«Montante ha usurpato l’Antimafia»
Così Claudio Fava dopo la presentazione di “Un pezzo alla volta”
«L’antimafia è un movimento civile e molti di quelli che l’hanno interpretata in realtà l’hanno usurpata. Montante è uno di questi e assieme a lui tanti altri». Lo dice Claudio Fava ai microfoni di Radio 100 passi, a margine della presentazione del libro scritto da Michele Gambino, Un pezzo alla volta. L’educazione di un giornalista, presentato ieri 7 dicembre alla Fiera Nazionale della Piccola e Media
Editoria, che si è tenuta alla Nuvola di Roma, il centro convegni dell’EUR. Fava ha risposto alla domanda sulla revoca del 29 ottobre in Cassazione della condanna per associazione a delinquere ad Antonello Montante, ex paladino dell’antimafia siciliana, che in Appello aveva ricevuto una pena di 8 anni. Accanto all’ex presidente della Commissione Antimafia, Claudio Fava, e a Michele Gambino, giornalista d’inchiesta che vanta più di 60 querele durante tutta la carriera, sedeva anche Giulio Gambino, direttore di TPI, The Post Internazionale. Moderava l’incontro Carlo D’Amicis, finalista del Premio Strega 2018. «L’antimafia va trovata nei fatti più che nelle etichette, nelle corti e nelle sentenze. Se ci si ferma a guardare il biglietto da visita si rischia di prendere un abbaglio” ha continuato Claudio Fava ai nostri microfoni.
Per Gambino l’omicidio di Giuseppe Fava, direttore de I Siciliani, per ordine del boss catanese Nitto Santapaola, è stato il momento in cui ha capito l’importanza di questo mestiere, che attualmente, come ha affermato Claudio Fava durante la presentazione, pecca di superficialità: «oggi chi racconta storie mette poca curiosità umana che gli permetta di scavare in profondità e di capire cosa si agita nei pensieri più profondi della gente». Il libro di Michele Gambino è un racconto di un giornalismo che non si fa più, così lo ha definito Fava, aggiungendo poi: «questo non è un libro sulla mafia, ma un racconto oggettivo di cose accadute nella vita di Michele in cui si incrocia una visione personale e privata che è fondamentale, altrimenti il giornalismo è soltanto accademia». Per portare avanti i propri ideali Gambino,
senza legarsi a realtà che non rispecchiavano del tutto la sua etica, ha fondato due giornali che, senza finanziamenti stabili, dopo un periodo di breve sopravvivenza, sono scomparsi. Per l’autore un giornalista, oggi più di ieri, non può vivere di soli ideali. Infatti, ad un certo punto, ha dovuto accettare dei compromessi per sopravvivere, lavorando per la Rai: «Quando ho lavorato per La Vita in Diretta avevo inserito una clausola che mi permetteva di non firmare il programma, per la vergogna che provavo di essere associato a tutto ciò che fino a quel momento era il mio nemico. Eppure, ho imparato tanto da loro, sia dal punto di vista umano che professionale». Per fare il giornalista oggi come allora, secondo Fava, bisogna rimettersi in discussione e uscire da sé stessi, indagando storie più dolorose e coinvolgenti delle proprie: «se noi non avessimo fatto questa scelta saremmo diventati dei reduci a soli 27 anni di una storia dalla quale dovevamo scollarci, perché volevamo fare i veri giornalisti». Infine, una dichiarazione di Fava ai nostri microfoni, sull’idea diffusa che la mafia di oggi non è più quella di una volta: «Lo pensano tanti italiani perché una mafia che non spara fa meno paura. È compito di chi non vuole una lettura così semplificata, di testate non allineate, fare un’analisi reale dell’argomento».