Il coraggio della fragilità
La violenza sulle donne è una delle forme più diffuse di violazione dei diritti umani
Il 25 Novembre si è celebrata la giornata internazionale contro la violenza sulle donne . Un fenomeno , dalle dimensioni enormi, che vede la donna vittima reclusa di un reticolato culturale che le impedisce di esprimersi a pieno come persona, che la ferisce e la offende nella propria dignità, fino a mettere in pericolo anche l’esistenza stessa. E’ una delle forme più diffuse di violazione dei diritti umani.
I dati che conosciamo ci aiutano a comprendere la drammaticità della situazione attuale. Quello della violenza maschile sulle donne è un fenomeno presente in ogni area geografica e in ogni cultura. 1/3 delle donne nel mondo, nel corso della loro vita, sono state vittime di violenza (dati Oms) . La più comune è quella domestica. Solo in Italia dall’inizio del 2016 si sono avuti 116 femminicidi, 128 quelli del 2015.
Sorge spontanea la domanda : ma perché ancora oggi questo fenomeno è così diffuso, persino nei paesi democratici , dove la cultura dei diritti umani dovrebbe essere radicata ? L’esperienza mi porta a rispondere che tale diffusione è dovuta principalmente alla scarsa conoscenza del fenomeno e quindi all’incapacità di costruire percorsi di prevenzione e presa in carico delle situazioni “critiche” che si vivono all’interno del focolare domestico. Siamo ancora in ritardo e si agisce principalmente nell’emergenza e a posteriori, quando il male si è ormai manifestato. La società stessa si trova impreparata e indifferente , rispetto a questi fenomeni , che spesso si caratterizzano per l’omertà e la solitudine che li circonda.
Come religiosa condivido, da molti anni, la vita con donne e minori , in una casa di accoglienza della Toscana. Quelle che mi scorrono accanto sono storie di abbandono, violenza e sfruttamento , persecuzione. Raccontano il dolore e la sofferenza per una vita che nessuna di loro si era immaginata , ma raccontano anche il coraggio ritrovato nella complicità di un cammino di rinascita condiviso insieme ad altre donne che come loro si trovano ad affrontare le difficoltà della vita. Si ritrovano a camminare insieme: la donna fuggita da persecuzioni subite nel paese di origine con la donna scappata dal lavoro coatto su strada, la madre con figli fuggita da situazioni di violenza domestica con la donna abbandonata dal marito senza casa e lavoro. Spesso arrivano in comunità con una sola valigia, e li c’è tutta la loro vita, il loro dolore e il loro amore per i figli. Il dolore e l’amore, le uniche forze che ancora le spingono a lottare.
Lo scopo dell’accoglienza è di condividere con loro, un tratto di strada necessario per ritrovare un po di fiducia in se stesse , negli altri, e nella vita, per poi cercare insieme le possibilità per un successivo reinserimento nell’ ordinario , attraverso un lavoro, una casa e una rete di inclusione sociale. La comunità collabora da anni con i servizi del territorio , e con in centri antiviolenza della Toscana, che garantiscono alle donne un servizio di assistenza legale e supporto psicologico.
La vita in comunità scorre nel quotidiano in mezzo le grida gioiose dei piccoli, in questo luogo in cui è possibile ritrovare uno sguardo accogliente, un ascolto attento, un posto caldo ricco dell’affetto dei bambini e delle altre donne che qui vivono. Dove la sera, quando le ginocchia si fanno pesanti e il cuore gonfio per le preoccupazioni, per le mamme diventa il momento buono per raccontarsi e farsi coraggio a vicenda , ognuna con le proprie storie e le proprie sofferenze . E’ proprio grazie ai racconti e ai gesti di tenerezza reciproci che le ferite si trasformano in feritoie attraverso cui passa la flebile luce della speranza e si può riprendere forza per continuare il viaggio. Si perché nella comunità si sosta per poi ripartire verso un futuro migliore. In questi anni tante le storie recuperate, le ferite risanate, le donne che hanno trovato un loro percorso di autonomia e ora possono esprimere a pieno la loro dignità di donne , madri e cittadine attive di una comunità.
Certo, come dicevo all’inizio, tutto ciò non è sufficiente. Occorre allargare a macchia d’olio il tessuto di solidarietà intorno a tutte le situazioni di solitudine, stringendo le maglie della coesione sociale,in una complicità che aiuti ad alleviare il dolore e a sostenere il peso . E occorre anche vigilare sui percorsi di vita che abbiamo intorno a noi. Fare attenzione alla famiglia vicina di casa, chiedersi come poter stringere legami di amicizia e solidarietà, ritornare a scoprire la bellezza e la forza delle relazioni vere. La delega in bianco alle istituzioni competenti non è più sufficiente. I cittadini possono diventare cittadini attivi , attraverso una presenza nel territorio dove vivono che li porti ad essere attenti a ciò che accade intorno, ai fenomeni di ingiustizia , alle cose che potrebbero essere migliorate, e insieme collaborare affinché possa essere esercitata quella meravigliosa forma di prevenzione che è la solidarietà. Così potremmo avere , meno solitudine, meno omertà, meno sofferenza , e più condivisione, più coraggio, più complicità, più speranza.
Letizia Dei