Il nuovo colonialismo
Prima li aiuto, poi li affamo e poi li compro.
Se evocassimo la parola colonialismo, tutti penserebbero alla Compagnia delle Indie, ai governatori crudeli, alle loro feste con donne misteriose e maliose e avventurieri intriganti, alle piantagioni e ai latifondi lavorati dagli schiavi, alle miniere, alle truppe coloniali, alle navi colme di esseri umani in catene, alla formazione dei capitali che avrebbero favorito, insieme agli sviluppi della tecnica, le rivoluzioni industriali; insomma sequenze affidate alla Storia e alla letteratura.
E non ci accorgiamo che oggi il mondo è sconfinato terreno di conquista; non solo l’Africa delle guerre dimenticate, ma ad esempio la Grecia, dove le truppe che l’hanno invasa sono state le grandi banche d’affari che hanno causato il debito greco, insieme all’incapacità dei governi precedenti, talora anche mediante manovre illegittime e odiose; quindi è intervenuta a loro supporto la troika, parlando lingua teutonica; e in conclusione se ne giovano i nuovi colonizzatori, come la Franport, compagnia pubblica germanica che controlla l’aeroporto di Francoforte e sponsorizza la squadra di calcio tedesca dell’Eintracht, la quale adesso acquisisce la concessione quarantennale di 14 scali aeroportuali ellenici, quelli a maggior traffico passeggeri nelle località turistiche più note.
E così non ci avvediamo nemmeno che l’Italia, i suoi gioielli aziendali, i nomi simbolo della produzione italiana stanno venendo, brano a brano, pezzo a pezzo, venduti e acquistati da monopoli di sedi estere.
Il nuovo colonialismo ha nomi pure brutti: monopoli, multinazionali, cartelli. Entità cui non si possono rivolgere istanze o preghiere perché non hanno neanche precisi riferimenti fisici e geografici, non si sa a quali volti umani indirizzarsi, perché a decidere sono azioni, obbligazioni, titoli, robe virtuali e semplicemente sorde, onnivore e ottuse che stanno comprando tutto, luoghi e strutture produttive, palazzi, terreni, masse sterminate di persone globali cui impongono salari, rapporti di produzione, condizioni di lavoro e perfino di esistenza. I governanti, i politici non servono più gli imperatori e nemmeno più le tradizionali classi socio-economiche, nel cuore delle city del capitale mercantile, negli appartamenti esclusivi che costano centinaia di milioni di dollari si possono trovare manager delle holding come calciatori che magari non hanno vinto neanche nulla ma li vogliono così i cartelli che dirigono il gioco, intermediari e mafiosi, speculatori, grandi evasori e accanto le sedi delle banche e finanziarie off shore che riciclano corruzione e crimine. I governanti lavorano per i trust, che non parlano neanche in tv perché incapaci di articolare verbo, hanno i loro velinisti mercenari, e non hanno gambe, braccia, pancia o faccia, ma comprano il globo e tutto quello che vi è sopra.
Così l’azienda italiana fra non molto non esisterà più. L’Alitalia è spartita fra Air France e Etihad Airways degli Emirati arabi. La moda italiana è ormai quasi del tutto delle multinazionali francesi o giapponesi. Gucci, Bottega Veneta, Brioni, Pomellato, Sergio Rossi sono della francese Ppr. La concorrente francese Lvmh detiene Bulgari, Fendi, Emilio Pucci, Loro Piana. La giapponese Itochu Corporation ha acquistato Conbipel, Sergio Tacchini, Belfe e Lario, Mandarina Duck, Coccinelle, Safilo, Ferrè, Miss Sixty-Energie, Lumberjack. Gli emiri del Qatar posseggono Valentino Spa e Missoni vitivinicolo. Krizia e Poltrona Frau sono di proprietà della cinese Shenzen Marisfrolg: una parte dell’azienda Versace appartiene alla Blackstone, americana.
Pure l’industria alimentare è stata accaparrata. La Lactalis, francese, si è presa Parmalat, Galbani, Locatelli, Invernizzi. Unilever, multinazionale anglo-olandese ha acquisito Algida, Sorbetteria Ranieri, Riso Flora, Bertolli, Santa Rosa. Il colosso statunitense Kraft ha accumulato Fattorie Osella, Negroni, Simmenthal, Gruppo Fini, Splendid, Saiwa. Il Gruppo Nestlè, colosso svizzero, ha comprato Perugina, Vismara, Sasso, Pezzullo, Berni, Italgel con le decine di marchi che ne fanno parte, Alemagna, Sanpellegrino e i suoi marchi. Al Gruppo turco Toksoz è andato Pernigotti, alla spagnola Ebro Foods il Riso Scotti. Gancia è proprietà della russa Russki Standard, la storica gelateria Fassi a Roma è della coreana Haitai, un gruppo cinese di Hong Kong ha acquistato perfino un’azienda vitivinicola del Chianti.
Nel campo automobilistico la tedesca Wolkswagen si è presa Ducati, Lamborghini, mentre la Indesit, storica azienda di elettrodomestici è della statunitense Whirpool. E ci fermiamo qui, si potrebbe continuare, ma sarebbe sconfortante.
Una considerazione ancora però andrebbe fatta. Mentre all’Italia vengono tolti i propri gioielli che hanno fatto il nome del nostro Paese nel mondo e hanno dato lavoro a maestranze qualificate, i disorientati si agitano per altre faccende che nulla veramente ci sottraggono.
Sono strumenti perfetti per il nuovo colonialismo, inconsapevoli o no poco importa; mentre instupidiscono e si instupidiscono contro altre vittime di questo sistema globale, contro negozietti di kebab, gli oligarchi statunitensi, arabi, tedeschi, francesi, russi, cinesi si accaparrano senza alcuna opposizione i nostri beni, le nostre ricchezze e il nostro prestigio lasciandoci in brache di tela. Certi politici e i loro ripetenti sembrano clown al tempo della bufera, s’infilano le loro scritte “vedano, arrivedano, che hanno visto…” e distraggono gli spossessati dal servizio degli accaparratori.