Marò, India ci ripensa: no alla legge antiterrorismo
Si sta studiando se applicare o meno il codice penale. Questo quanto riportato dai giornali
Il governo indiano starebbe esplorando le ipotesi esistenti per formulare i capi di accusa contro i marò, non sulla base della legge per la repressione della pirateria (Sua Act), il cui impiego in questo caso è fortemente contestato dall’Italia, ma del codice penale indiano.
A scriverlo è il quotidiano The Indian Express. Secondo il giornale alla fine di una riunione interministeriale (Interni, Esteri e Giustizia), svoltasi il 13 febbraio, è stato deciso che la questione sia esaminata di nuovo dal ministero della Giustizia.
Nell’incontro, voluto dal ministro dell’Interno Sushil Kumar Shinde, il ministro degli Esteri, Salman Khurshid, ha affermato che «l’immagine del Paese si stava deteriorando a livello internazionale a causa dell’impasse».
Sarebbe stato Khurshid a suggerire che la questione fosse riesaminata dal ministero della giustizia per valutare la possibilità di una accusa nel quadro del codice penale ordinario. Shinde e Sibal,il ministro della Giustizia hanno acconsentito.
Nell’udienza del 10 febbraio in Corte Suprema, il procuratore generale G.E. Vahanvati, aveva manifestato la volontà di utilizzare il Sua Act, senza ricorrere, però, alla richiesta di pena di morte. I legali dei due fucilieri di Marina italiani non hanno accolto tale possibilità.