L’aborto non è solo una scelta, spesso serve a salvarsi la vita
La dottoressa Elisabetta Canitano rilascia un’intervista a Radio 100 Passi nella quale parla del diritto all’aborto e del rischio di negare questa possibilità alle donne.
«Il divieto di aborto uccide le donne». Lo dichiara Elisabetta Canitano, attivista e ginecologa in pensione, che offre la sua esperienza nell’ambulatorio gratuito della Casa Internazionale delle Donne a Roma, durante un’intervista rilasciata a Radio 100 Passi. L’abbiamo incontrata in via della Lungara 19, luogo di riferimento per tutte quelle donne che vogliono una consulenza e un aiuto.
L’aborto non è solo una questione di scelta, spesso si tratta di sopravvivenza, si tratta di vita o di morte. Nelle strutture religiose, dice la dottoressa, vengono ancora effettuati degli aborti con i ferri. Oggi, però, esiste la RU486, una pillola abortiva riconosciuta a livello internazionale, ma che in Italia incontra le resistenze di scelte ideologiche e politiche. La legge 194 del 22 maggio 1978 tutela e regola il diritto all’aborto dando la possibilità ai medici di essere obiettori di coscienza. Una legge che ha visto il favore anche di una parte della Democrazia Cristiana che si distaccava dall’idea della Chiesa per cui l’aborto non è il volere di Dio. Questa narrazione, però, è ancora ampiamente presente e rischia di uccidere molte donne. «Le donne muoiono perché le associazioni Pro Vita portano avanti il concetto che l’embrione e il feto sono persone come le donne e non possono essere uccisi per nessun motivo».
Quando una donna ricorre a tecniche di aborto di illegale e va in ospedale per salvarsi dalle complicanze
derivate da un ambiente non controllato, la donna in questione riceve una multa di tremila euro proprio perché ha tentato di abortire illegalmente. Questo disincentiva le donne a recarsi in ospedale e porta, in molti casi, alla loro morte. In alcuni casi, però, il divieto di aborto porta anche alla morte dei medici: «Un mio collega di Genova è stato denunciato per aver eseguito aborti irregolari e si è buttato dal quinto piano. Aveva un bambino di nove anni e ha scritto alla moglie “perdonami”». Grazie ad una rete che fa capo a Pro Choice di attiviste e attivisti che aiutano le donne in difficoltà, oggi si sta cercando di offrire un’alternativa a tutte quelle donne che non sanno andare nei consultori, non parlano la lingua oppure sono vittime di tratta.
Il 5 dicembre sono stati pubblicati i dati del 2022 sull’IVG, l’Interruzione Volontaria di Gravidanza, con 11 mesi di ritardo. Questi dati, secondo la dottoressa, sono stati un peso per questo paese, anche nelle legislature precedenti, che li hanno sempre pubblicati in ritardo. Nei dati non è presente il numero di obiettori di coscienza che, però, secondo la Canitano, non hanno la colpa del problema. È possibile convivere pacificamente, obiettori e abortisti, a patto che si rispecchi la libertà e
venga tutelata la vita delle donne. Dare la colpa agli obiettori, per la dottoressa, è un buon modo per evitare ciò che si dovrebbe fare. Se un primario religioso viene assegnato in una struttura pubblica è necessario che non sia obiettore di coscienza, per raggiungere gli obiettivi di sanità democratica a misura di ogni esigenza. Gran parte dei primari di ginecologia degli ospedali pubblici vengono da strutture religiose, di per sé colme di obiettori di coscienza: «una volta il primario dell’ospedale in cui lavoravo mi urlò dal corridoio: “faccia tutti gli aborti che vuole, poi ne dovrà rendere conto a Dio!” e io gli risposi “Ci metta una buona parola”».