ndrangheta: riconosciuto in Cassazione il clan Soriano
Per la prima volta viene riconosciuta in via definitiva la ndrina di Filandari
I Soriano di Filandari sono un clan e fanno parte della ndrangheta. A sancirlo è la Corte di Cassazione che, con una sentenza per certi versi storica, pone in parte fine all’operazione antimafia denominata Ragno. Certifica per la prima volta con una sentenza passata in giudicato – e colmando così un ritardo ultratrentennale da parte dello Stato – l’esistenza della consorteria mafiosa dei Soriano di Pizzinni di Filandari e la sua appartenenza all’onorata società calabrese. L’operazione delle FFOO era iniziata nel 2011 a Vibo Valentia, con il coordinamento della Dda di Catanzaro. La ndrina è particolarmente attiva nel narcotraffico e nelle estorsioni nei comuni di Filandari e di Jonadi. Dalle risultanze investigative emergono i forti legami con i Mancuso, Antonio e Mommo Macrì. Secondo quanto dichiarato da un collaboratore di giustizia, Giuseppe Soriano è stato battezzato da Francesco Antonio Pardea nel carcere di Siano e sarebbe stato unito in copiata come capo società con Luigi Mancuso.
Nel 2011 durante l’operazione Ragno erano stati arrestati 10 presunti affiliati dei Soriano accusati di associazione mafiosa, estorsione e porto abusivo di armi e di esplosivi. Cappelle funerarie fatte saltare in aria con l’esplosivo, autovetture date alle fiamme, abitazioni prese a colpi di pistola o incendiate, bar distrutti a suon di bombe, pelliccerie danneggiate con colpi d’arma da fuoco, scritte offensive sui muri del paese contro imprenditori ed esponenti delle FFOO. Nelle indagini emergono anni di violenze, intimidazioni e soprusi che il clan Soriano avrebbe esercitato per imporre il proprio controllo del territorio. Fra le vittime del clan, anche un agente della polizia di Stato a cui nel novembre del 2010 è stato fatto saltare in aria il garage con un ordigno esplosivo. Associazione mafiosa, estorsioni, danneggiamenti, minaccia, incendio, detenzione di armi ed esplosivo i reati, a vario titolo, contestati e aggravati dalle modalità mafiose. I Soriano risultano operativi almeno dal 2007 in via continuata, ai danni di numerosi imprenditori e giornalisti locali. L’indagine ha permesso anche di individuare i responsabili delle minacce e dei danneggiamenti subiti da alcuni carabinieri impegnati sul territorio dove era attiva l’organizzazione.
Sempre a Filandari e Ionadi, a seguito della scarcerazione nel settembre 2017 del boss Leone Soriano, si sarebbe registrata una nuova ondata di intimidazioni ed atti criminali, caratterizzati da ben 14 episodi intimidatori. Nel mirino della cosca sarebbero finiti in particolar modo imprenditori e commercianti, ma anche l’Arma, tanto che il clan era intento a pianificare un attentato alla caserma dei carabinieri, da porre in essere con l’esplosione di colpi d’arma da fuoco o con un ordigno esplosivo. La procura nella figura dell’illustre dott. Gratteri, congiuntamente alle forze dell’ordine, risponde tempestivamente, per fare sentire la presenza della giustizia in una tra le province con la più alta densità mafiosa d’Italia. Al suo fianco, a gestire le indagini, il colonnello Luca Romano, a capo del Reparto Operativo. L’azione investigativa è stata effettuata senza interruzione, con il lavoro congiunto di tre sostituti procuratori, coordinati dall’aggiunto Bombardieri secondo cui «l’arroganza criminale del clan aveva raggiunto livelli di pericolosità tale da dover intervenire con urgenza». Il clan Soriano, per dimostrare l’egemonia totale sul territorio, avrebbe voluto realizzare aggressioni anche ai danni delle cosche rivali, come l’agguato progettato nei confronti di Giuseppe Accorinti di Zungri. La ndrina, già colpita dall’operazione Ragno, aveva dimostrato una forte capacità di rigenerazione che permetteva di mantenere un pattugliamento quotidiano del territorio. Quando il clan ha capito di essere monitorato da vicino, i vari componenti avrebbero cominciato a cercare nascondigli per sfuggire, invano, alla cattura. Nel 2018 scatta l’operazione Nemea, tra gli arrestati anche il presunto boss Leone Soriano ed elementi considerati esponenti della locale di Filandari. La Procura Generale presso la Corte d’Appello di Catanzaro, sulla scorta delle risultanze investigative, aveva circostanziato un grave quadro indiziario e un concreto pericolo di reiterazione dei reati in capo agli arrestati. Il ruolo importante delle donne e di diversi giovani sarebbe inoltre avvalorato dal fatto che tra i fermati vi erano anche donne giovani e con posizioni apicali all’interno della cosca, che a parere degli inquirenti avrebbero contribuito a portare avanti le attività del clan, come nel caso del traffico di droga. E proprio al traffico della droga e delle armi puntava il clan per accrescere il proprio potere e saldare nuove alleanze con altri sodalizi criminali. Gli investigatori avevano evidenziato anche come fosse di rilievo il diretto coinvolgimento delle donne della famiglia Soriano nell’organizzazione delle attività illecite, protagoniste nella tenuta dei rapporti coi i singoli pusher e nell’amministrazione dei proventi ottenuti illegalmente. La moglie di Leone Soriano è forse l’unica donna nella provincia di Vibo Valentia ad essere proprio a tutti gli effetti inserita nella consorteria di propria pertinenza; lei in assenza del marito ne fa le veci e si occupa di tutto, tanto da essere definita dagli intranei come un vero e proprio “boss donna”. Nell’operazione è stato arrestato anche Emanuele Mancuso, figlio di Pantaleone Mancuso, dell’omonima ‘ndrina, che da luglio 2018 è collaboratore di giustizia. Nel processo Nemea sono confluiti anche gli atti dell’inchiesta Rinascita-Scott, che vedevano coinvolti sempre Leone e Giuseppe Soriano ed altri imputati del medesimo clan.
