‘Ndrangheta a Torino, Cassazione annulla due condanne
Le sentenze emesse nell’ambito del processo volto ad accertare infiltrazioni mafiose nel Torinese, in seguito alla cosiddetta inchiesta “Minotauro”
La Corte di Cassazione ha annullato “con rinvio”, ovvero ordinando un nuovo processo d’appello, due condanne dell’inchiesta “Minotauro” sulla presenza della ‘ndrangheta nel Torinese. La sentenza riguarda due imputati del filone d’indagine “Crimine”: uno è Francesco D’Onofrio, un ex militante di Prima Linea che secondo l’accusa era entrato nella criminalità organizzata di matrice calabrese. Condannato a dieci anni, aveva sempre respinto l’accusa: «Io dissento totalmente dalla mafia». Il secondo imputato è Francesco Tamburi, titolare di una nota pizzeria di Grugliasco, il quale, secondo le indagini, era salito nella scala gerarchica della ‘ndrangheta fino alla carica di “capo società”. Anche lui si era sempre professato innocente.
L’inchiesta “Minotauro”, sfociata nel 2011 in circa 140 arresti, riguarda la presenza, nel Torinese, di dieci articolazioni della ‘ndrangheta, in contatto con le famiglie calabresi, chiamate “locali”.
Lo scorso 5 dicembre la IV sezione penale della corte d’Appello di Torino aveva confermato 50 condanne, mentre 12 imputati erano stati assolti e molte pene contro gli esponenti della ’ndrangheta di Torino arrestati durante l’operazione “Minotauro”, che avevano scelto il rito abbreviato, erano state ridotte. L’accusa, rappresentata dalla pg Elena Daloiso, aveva chiesto 62 condanne. Tra gli imputati spiccano nomi come quello di Bruno Iaria, considerato il re di Cuorgnè, che aveva avuto la pena più alta, ridotta di sei mesi. C’è anche Antonio Agresta, legato alle cosche di Volpiano, condannato a due anni, mentre in primo grado a 10 anni e sei mesi.
Le condanne di D’Onofrio e Tamburi furono le prime ad essere pronunciate dal tribunale di Torino nel quadro dei procedimenti in cui si articolava l’inchiesta. La militanza in Prima Linea aveva portato D’Onofrio ad essere arrestato negli anni Ottanta. In seguito si sarebbe avvicinato alla criminalità organizzata. D’Onofrio, che è originario di Vibo Valentia, ha spiegato che frequentava molti calabresi, ma che non per questo era diventato mafioso. Secondo quanto emerso dalle indagini, ha partecipato, con altri presunti ‘ndranghetisti, ad un incontro elettorale con l’assessore regionale Claudia Porchietto. Interrogato in proposito direttamente dal procuratore Gian Carlo Caselli, ha ammesso la sua presenza con una serie di distinguo: «Figuratevi se sono d’accordo con quelle idee politiche. Ho anche affermato che secondo me diceva delle sciocchezze».