La ndrangheta non esiste al nord
Il mito del bastione territoriale impenetrabile, che invece è già un quartier generale.
La ndrangheta non esiste al nord. Ad alcuni piace dirlo e ancora di più pensarlo, così il problema sta là, in fondo allo stivale. Confinato in qualche appezzamento di campagna e tra le strade difficili del sud. In effetti, non c’è bisogno di assaltare alcunché al nord, perché i malavitosi sono già dentro la cittadella delle istituzioni da molto tempo. La consorteria mafiosa da decenni ha guardato oltre e ha costruito i suoi imperi nei punti strategici di tutti i continenti. Più silente e meno appariscente, al nord si mimetizza e si muove in modo sommerso, tra imprenditori e politici compiacenti. Al sud permea il territorio e lo domina con i suoi rituali.
Le risultanze investigative raccontano una realtà diversa dalla narrazione fiabesca delle regioni senza macchia né paura. Dalla Liguria, dove in particolare i porti sono succursale calabra, al Piemonte (16 locali individuate) fino al Triveneto, per non dimenticare Toscana ed Emilia Romagna, non vi è regione che non sia dominata dalla ndrangheta e suoi affiliati. L’operazione Propaggine, nel corso della quale sono stati arrestati a Roma 43 presunti appartenenti al clan ‘ndranghetista Alvaro di Sinopoli (Reggio Calabria) ed individuata una locale fresca di alleanza tra Casamonica e Mancuso, confermerebbe secondo la DIA la capacità della mafia calabrese di insediarsi in molte parti d’Italia creando le sue filiali in territori lontani, ma sempre a filo diretto con la casa madre.
Nel Nord Italia, le locali sono molte e attive fin dagli anni Cinquanta. In Lombardia, con oltre 25 locali individuate, la ndrangheta ha i suoi punti di maggior interesse, vicini ad aziende, fabbriche, moda, lusso e alta finanza. Buccinasco, in provincia di Milano, veniva chiamata la Platì del Nord, dal nome del paese calabro dove vivevano i Papalia e i Barbaro. Secondo la Dia, la consorteria «è perfettamente radicata e ben inserita nei centri nevralgici del mondo politico-imprenditoriale anche nei contesti extra regionali e i numeri dimostrano la capacità espansionistica delle cosche e la loro vocazione a duplicarsi secondo gli schemi tipici delle strutture calabresi». Prova ne sono i tanti consigli comunali sciolti per ingerenze ‘ndranghetiste, come Saint-Pierre, meno di 3mila abitanti, in Valle d’Aosta, dove secondo le inchieste della magistratura una locale della cosca Nirta-Strangio di San Luca aveva condizionato i lavori degli amministratori pubblici.
Dalla criminalità di contadini e poveri di periferia, la ndrangheta ha compiuto una delle sue più grandi trasformazioni nell’inserirsi abilmente nei palazzi di economia e politica. Si nutre ancora di estorsioni e narcotraffico, ma domina la stanza dei bottoni.
La recente cronaca padovana fa emergere la vicenda di un anziano falegname, vittima di estorsione e violenze. Avrebbe dato oltre mezzo milione di euro al clan di Domenico Multari, boss ndranghetista cutrese al Nord. “Gheddafi”, così è soprannominato, è stato arrestato l’ultima volta nel 2019 dopo un’indagine coordinata dalla Procura distrettuale antimafia di Venezia. Il piccolo imprenditore ha perso tutto e vive in una roulotte di fortuna. La Corte d’appello, però, ha ritenuto sussistenti i metodi mafiosi contestati agli imputati del clan, tra cui lo stesso Domenico Multari cui i giudici hanno inflitto 7 anni e 10 mesi. Sempre nella stessa sede è stato confermato il risarcimento dei danni concesso all’imprenditore veneto dalla sentenza di primo grado. Il boss, oggi ritenuto organico alla cosca Grande Aracri, nel 2020, ha versato all’imprenditore una provvisionale di 330mila euro a titolo di anticipo sul risarcimento definitivo che dovrà essere quantificato nel corso del processo civile, non ancora concluso. Non più tardi di qualche mese fa, nel veronese un altro debitore stava per vendere un rene a saldo parziale di interessi del 143% da restituire ai suoi cravattari (febbraio 2022). Gli episodi estorsivi nel triveneto non mancano, tuttavia ad agosto di quest’anno, nel processo Taurus, un solo imprenditore si è costituito parte civile contro i clan. Il titolare di una impresa edile è stato l’unico a testimoniare, «non si è registrata una spontanea collaborazione degli imprenditori con le forze dell’ordine» (processo Taurus).
