La precaria, la figlia di Ichino e i radical chic
Una certa Casta radical chic si irrita facilmente. La vicenda di Giulia Ichino, la difesa di Caterina Soffici e le nostre studentesse senza speranza
di Antonio Cipriani
Giornalista e scrittrice, Caterina Soffici vive tra Londra e l’Italia. E non mi sorprende che sul Fatto Quotidiano abbia difeso Giulia Ichino, tirata in ballo da una precaria del Pd, con una veemenza e chiarezza d’intenti apprezzabili. A partire dal titolo che sembra voler risolvere ogni dubbio: “Perché la figlia di Ichino non è una raccomandata”. Già, vediamo il perché, mi sono chiesto, dal momento che un’idea formata – per un eccesso di senso critico – sulla vicenda non ce l’avevo ancora.
L’incipit: “Scrivo questo post perché conosco Giulia Ichino e vi garantisco che è una bravissima editor, e che non è mai stata una raccomandata o una privilegiata”. Come dire, siamo sul titolo. E sulle certezze assolute dell’autrice. Ma non è che m’interessi più di tanto il suo giudizio evidentemente legato alla conoscenza personale. Mi fa sorridere questo zelo. Questa difesa da salotto sull’intoccabilità meritocratica di casta, quella un po’ radical chic della sinistra cavialista. Gente per bene, con sani principi nel taschino, e il filippino in divisa che serve a tavola. E, ovviamente, un disprezzo sonante: oggi per il Pd, ieri per il Pci.
Ripeto, non ho alcun elemento che mi faccia dire che ha ragione la Soffici, quindi la Ichino si è fatta strada con le sue forze, o Chiara Di Domenico, la pasionaria precaria che ha espresso la sua rabbia contro l’ingiustizia che nel Paese regola l’esistenza di quasi ogni cosa. So però, per cultura politica, che nel dubbio propendo per il più debole. Per chi la crisi la sta pagando, per chi ha i sogni in frantumi.
Pazienza per Giulia Ichino, magari sarà formidabile e la numero uno. Ma l’epoca deve farci riflettere, senza insulti né arroccamenti elitari, anche quando è più facile regolare le contraddizioni con sprezzanti riferimenti all’olio di ricino. Scrive la Soffici che i precari bravi (anche di più di Giulia Ichino) rimasti senza lavoro devono trovare altri argomenti. Già, l’accettazione della realtà. Come se non fosse lo sport preferito di chi ha governato questo Paese e ha costruito un deserto di possibilità per i nostri giovani, solcato da un’autostrada di ingiustizie, raccomandazioni e privilegi.
No, non ce l’ho con la Ichino né con chi la difende. Mi irrita l’atteggiamento di fastidio che troppo spesso colgo nei confronti di chi fatica a vivere, magari campa tra Zagarolo e Roma, declinazione Casilino. E, chissà, vede i suoi sogni calpestati ogni giorno. Vede la realtà della vita consumarsi nelle attese infinite, nella scelta tra dover chinare la testa e accettare regole del gioco e quella di resistere. E perdere (perché chi resiste e si batte può perdere…) E la posta in gioco non è una promozione, è la vita stessa. Quel complicato intreccio di anni, di speranza, di saperi.
Leggo che l’ultimo libro di Caterina Soffici, Ma le donne no (Feltrinelli), “è una impietosa analisi dell’Italia berlusconiana. dove le veline diventano ministre e le studentesse universitarie sognano di sposare un miliardario”. Io aggiungo che nel Paese reale, la maggior parte delle studentesse universitarie studia sodo, non vuole fare la velina né sogna il riccone. Sono le nostre figlie, le nostre sorelle, le nostre amiche. E le conosciamo bene noi. Quelle che prendono due lauree, che fanno dottorati di ricerca, parlano le lingue, sono sveglie e intelligenti. Quelle che dopo anni e anni di precariato intellettuale, dicono di no al mentore professorone della sinistra radical chic e finiscono disoccupate. E se non hanno una famiglia ricca alle spalle, devono fare le segretarie, lavorare nei call center.
Per questo credo che, al di là del valore della Ichino, esistano due Italie. E rivendico il diritto di donne e uomini ad alzare la testa, a cominciare a dire di no. A battersi contro l’ingiustizia e le due Italie. Nei quartieri, nei comitati cittadini, nei paesi, in ogni luogo dove si può costruire una politica attiva e partecipativa, unica cura contro i privilegi di Casta.