Emergenza sanitaria: stop a Zingaretti sull’obbligo del vaccino antinfluenzale, ma lui rilancia e lo affida anche ai farmacisti. Insorge la Federazione dei medici, vediamo perchè.
Nel Lazio il vaccino antinfluenzale non è più obbligatorio, lo ha detto il Tar del Lazio, ma Nicola Zingaretti lo rilancia subito nell’ordinanza sull obbligo della mascherina anche in strada e ritenta così la carta dell’emergenza. Capovolto il principio dell’attrazione di sussidiarietà, inserisce i farmacisti nella somministrazione di 100 mila dosi. Insorge la Federazione Nazionale dei Medici che chiede subito lo stralcio per conflitto tra Enti pubblici.
L’insostenibile seduzione della corona e del potere
E’ proprio vero che il simbolo del covid 19 è la corona, che contrassegna il potere ed il nuovo e stramaledetto virus, a sua insaputa, ne possiede ben tre. Infatti, non è un caso che scatena tanta rissa tra i poteri ed i potenti di turno, agita conflitti geopolitici e fa spalancare bocche ingorde, ben aperte dinanzi alle ricche commesse, gestite sempre in emergenza ed in gran corsa. Un periodo questo in cui gli occhi dovrebbero essere ben aperti ed i controlli sulle procedure e soprattutto sui beni ed i servizi, altrettanto. Un potere quello rilasciato sulla scia del virus che, come sempre, si mostra seducente, ma anche persecutorio: che tramuta le vittime in carnefici e viceversa in una incredibile e surreale rincorsa senza fine. Accade così, ogni giorno, anche in Italia. Infatti, fin dall’inizio della pandemia lo scontro tra chi debba decidere sulle politiche anti virus, soprattutto sulle ingenti spese da fare o peggio sul cosa e dove acquistare, sui molti denari in prestito da chiedere, così come sulle restrizioni alle libertà personali da ordinare, sembra coinvolgere davvero tutti, nessuno escluso (dalla presidenza del consiglio, ai presidenti di regione, passando per i presidi delle scuole, fino all’amministratore del condominio).
Così, è toccato anche ad un pianeta minore, si fa per dire, quello della seconda regione italiana per peso nel pil nazionale, la Regione Lazio. Accusata di aver osato troppo e di dover fare un passo indietro. Qui, la giustizia è stata fatta dalla sez Ter quater del Tar Lazio, che ha visto i tre giudici, Riccardo Savoia, Massimo Santini e Francesca Ferrazzoli, siglare una sentenza per mettere a freno l’irresistibile richiamo del potere e della corona, da cui è stato attratto anche il presidente Nicola Zingaretti, che il 17 aprile scorso, “sentito per le vie brevi il comitato tecnico scientifico”, aveva emanato in gran fretta una ordinanza per obbligare, da settembre, tutti gli operatori sanitari e gli ultrasessantacinquenni al vaccino antinfluenzale. L’obiettivo dichiarato era stato quello di una migliore strategia di sanità pubblica: favorire la diagnosi differenziale dei contagiati da covid ed impedire di sovraccaricare le strutture sanitarie pubbliche. Non obbedire all’ordine del Presidente, avrebbe comportato, poi, sanzioni molto gravi, travolto diritti soggettivi importanti per gli operatori sanitari, come la sospensione dal lavoro, mentre, per i cittadini over 65, si intravvedeva l’odiosa interdizione dalla vita in comunità (centri anziani, socialità in luoghi chiusi). Ebbene, tutto questo da oggi non esisterà più, la corona è caduta, perché, grazie ai ricorsi ben motivati di tanti medici, infermieri, fisioterapisti e pensionati, si è capito chiaro e tondo che la competenza ed il potere per obbligare non c’ è ed anche il nuovo re, per restare nella metafora, è nudo.
Il conflitto Stato e regioni al tempo della pandemia
Così, l’abuso di competenza di Nicola Zingaretti è stato annullato e la storia che sembrerebbe finita qui, ha invece un appassionante sequel, vediamo quale. In tutti i ricorsi presentati, come quello dell’associazione Ampas, ad esempio, che ha visto la costituzione ad adiuvandum del Movimento Roosevelt, i consulenti scientifici degli avvocati Gaetani, Forassassi ed Oddino hanno sottolineato con ampie relazioni scientifiche, dubbi sulla efficacia dei vaccini e perfino sulla maggiore rischiosità, proprio in concomitanza della pandemia, pare perfino ipotizzato che, secondo alcuni studi internazionali depositati al Tar, il rischio sia quello di favorire il contagio da covid 19. Su questo punto, sollevato da più ricorrenti, il Tar del Lazio non si è pronunciato, pur avendo ascoltato a lungo le ragioni delle parti perché ha ritenuto che l’annullamento per incompetenza del potere del presidente di Regione, Nicola Zingaretti, assorbisse tutte le questioni. Altrettanto formale era stato il Tar di Catanzaro su di una fattispecie analoga lo scorso 15 settembre, contro una ordinanza simile emanata dalla presidente Ioele Santelli, ma riconoscendo, in un passaggio che il dibattito scientifico, a livello internazionale è ancora in corso, auspicando che la comunità scientifica si confronti davvero. Ed è questo il punto: la comunità scientifica in questo periodo è totalmente rappresentata da esponenti cooptati dal CTS nazionale, e non riesce a trovare né forza, né spazi per esprimersi, anche perché in Italia non ha la coesione e la rappresentanza adeguata per agire, e, per giungere a risultati metodologicamente scientifici occorrono denari e tempo. Una cosa però è certa: la medicina non può prevedere obblighi, a meno di rischi imminenti e gravissimi, che non offrano alternative, perché ogni persona è un sistema complesso ed ogni pianeta ha il suo ordine fisiologico, in cui entrare a colpi di protocolli omologanti è davvero poco clinico e assai poco scientifico nella scienza medica.
