Mose, marea di tangenti in laguna: 35 arresti
Tra gli arrestati figura Giorgio Orsoni, sindaco di Venezia. Scoperto sistema che sottraeva fondi al progetto Mose per trasferirli in fondi neri all’estero
Il Mose è stato progettato per preservare la laguna veneta dall’acqua alta, ma contro la marea giudiziaria che l’ha svegliata questa mattina, non ha potuto fare nulla. Quella che giunge da Venezia è l’ennesima storia di tangenti e fondi neri, a nemmeno un mese dall’esplosione dello scandalo Expo. Anche questa volta a finire in manette sono esponenti politici e figure imprenditoriali di spicco. Gli arresti disposti in seguito all’inchiesta partita tre anni fa dai sospetti su un giro di fondi neri, sono trentacinque e interessano anche il sindaco di Venezia Gioirgio Orsoni (PD) l’assessore regionale alle Infrastrutture Renato Chisso (FI). È arrivata una richiesta d’arresto anche per l’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan, attualmente deputato di Forza Italia e presidente della commissione Cultura della Camera, sulla cui richiesta di custodia cautelare però il Parlamento deve dare l’autorizzazione. Altro nome di spicco è quello dell’ex generale della Guardia di Finanza Emilio Spaziante.
Il procuratore aggiunto di Venezia Carlo Nordio spiega come i fondi neri al centro della vicenda «sono stati utilizzati per campagne elettorali e, in parte, anche per uso personale da parte di alcuni esponenti politici. Hanno ricevuto elargizioni illegali persone di entrambi gli schieramenti». I reati contestati sono vari corruzione, finanziamento illecito e frode fiscale in primis ma risultano anche accuse per riciclaggio, finanziamento illecito ai partiti, violazione del segreto istruttorio, millantato credito e favoreggiamento personale. Nel corso dell’operazione la Finanza ha sequestrato beni per un valore di circa 40 milioni di euro. Le presunte tangenti, con i soldi accumulati secondo il meccanismo dei fondi neri, finivano ai politici per l’assegnazione degli appalti del Mose realizzato dal Consorzio Venezia Nuova quale concessionario unico. Il comandante della Guardia di Finanza del Veneto, Bruno Buratti nel corso della conferenza stampa in Procura a Venezia ha detto che durante le indagini è emerso un «sistema che ha prodotto, attraverso triangolazioni con società estere con sedi in Svizzera e San Marino, 25 milioni di euro di fondi neri» la cui destinazione è adesso «accertata».
I primi arresti
San Marino e i fondi neri erano stati i protagonisti della prima fase dell’indagine quando i pm Stefano Ancillotto, Stefano Buccini e Paola Tonino della Direzione Distrettuale Antimafia aveva scoperto che l’ex manager della Mantovani Giorgio Baita aveva dirottato fondi relativi al Mose in una fondi neri all’estero. Baita venne arrestato nel febbraio 2013 insieme a Nicolò Buson, anche lui ex Mantovani, e l’ex segretaria di Galan. Secondo gli inquirenti i soldi venivano portato a San Marino da Claudia Minutillo, ex imprenditrice ed ex assistente di Galan, dove William Colombelli attraverso la propria azienda, la Bmc, si occupava del riciclaggio. In questa prima fase, che portò anche all’arresto di Giovanni Mazzacurati, ex presidente del Consorzio Venezia Nuova, oggi libero, la Guardia di Finanza aveva scoperto che almeno 20 milioni di euro erano stati portati in conti esteri e destinati alla politica.
Reazioni
Mentre gli avvocati del sindaco di Venezia Orsoni fanno sapere che «Le circostanze contestate nel provvedimento notificato paiono poco credibili, gli si attribuiscono condotte non compatibili con il suo ruolo ed il suo stile di vita. Le dichiarazioni di accusa vengono da soggetti già sottoposti ad indagini, nei confronti dei quali verranno assunte le dovute iniziative» e confidano «in un tempestivo chiarimento della posizione dello stesso sul piano umano, professionale e istituzionale», Giancarlo Galan non rilascia dichiarazioni e la sua portavoce Francesca Chiocchetti fa sapere che «è a Roma e non ha potuto ancora vedere le carte».
Sulla vicenda il presidente di Confindustria Veneto Roberto Zuccato dichiara che: «Non è possibile che in Italia tutti i più grandi appalti abbiano lati oscuri che emergono solo anni dopo. È necessaria una profonda opera di pulizia nella politica ma anche nell’imprenditoria: chi ruba e chi corrompe altera il libero mercato e fa il male dell’Italia. La logica dell’emergenza – commenta Zuccato – porta sempre allo sfascio: nel nostro Paese ritardi e burocrazia costringono a fare le cose con iter poco chiari, che spesso seguono percorsi non lineari. Serve una rivoluzione su questo fronte: meno norme, tempi certi, responsabilità chiare e riconoscibili».