizia”. Altrettanta, grande emozione l’ha suscitata la poesia “Volu ri Palumma” (“Volo di colomba”) che Lina La Mattina ha scritto nel 1998 dedicandola alla giovane di Partanna. “Avevi sulu dicissetti anni e curaggiu di vinniri, ma ti mancò lu cori quannu l’ultima spiranza, pampina di ‘mmernu, cadìu cutuliata di ‘na timpesta di chiummu” (“Avevi solo diciassette anni e coraggio da vendere, ma ti mancò il cuore quando l’ultima speranza come foglia d’inverno cadde, abbattuta da una tempesta di piombo”), recita uno dei versi che la stessa poetessa ha recitato questa mattina davanti alla folta platea.

Quando ormai l’incontro sta per volgere quasi al termine, ecco una sorpresa, tenuta segreta fino all’ultimo per ovvie ragioni. Tra i presenti c’è anche Piera Aiello, che da anni vive in una località segreta. «Se sono qui a parlare, lo devo solo al sacrificio di Rita. Ho voluto renderle omaggio, come in un patto d’amore». E a chi le chiede come si è sentita appena saputa la notizia del suicidio di Rita, risponde: «Inizialmente ero molto arrabbiata. Mi sono sentita lasciata sola, perché, anche se lei era più piccola di me, era la mia ancora di salvezza, era “la mia piccola grande donna”. Ma da allora il senso di dovere e di giustizia non mi ha mai abbandonata neanche per un minuto». E rivolgendosi a genitori e docenti: «Andate fra i giovani. Adottate la storia di Rita, delle altre vittime di mafia e di ogni singola persona che ha perso la vita per la legalità e per avere una vita migliore».

È fondamentale non perdere mai la speranza, né cedere alla resa. «Forse un mondo onesto non esisterà mai – scriveva Rita nel tema di maturità – ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo».

 

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