Pubblicato: Sab, 7 Dic , 2013

La società civile si schiera a fianco del maresciallo Masi

Il carabiniere che denunciò i superiori per aver ostacolato le indagini su Provenzano e Messina Denaro. Solidarietà anche per Massimo Ciancimino: «Senza di lui, nessun processo sulla Trattativa»

 

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Anita Rossetti

Al presidio davanti alla Prefettura di Palermo si manifesta anche per Saverio Masi: il maresciallo dei carabinieri e caposcorta del pm Nino Di Matteo che ha avuto il coraggio di denunciare le omissioni dei suoi superiori nelle operazioni che avrebbero potuto portare alla cattura di Bernardo Provenzano e di Matteo Messina Denaro.

Sono in pochi, ahimè, a conoscere la sua storia, passata sotto silenzio. Una vicenda “tutta italiana”, ma non per questo meno allucinante. Masi è stato condannato lo scorso 8 ottobre a sei mesi di reclusione (pena sospesa) dalla Corte d’Appello di Palermo per i reati di falso materiale e tentata truffa. Secondo i giudici Daniele Marraffa, Gaetano La Barbera e Salvatore Barresi, il carabiniere avrebbe messo a rischio la propria credibilità per una multa da 106 euro, falsificando un atto d’ufficio. Multa che gli è stata comminata nel 2008, mentre usava l’auto privata durante una operazione di polizia giudiziaria. Ma tanti sono gli aspetti che non quadrano e seppur le sentenze si rispettino, qualche dubbio è lecito sollevarlo. Come mai? Perché Saverio Masi è un personaggio scomodo. Tre anni fa depose al processo a carico di Mario Mori, il generale del Ros accusato della mancata cattura di Provenzano nel 1995 e assolto lo scorso 17 luglio perché il fatto non costituisce reato. Masi, come si legge nella lista testimoniale della Procura, riferì, sugli «ostacoli incontrati nell’ambito della sua attività investigativa finalizzata alla cattura» del boss corleonese (arrestato nel 2006), facendo nomi e cognomi. Gli stessi che avrebbero anche imposto lo stop, negli ultimi dieci anni, alle indagini relative a Messina Denaro, latitante dal 1993 e considerato “l’erede” di Totò Riina alla guida di Cosa nostra.

Da qui, il sostegno della società civile per un uomo che non ha fatto altro che compiere il suo dovere. Nel corso del sit-in di venerdì, in tanti hanno esposto cartelli in segno di solidarietà al maresciallo. Tra loro, da Galatina (prov. di Lecce) è arrivata Anita Rossetti, promotrice dell’iniziativa e membro del Movimento delle Agende Rosse. Al termine del presidio, si è diretta da sola verso il comando dei Carabinieri di piazza Verdi per esporre il suo cartello: “Se davvero intendete arrestare Matteo Messina Denaro, restituite il maresciallo Masi al reparto investigativo dei C.C.”. «Sono qui per dare uno stimolo al Comando provinciale – afferma –. Il caso Masi è indicativo di quanto sia esteso il discorso “trattativa Stato-mafia”. L’abbiamo visto nel processo Mori-Obinu, con le varie testimonianze e anche col suo processo e la condanna assurda per una Giustizia degna di essere chiamata tale. Quello che chiediamo è che lui venga restituito al suo vero lavoro». Immagine 037

E in merito alla Trattativa, viene menzionato anche il figlio di Vito Ciancimino, il supertestimone nel processo sulla Trattativa. “Lo Stato tuteli il testimone Massimo Ciancimino”, si legge su un cartello esposto advanti alla Prefettura, “Protezione per Massimo Ciancimino il testimone”, su un altro. «Chi non riconosce l’importanza della sua testimonianza – conclude Anita – è solo un pavido. Pretendono il coraggio da parte di Massimo Ciancimino, che lui faccia i nomi e poi loro non hanno il coraggio di nominare lui, il testimone chiave di questo processo, senza il quale non sarebbe nemmeno in corso. Lui ha messo in gioco tutto, sta rischiando la sua vita, la sua sicurezza e quella della sua famiglia. Questo atteggiamento è assolutamente vergognoso».

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