Il pm Principato nel mirino di Matteo Messina Denaro
Il boss di Castelvetrano starebbe cercando il tritolo per il magistrato che coordina le indagini per arrestarlo
Non bastavano le continue minacce di Totò Riina al sostituto procuratore Nino Di Matteo e agli altri magistrati che indagano sulla trattativa Stato-mafia. Adesso si ci mette anche il suo pupillo Matteo Messina Denaro, pronto ad alzare il tiro, se fosse necessario. Uno, anziano e malato, lancia ordini di morte dal carcere di Opera a Milano, dove è sottoposto al regime del 41 bis; l’altro, latitante dal 1993, anello di congiunzione fra vecchia e nuova mafia, starebbe cercando il tritolo per un attentato nei confronti del procuratore aggiunto di Palermo, Teresa Principato, “colpevole” di coordinare le indagini per catturarlo. A rivelarlo è il quotidiano La Repubblica, secondo cui il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, già in stato di agitazione per la condanna a morte emessa da Riina per Di Matteo, è di nuovo in allerta. I primi ad essere stati avvisati sono stati il procuratore generale Roberto Scarpinato e il procuratore della Repubblica Francesco Messineo, il quale ha dichiarato: «Prendiamo sul serio e con la dovuta attenzione le notizie che arrivano e che vanno approfondite sulla collega Principato. Sarà il Comitato a prendere i provvedimenti del caso».
Secondo quanto svelato agli investigatori da una fonte confidenziale ritenuta altamente attendibile, sarebbe proprio Teresa Principato, memoria storica del vecchio pool antimafia, ad essere nel mirino della primula rossa di Cosa nostra. Immediatamente è scattato l’allarme in Procura e il Comitato per l’ordine e la sicurezza si riunirà quest’oggi, su convocazione del prefetto Francesca Cannizzo. Intanto le misure di sicurezza attorno alla Principato sono state già rafforzate, così come una nota di allerta è stata diffusa alle scorte dei sostituti procuratori Paolo Guido e Marzia Sabella, anche loro impegnati nelle indagini su Messina Denaro e la fitta rete di fiancheggiatori.
Giusto a dicembre, l’operazione denominata “Eden” aveva portato dietro le sbarre una folta schiera di fedelissimi del superlatitante (tra i quali la sorella e un nipote), svelando una serie di collegamenti di cui il boss beneficiava indisturbato. Tuttavia, lo stesso sostituto procuratore Principato, presentando le fasi dell’operazione antimafia alla stampa, aveva ribadito che la pista investigativa aveva sì disarticolato la rete di complici e prestanome del boss, ma che ancora non era affatto esaurita. «Abbiamo fatto terra bruciata attorno a lui e ci auguriamo che tutto questo ci conduca al risultato che tutti noi auspichiamo da tempo, il suo arresto».
Che il muro d’omertà e protezione attorno a lui stia cominciando a cedere, se ne deve essere reso corto lo stesso Messina Denaro. Privato dei suoi complici più stretti, sarebbe pronto a condividere la volontà di Riina di ricominciare la “mattanza” in perfetto stile Cosa nostra. «A questi magistrati di Palermo gli dobbiamo far fare la fine del tonno, come a Falcone», confidava un paio di mesi fa (un incauto?, o pilotato?) Riina, dialogando con il boss della Sacra Corona Unita Alberto Lorusso, che con lui condivideva l’ora d’aria. Per non parlare delle dichiarazioni rilasciate agli inquirenti dall’imprenditore Lorenzo Cimarosa, cugino acquisito del boss di Castelvetrano, poco dopo l’arresto per avergli fatto da “bancomat”: «Siamo stanchi di subire arresti, sequestri e condanne per causa di Messina Denaro, che pensa solo a se stesso e a gestire la sua latitanza». E ancora: «All’inizio di dicembre, il genero di Riina ha cercato Messina Denaro», ma a metà del mese il latitante ha fatto sapere che «per adesso non può incontrarlo». Il genero a cui si riferisce Cimarosa, sarebbe Tony Ciavarello, da qualche tempo residente in Puglia insieme alla sua famiglia. Stessa terra d’origine dell’interlocutore di Riina durante l’ora d’aria e soprattutto stessa regione dove si è trasferita Maria Concetta Riina, orgogliosa primogenita del capo dei capi. Non ci si abitua mai alle “sorprendenti coincidenze” dei mafiosi.
A Palermo, così come a Trapani e a Caltanissetta, si respira un clima di tensione che sembra portarci indietro di oltre vent’anni. A quei primi anni novanta in cui la società civile scendeva in piazza a sostenere i magistrati e quanti lottano in prima linea contro la criminalità organizzata, mentre lo Stato rimaneva a guardare in un assordante e assurdo silenzio, salvo fare capolino di tanto in tanto, giusto quando serviva raccogliere consensi e applausi. Oggi come allora, aleggia lo spettro di nuove stragi e forte è la paura che la densa nube di fumo nero del tritolo possa ancora una volta oscurare il cielo della città. Al silenzio e alla paura, va aggiunta la rabbia: è trascorso più di un mese da quando, proprio da Palermo, il ministro dell’Interno Angelino Alfano riconosceva un possibile ritorno della strategia stragista e prometteva il bomb jammer per la scorta di Di Matteo, addirittura affermando che il dispositivo era stato già reso disponibile, salvo poi rimangiarsi la parola. «Bisogna prima assicurarsi che non sia nocivo per la salute», aveva detto. Noi siamo ancora qui ad aspettare.