E alcuni audaci, in tasca “l’Unità”
Avevo 12 anni. Era estate. Il luglio del 2000 per la precisione. Ero a Londra, per una vacanza studio. Lessi sul Corriere della Sera che l’Unità quel giorno avrebbe pubblicato il suo ultimo numero.
“Non so ben ridir com’io v’entrai”, direbbe Dante.
Ma vi entrai. Un moto di tristezza e di ricordi.
Perché l’Unità è il giornale che vedevo nella tasca della giacca di mio nonno, con l’intestazione in bella vista, perché di essere comunisti si andava fieri.
È il giornale di tante prime pagine storiche, quello delle feste l’estate, in cui i compagni lavorano col sudore sulla fronte e la passione nel cuore, le feste in cui qualche mamma e qualche papà si sono incontrati per la prima volta, uniti da quel sudore e da quella passione.
Doveva essere il giornale della sinistra, tutta.
Quello dove gli intellettuali arrivavano al popolo e dove la voce del popolo arrivava ai vertici.
È il giornale per cui tanti militanti negli anni si sono svegliati la mattina prestissimo per fare la diffusione porta a porta, arrivando a vendere un milione di copie.
E prima ancora è stato il giornale della Resistenza, ciclostilato di nascosto e diffuso in maniera clandestina.
Un giornale per il quale per difendere la libertà di stampa molti hanno rischiato di perdere la vita e molti la hanno persa davvero.
È quel giornale che ha aperto le menti e scaldato i cuori di molti. Sempre avanti in un Paese indietro. Durante la Resistenza, durante i decenni dei carrozzoni di Stato e delle inchieste insabbiate, l’Unità è stato il baluardo della Verità.
Ha raccontato con le parole ogni singolo sforzo con cui gli ultimi hanno provato ad essere i primi.
l’Unità è il giornale che per novant’anni ha dato voce agli operai e ai contadini, agli umili, ai subordinati, ai deboli.
l’Unità è il giornale che il 12 febbraio 1924, novant’anni fa, fondò Antonio Gramsci.
Tanti auguri, mia cara Unità.
Con il cuore aperto e il pugno chiuso.
Francesco Magni (per reporter diffuso)