Pubblicato: Mar, 8 Apr , 2014

Mafia, Giovanni Ciancimino: «Trattativa iniziò dopo morte Falcone»

La deposizione del figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, al processo Borsellino Quater sulla strage di via D’Amelio
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Giovanni Ciancimino

Immagine«Andai a trovare mio padre a Roma. Era molto turbato per la morte del giudice Falcone. In quell’occasione mi disse testualmente di essere stato contattato da personaggi altolocati, per trattare con l’altra sponda e per evitare che la mattanza continui. So che per altra sponda intendeva la mafia». Ad affermarlo è Giovanni Ciancimino, uno dei cinque figli di Vito, l’ex sindaco mafioso di Palermo, deponendo oggi davanti alla Corte d’assise di Caltanissetta, al processo Borsellino Quater, volto ad accertare la verità sulla strage di via D’Amelio e che vede imputati i boss Salvo Madonia e Vittorio Tutino e i falsi pentiti Calogero Pulci, Vincenzo Scarantino e Francesco Andriotta.

Il teste, che ha collocato temporalmente la frase di don Vito nei 57 giorni compresi tra la strage di Capaci e quella in cui morì il giudice Paolo Borsellino, ricorda come da lì scaturì «una lite furibonda, la più tremenda» tra lui e suo padre. «Quando capii di cosa si trattava – ha detto – litigammo in maniera furiosa. Io, aggiunse mio padre, in questo modo risolvo i miei problemi giudiziari. Mio fratello Massimo, che era il suo deus ex machina per qualsiasi vicenda, fece di tutto per farci riappacificare, ma io ero molto ostile, perché sin da subito compresi che questa cosa sarebbe stata foriera di altri guai». Per i magistrati la trattativa Stato-mafia sarebbe centrale per la ricostruzione del movente dell’attentato costato la vita al giudice Borsellino, ucciso proprio perché si sarebbe opposto al dialogo che il Ros, tramite Ciancimino, aveva avviato con Cosa nostra.

Giovanni Ciancimino ha anche parlato di un altro incontro avuto in auto con il padre a Palermo, nei pressi dell’Addaura, poco tempo dopo la strage del 19 luglio 1992. «In quell’occasione mi chiese se era possibile, visto che io sono un avvocato, procedere alla revisione di un processo. Alla mia risposta affermativa, mi chiese ancora: “E allora è possibile anche la revisione del maxiprocesso?”. Mi disse anche che la trattativa stava andando avanti e che erano state presentate delle richieste a questi personaggi altolocati. Parlammo anche della Rognoni-La Torre (la legge che ha introdotto nel codice penale italiano il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, ndr)». Secondo quanto dichiarato da Ciancimino, durante quel colloquio il padre estrasse dalla tasca un foglio di carta arrotolato, dov’erano scritte delle cose, lo aprì e poi lo richiuse. «Sempre quelle persone, gli avrebbero chiesto di richiedere il passaporto, ma lui era già stato condannato a dieci anni di reclusione. Mi aveva allora incaricato di prendere contatto con il professor Campo (uno dei difensori di fiducia di Vito Ciancimino, ndr) per fare l’istanza, ma questi si rifiutò categoricamente, definendo la cosa, come me d’altronde, assurda. E quando presentò l’istanza per altro tramite, venne arrestato».

Il figlio dell’ex sindaco ha anche raccontato il breve incontro avuto con uno strano personaggio che, nel 1985, fuori dall’hotel Plaza di Roma, gli avrebbe detto di riferire al padre: «Abbiamo molto a cuore la sua situazione, deve stare tranquillo. Ma non deve fare sciocchezze». Raccontato al padre dell’episodio, Giovanni si sentì rispondere: «Non ti immischiare in queste cose, fatti i fatti tuoi. Se hanno qualcosa di davvero importante da dirmi, che vengano a parlare direttamente con me». L’indomani il figlio di Ciancimino rivide quella persona e gli riportò le parole del padre. Lo stesso uomo, sui 45 anni, senza particolari inflessioni dialettali e privo di elementi distintivi, lo avrebbe rivisto in una terza circostanza, in compagnia di un’altra persona più anziana, a Rotello, piccolo Comune del Molise dove Ciancimino senior aveva l’obbligo di soggiorno. L’identità di quella figura rimane ancora oggi avvolta dal mistero.

Alla domanda del pm se ricordasse di rapporti tra il padre e l’allora capitano De Donno, Ciancimino ha risposto: «Se la memoria non mi inganna, De Donno venne a casa nostra quando arrestarono mio padre negli anni Novanta. Mio fratello Massimo parlava sempre dei carabinieri in quel periodo. Diceva di conoscere De Donno, che papà si incontrava con lui e un colonnello».

Infine il teste ha ricordato di come il padre iniziò a preoccuparsi per la propria vita dopo la morte dell’onorevole Salvo Lima, «senza però attribuire a questa una particolare strategia. Mi diceva solo: “Spero che Salvo non abbia sofferto”».

Dopo Ciancimino avrebbe dovuto deporre l’ex funzionario del Sisde Lorenzo Narracci, che però si è avvalso della facoltà di non rispondere, in virtù del suo status di indagato di procedimento connesso. L’ex fedelissimo di Bruno Contrada, infatti, è indagato per la strage di via D’Amelio in un altro troncone di indagine.

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