Anche nel processo di Venezia, a maggio 2022, sono stati ricostruiti anni di vessazioni del clan Grande Aracri in Veneto. Condannati in primo grado a quasi 116 anni di carcere, hanno portato le spire della ‘ndrangheta nelle città venete di Vicenza, Padova, Verona, Venezia e Treviso. In particolare le condanne sono state confermate per i due fratelli Bolognino, Francesco e Michele; quest’ultimo si è visto comminare una pena di 11 anni e quattro mesi di carcere. Confermate in gran parte anche le confische di beni per quasi 160 milioni di euro. Il clan avrebbe compiuto estorsioni soprattutto a carico di imprenditori in difficoltà economiche. L’impianto accusatorio e le condanne sono state confermate anche per gli imprenditori che nella rete di stampo mafioso sono rimasti impigliati, facendo da tramite. Contestate decine di episodi di minaccia, estorsioni, violenze anche per l’emissione di false fatture per ripulire il denaro sporco; attività cd “cartiere” e profitti da evasione iva.
Negli stessi mesi, sono stati sequestrati anche oltre 6,5 milioni di euro per reati tributari nell’inchiesta della Gdf di Milano e Varese, coordinata dalla Dda milanese, su presunte infiltrazioni della ’ndrangheta nelle costruzioni e manutenzioni delle linee ferroviarie, con 15 arresti (11 in carcere e 4 ai domiciliari). Stando alle indagini, numerose imprese intestate a prestanome e riconducibili alla cosca della ’ndrangheta dei Nicoscia-Arena di Isola di Capo Rizzuto (Crotone) avrebbero ottenuto in subappalto lavori di manutenzione della rete ferroviaria di Lombardia, Veneto, Abruzzo, Lazio, Campania, Calabria e Sicilia.
Le ultime indagini dei carabinieri e della guardia di finanza di Bergamo, coordinata dalla Dda della Procura di Brescia, hanno svelato un giro di fatture false da oltre venti milioni di euro per riciclare i proventi delle attività illecite del clan Arena, di Isola di Capo Rizzuto, concretizzando proprio in queste ore l’arresto di 33 persone ritenute gravemente indiziate, a vario titolo, di associazione per delinquere, con l’aggravante di aver agevolato le attività della cosca, attuando condotte di usura, ricettazione, riciclaggio, autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, favoreggiamento, nonché reati tributari e fallimentari. Sequestrati anche 6,5 milioni di euro, decine le perquisizioni messe in campo in 12 province tra Lombardia, Veneto, Piemonte, Umbria, Sardegna, Basilicata e Calabria. L’operazione nasce da un’indagine su condotte estorsive e usurarie dirette verso anche alcuni imprenditori nella bergamasca, cui si è intrecciata quella della GdF sul giro di fatture false, ottenuto attraverso almeno sette società cartiere, intestate a prestanome o a imprenditori compiacenti, con sedi in Lombardia, Umbria e Calabria. Tra gli indagati ci sono anche alcuni professionisti contabili, che attraverso le loro consulenze avrebbero “ideato e attuato modelli seriali di evasione fiscale a beneficio delle società riconducibili al sodalizio criminale”; oltre ad un funzionario dell’Agenzia delle Entrate, accusato di corruzione. Secondo l’ipotesi investigativa, “a fronte di sistematici compensi” si sarebbe “reso disponibile ad agevolare l’erogazione di alcuni servizi di natura fiscale” richiesti da uno dei contabili.
Il Nord est, da locomotiva economica del Paese, è stata trasformato in lavatrice di soldi sporchi. Secondo i dati presenti nella relazione DIA, il maggior numero di segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio sono nel Veneto. L’operazione “Isola Scaligera” del 2020 ha evidenziato la presenza e svelato il modus operandi tipico di un locale di ‘ndrangheta, eseguita nei confronti di un sodalizio rappresentato dalla famiglia Giardino facente capo alla cosca isolitana degli Arena-Nicoscia, così come l’inchiesta “Taurus”, conclusa con l’esecuzione a Verona e in altre città d’Italia di alcune ordinanze nei confronti degli appartenenti alle famiglie Gerace – Albanese – Napoli – Versace (OCC 1510/2010 RGNR DDA – 5158/2019 RG GIP del Tribunale di Venezia). Seppur presenti anche i clan camorristici dei Iovine e dei Casalesi, infiltrazioni delle consorterie siciliane e pugliesi, la ndrangheta si conferma la vera dominatrice del territorio. I calabresi proseguono con il traffico di stupefacenti, delle estorsioni e del riciclaggio, in particolare il clan Grande Aracri di Cutro (KR) acquisisce aziende in crisi attraverso l’usura e le estorsioni. Secondo le ultime risultanze investigative il Veneto è la regione del Nord con il record di infiltrazioni, ventimila aziende in mano alle cosche, comuni infiltrati, colletti bianchi a libro paga, tassi di riciclaggio pari al sud.