Per quanto riguarda la ‘ndrina di Filandari, secondo l’accusa la stessa sarebbe capeggiata da Leone Soriano di Pizzinni di Filandari. Gli viene contestato il reato di associazione mafiosa con il ruolo di promotore e direttore dell’omonimo clan, con il compito di gestire e pianificare gli agguati e gli atti intimidatori, indicando altresì gli obiettivi da colpire ponendosi quale mandante delle azioni di fuoco e prendendo decisioni di rilievo per la vita della cosca. Ruolo di promotore del clan viene quindi attribuito pure a Giuseppe Soriano (figlio del defunto Roberto Soriano), deputato a prendere parte agli incontri di pianificazione delle attività criminali del clan, con compiti di pianificazione ed organizzazione, approvvigionamento delle armi da fuoco, di sostanze stupefacenti e materiale logistico per gli eventi delittuosi compiuti per conto della consorteria, nonché punto di riferimento per gli altri consociati. Il ruolo di contabile del clan viene invece attribuito a Caterina Soriano, 30 anni (sorella di Giuseppe) deputata – secondo l’accusa – a gestire gli introiti derivanti dalle attività illecite della cosca, nonché a prendere parte agli incontri di pianificazione delle attività criminali del clan, per poi impartire direttive agli associati sulle azioni delittuose da compiere, anche in relazione all’approvvigionamento di sostanze stupefacenti.
Nell’ottobre 2022 la Corte d’Appello per il processo Nemea ha emanato una sentenza che ne riconosce la colpevolezza: cento gli anni di reclusione totali inflitti ad 8 imputati. La pena più alta – 20 anni di reclusione – è stata inflitta a Leone Soriano, riconosciuto colpevole di 37 capi di imputazione, nonché promotore dell’omonima associazione mafiosa e di altra associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico. Condannata anche la moglie, Rosetta Lopreiato, a 3 anni e 4 mesi. Per Giuseppe Soriano, nipote di Leone, la condanna ammonta a 17 anni e 6 mesi di reclusione, mentre la sorella Caterina Soriano è stata condannata a 13 anni e 7 mesi. Nel processo Nemea sono emerse anche parentele degli imputati con diversi consiglieri comunali e candidati sindaco, non a caso nell’operazione Rinascita Scott un intero capitolo dell’inchiesta è dedicato all’influenza “della ‘ndrangheta sulle consultazioni amministrative a Filandari”.
A gennaio 2023 la Cassazione emana la sentenza definitiva per quanto concerne la prima operazione – cd Ragno: condanna ad 11 anni di reclusione per Gaetano Soriano; 13 anni e 10 mesi per il nipote Giuseppe Soriano (figlio dello scomparso Roberto Soriano). Condanna anche per Leone Soriano (fratello di Gaetano), nei cui confronti la Cassazione ha però annullato l’accusa di essere il promotore del clan qualificandolo quale partecipe. Nei suoi confronti, tuttavia, il solo trattamento sanzionatorio dovrà essere rivisto, tenendo conto della valutazione di un parziale vizio di mente dell’imputato. Nel precedente processo di secondo grado era stato condannato a 13 anni e 5 mesi di reclusione. La Suprema Corte ha invece annullato – e quindi pena cancellata – la condanna nei confronti di Graziella Silipigni (madre di Giuseppe Soriano) alla quale in appello erano stati inflitti 3 anni e 4 mesi di reclusione.