Perché la corsa ad una ordinanza così incauta?
Un’ azione forte, quella messa in campo dal presidente Nicola Zingaretti, che sia sul piano formale che sostanziale avrebbe prevaricato non poco i cittadini obbligati. E ci si chiede, ma tutto questo, perché? A cosa serviva davvero e come giustificare ad aprile, quando la pandemia stava già calando nel numero dei contagiati fare una previsione così nefasta per l’autunno e con uno strumento di certo poco utile al covid e poco utile sul piano organizzativo per complicare anche il lavoro degli operatori sanitari e la loro salute personale in un momento tanto difficile? La risposta potrebbe essere semplice: occorreva una base giuridica, un atto formale per poter procedere con l’imponente gara di appalto che ha visto la Regione Lazio, così richiedere ed impegnare milioni di euro per l’acquisto di 2,4 milioni di dosi vaccinali, procedendo con un centro unico di acquisto, insieme alla Calabria. Una spesa importante per le casse di una Regione, da anni messa a pane ed acqua per il debito milionario e commissariata sulla sanità per dodici anni, con un piano di rientro che implicava un controllo forte del governo sui lea regionali ed un accantonamento dell’Irpef regionale in un fondo (ricordiamo che soltanto il 22 luglio scorso il ministero dell’Economia ha dato il via libera definitivo alla conclusione del piano di rientro).
I tribunali regionali, è chiaro che tutelano le amministrazioni e non scendono nel merito di questioni che non attengano strettamente al bilanciamento del rispetto di alcune forme di diritto e di governo, ma non dire nulla neanche sulla carenza istruttoria è stata una attenzione politica molto forte. In pronunce di questo tipo il potere giudiziario non vuole creare conflitti, ma nella notte del 28 settembre la Presidenza del Consiglio ha inviato due note scritte in cui ha chiesto di rigettare il ricorso, anche se recepito, nella sentenza, come una richiesta “rituale”. L’incompetenza del potere della Regione ha portato in giudizio automaticamente il potere competente, ovvero la Presidenza del Consiglio, che non ha detto nulla, fino all’ultimo, se non depositare le sue memorie sobrie. Mentre, la comunicazione delle note scritte con la richiesta di rigetto di tutti i ricorsi, quando gli avvocati non hanno neanche il tempo di accorgersene, è insolito e scorretto.
E’ la stessa Presidenza del Consiglio che, invece, con la Sicilia, la Calabria e la Sardegna ha invece puntato i piedi per riappropriarsi dalle sue competenze? Se fosse andata in porto quella richiesta avrebbe significato una cosa incredibile, cioè che si contraddiceva platealmente la linea della Presidenza del Consiglio o che questo gesto rituale siglava di fatto un patto politico di desistenza o di altro?
Il passo troppo lungo del presidente Zingaretti. La Federazione dei medici insorge.
La storia del passo troppo lungo del presidente Nicola Zingaretti prosegue il 29 settembre scorso, quando, appena conosciutol’annullamento dell’obbligo vaccinale viene emanta, un’ altra ordinanza, quella sull’obbligo della mascherina all’aperto sempre, ma che aggiunge che per evitare assembramentti e dovendo gestire in tempo un piano vaccinale di rilevanti dimensioni (2,4 milioni di dosi vaccinali antinfluenzali acquistate) occorrerà prevedere una quota di 100 mila dosi vaccini oer le farmacie. L’ordinnaza si riferisce all’acquisto con oneri a carico del cittadino secondo un prezzo uniforme di partecipazione che verrà all uopo individuato e previo rimborso alla Regione del costo, ma non solo la vendita, ma anche l’organizzazione di un servizio di somministrazione ed inoculazione del vaccino con conseguente assunzione di responsabilità; in tal caso – aggiunge l’ordinnaza il prezzo verrà definito tenuto conto della maggiorazione generalmente corrisposta ai medici di medicina generale. Così il 2 ottobre in una lettera indirizzata al presidente Zingaretti, Filippo ANELLI, presidente della FNOMCEO, chiede immediatamente lo stralcio, per non creare conflitto tra enti pubblici e per non aver consultato l’istituzione dei medici, che è un organo ausiliario dello Stato.