Pubblicato: Dom, 5 Feb , 2023

inchiesta Olimpo: la ndrangheta di Tropea e Vibo Valentia

politica ed imprenditoria in affari con le consorterie mafiose

Le cosche controllavano tutto, dalle attività alberghiere al porto di Tropea. La provincia di Vibo Valentia è ad altissima densità mafiosa e massonica, imbrigliata tra l’altro anche in estorsioni che non risparmiano nessuno fra imprenditori grandi e piccoli. Da Pizzo a Ricadi passando per Tropea, l’inchiesta Olimpo ha portato a  56 misure cautelari e 78 indagati, coinvolte le cosche di Tropea e territori limitrofi. I risultati sono stati ottenuti grazie alle intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche. L’indagine, durata due anni, ha disvelato un sistema capillare e sistematico di controllo di tutte le attività alberghiere e turistiche della costa tirrenica della provincia di Vibo. La ‘ndrangheta controllava e chiedeva la tangente per qualsiasi tipo di attività alberghiera, dai trasporti con gli autobus alla fornitura di generi alimentari e perfino il controllo del porto di Tropea. La Dda ha potuto documentare anche le tangenti mensili. Alcuni imprenditori pagavano circa 20mila euro al mese. Sequestrati beni per un valore complessivo di 250mila euro. L’indagine ha evidenziato come le cosche possiedano fortemente il territorio, indicando anche che la criminalità va affrontata non solo da un punto di vista militare ma vi deve essere la «contemporaneità dell’attacco al potere economico dei clan». Le risultanze investigative rivelano «la massiva attività di estorsione caratterizzata dall’assenza di denunce da parte degli imprenditori». Inoltre, per la prima volta è entrato in azione il Sisco (Sezione investigativa sistema centrale operativo), una struttura dello Sco che si occupa di criminalità organizzata la cui operatività è entrata in vigore il 16 gennaio (ex Criminalpol).

Ci sono nomi di spicco dell’imprenditoria vibonese, ma anche funzionari della pubblica amministrazione, fra gli arrestati nell’operazione antimafia dalla Polizia e coordinata dalla Dda di Catanzaro guidata dall’illustre procuratore Nicola Gratteri. A proposito di pubblica amministrazione, la procura ha rintracciato connessioni che portano fino in Germania attraverso la compiacenza anche di enti pubblici, dove funzionari ora in pensione hanno «facilitato il business, per ottenere contributi regionali che poi erano contributi provenienti dalla Comunità Europea».

Con l’accusa di concorso in tentata estorsione pluriaggravata è stato arrestato un sindacalista, già vicesindaco del Comune di Ricadi, ex consigliere provinciale a Vibo Valentia, esponente storico del centrodestra vibonese (Forza Italia). Secondo l’accusa sarebbe stato l’esecutore materiale di richieste estorsive dei boss ai danni di un’impresa edile. Indagato per traffico di influenze illecite l’ex dirigente della Regione Calabria, attuale presidente della Fondazione Natuzza Evolo. Avendo ricoperto l’incarico di dirigente regionale fino al 31 dicembre 2016, gli viene contestato il reato di traffico di influenze illecite. In particolare, secondo gli inquirenti l’ex dirigente della Regione Calabria, sfruttando la rete relazionale intessuta con i vertici dell’apparato amministrativo dell’ente in anni di lavoro, si sarebbe fatto promettere indebitamente da Vincenzo Calafati, responsabile Tui per la Calabria, ingenti somme di denaro come “consulenza” prestata in favore del Tour operator Tui e della direzione del Tui Magic Life di Pizzo, per attuare una mediazione illecita nei confronti dei vari apparati regionali finalizzata alla predisposizione, pubblicazione e successiva selezione dei vincitori delle procedure di evidenza pubblica già avviate e/o da bandire. Ai domiciliari è finito anche un altro funzionario della Regione Calabria. In carcere anche l’ex assessore regionale al Lavoro, che insieme al fratello  è accusato di estorsione aggravata. Ai domiciliari il segretario dell’attuale prefetto di Vibo e un funzionario della Prefettura di Vibo, indagati per rivelazione di segreti d’ufficio. Fra i boss arrestati, i nomi di peso sono quelli di Luigi e Diego Mancuso, Giuseppe Accorinti, Antonio La Rosa, Francesco La Rosa, Antonio Accorinti, Paolino Lo Bianco, Vincenzo Barba, i Giofrè, in particolare Gregorio alias “Ruzzu”, (ritenuto esponente di punta del clan di San Gregorio). Si confermano padroni indiscussi i Mancuso che “si stanno prendendo tutti i soldi … stanno prendendo tutto!», «sta cogghjendu tuttu», per restare fedeli all’audio originale.

Dall’elenco delle decine di persone arrestate dalla Dda di Catanzaro emerge come il mondo politico ed istituzionale, fosse in collegamento con quello “di sotto” della consorteria mafiosa. Gli imprenditori si rivolgevano alle cosche anche per dirimere le controversie. Non solo, avevano accettato di pagare la tangente per mettersi a posto con le famiglie di ‘ndrangheta. C’era poi chi ha cercato di controllare il settore vitivinicolo con attività di contraffazione, il vino di scarsa qualità veniva messo sul mercato attraverso false etichette. A questo si aggiunge la ricettazione e il riciclaggio di mezzi d’opera all’estero.

Il boss ha scelto la Costa degli Dei, la sua residenza è in un villaggio turistico di lusso. Il lignaggio criminale inquadra Diego Mancuso in una delle cosche più potenti della Calabria, ramo ‘Mbrogghia della famiglia, legami importanti con il boss di Zungri Peppe Accorinti. Diego Mancuso mantiene «un ruolo di primo piano all’interno dell’organigramma criminale incentrato sul Crimine Luigi Mancuso». È un altro Mancuso, Emanuele, primo pentito nella storia del clan di Limbadi, a raccontare che, dopo la scarcerazione, Diego Mancuso si era trasferito al villaggio turistico di Ricadi di cui è proprietario, da dove continua a coordinare le attività del sodalizio. Per i magistrati antimafia quella di Diego Mancuso è un’affiliazione antica, testimoniata sin dagli anni ’80 e perdura fino all’attualità. Le risultanze investigative sono confluite con l’inchiesta Imponimento; emerge il coinvolgimento anche dell’imprenditore Vincenzo Calafati, che si sarebbe rivolto proprio ai Mancuso per accreditare gli investimenti in Calabria dell’operatore turistico tedesco Tui. Davide Surace sarebbe stato l’intermediario delle consorterie criminali locali nei rapporti con Calafati, referente di “Destinazione Calabria” e del colosso turistico pronto a sbarcare in Calabria. Nel settembre 2018 le porte della Regione si erano aperte alla presentazione di “Tui Magic Life”, un progetto imponente con un resort da 1.554 posti, il primo del genere in Italia. Al tavolo c’era anche l’ex assessore regionale, già coinvolto nell’indagine Imponimento e ora arrestato in Olimpo. L’obiettivo, si diceva, sarebbe stato di rendere la Calabria sempre più meta di presenze internazionali. Assieme a politici e imprenditori, Calafati, imprenditore nel settore dell’incoming, per i magistrati della Dda, avrebbe favorito l’infiltrazione delle cosche in iniziative e progetti del settore turistico-alberghiero, assicurando che le forniture di merci e servizi fossero appannaggio degli imprenditori espressione del sodalizio e favorendo la consumazione di estorsioni in danno degli operatori turistici, secondo le indicazioni dei soggetti apicali dell’associazione. Secondo gli inquirenti, Calafati sarebbe una figura di raccordo tra i due mondi. Avrebbe, da un lato, rapporti con la criminalità attraverso gli intermediari individuati dal boss; dall’altro entrature nella politica e nell’amministrazione regionale che gli avrebbero permesso di ottenere con modalità illecite, contributi ed agevolazioni pubbliche. E’ accusato del reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Per il gip distrettuale, dal complesso degli atti di indagine è “emerso come il Calafati si ponga quale intermediario dei maggiorenti di ‘ndrangheta e si sia adoperato, in più occasioni, nell’avviare una interlocuzione funzionale ad agevolare la mediazione con le consorterie locali. L’esercizio di impresa, quindi, rappresenta per l’indagato espressione del suo accreditamento presso i maggiorenti della criminalità organizzata, dal momento che è emerso come lo stesso orienti ed indirizzi le scelte imprenditoriali secondo la bussola della ‘ndrangheta”. Vicende che si intrecciano ad un’altra inchiesta storica sull’infiltrazione dei clan nel turismo, Costa pulita, un fascicolo aperto nel 2010. Tredici anni dopo, nomi e metodi si ripetono. L’indagine della polizia e della Dda porta alla luce anche una tentata estorsione pluriaggravata che sarebbe stata messa in atto dai boss Luigi Mancuso, Antonio La Rosa, Giuseppe Accorinti e Gregorio Giofrè nel contesto della costruzione dell’ospedale pediatrico di Drapia, per cui sembra “documentato il vivo interessamento delle diverse articolazioni di ‘ndrangheta rispetto ai lavori”.

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