Destinazione salute. La questione politica, 24 ore per salvare il ssn?
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er i bookmaker inglesi il Servizio Sanitario Nazionale chiuderà nel 2019, ma secondo l’economista Federico Spandonaro, presidente CREA sanità, noi abbiamo oltre sei mesi per fermare il declino del nostro sistema, ma occorre riformarlo. E’ una questione politica.
Potrebbe sembrare strano a dirsi ma perfino il ministero dell’Economia e della Finanza ritiene che per far dialogare la qualità dei servizi con l’equilibrio dei bilanci, occorre pensare alla sanità come ad un investimento economico per il Paese e spendere meglio e di più. Oggi, la spesa pubblica è del 6,9 del pil, spendiamo poco. Dal 2009 è invariata, costante, rispetto alla riduzione del pil. Non c’ è differenza anche con gli altri paesi Ocse e, tenendo presente la demografia, nel 2050 arriveremmo ai livelli di Francia e Germania, ma quello che non sappiamo è come varierà davvero la curva e le ipotesi sono fatte su di un solo indicatore, studiato senza altre variabili. Per l’Ocse (2015) i cittadini italiani nelle piccole città soffrono di meno che nelle grandi città, dunque la tenuta del Ssn c’è, ma non basta per assicurare il guadagno di salute avuto negli anni ’60, non più confermato da alcuni indicatori. Siamo tutti come pinguini sull’iceberg sanità, ma non riusciamo a capire bene quando si scioglierà? Questo il leit motiv lanciato dal forum Destinazione salute, organizzato dall’Accademia di medicina e dalla Federazione delle aziende sanitarie ed ospedaliere con la Regione Lazio. Una cosa è certa che la sanità ben amministrata oltre a produrre salute fa guadagnare il Paese da un punto di vista economico e su questo sembrano tutti d’accordo e non la si rappresenta più come un costo tout court. E’ un passo in avanti e non è poco.
Per Vasco Errani, ex governatore di lungo corso della Regione più smart d’Italia in materia di salute, l’Emilia Romagna, la sanità è quella che più di ogni altra cosa avrebbe addirittura contribuito alla riduzione della spesa pubblica, ma oggi il nostro sistema non è più così ben distribuito, allora non si può conservare il sistema. “L’universalismo tanto decantato è la prestazione adeguata, non significa tutto a tutti”, spiega Errani. E questo non è vero che non sia più sostenibile, ma occorre essere radicali. Occorre rimotivare il personale, non si può fare una riforma senza visione. Dobbiamo dirci dove dobbiamo andare. Nessuno ha il coraggio di parlare di privatizzazione, ma di sistema selettivo, di sanità integrativa un pò se ne sente parlare. Lo nega perfino la ministra Beatrice Lorenzin in un lungo intervento a metà pomeriggio, in cui sostiene che sarebbe “folle” privatizzare il nostro Ssn, non avrebbe senso, ma non va oltre e viene ripetuto più volte che non basta più la razionalizzazione della spesa, nè tantomeno i tagli che fanno collassare il sistema. Più tardi,, lo ricorda Errani con schiettezza, (ha avuto un ruolo decisivo nella co-stesura del patto per la salute del 2013), i ticket adotttati dal governo non gli sono proprio piaciuti. Avrebbero dovuto fare appropriatezza non cassa. Questo è un doppio danno, sottolinea Errani. La lista di attesa al cup crea una rottura tra cittadino e servizio sanitario nazionale, il privato è concorrenziale al ribasso,ma deve essere governato quanto il pubblico, ecco perché occorre rimotivare il sistema e questo riguarda le scelte di cittadinanza. Le idee di riforma ci sono e sono state messe nero su bianco, ma poi le cose non si stanno facendo affatto nè tantomeno con i tempi necessari, sembrerebbe dirci velatamente l’aria che tira tra le relazioni del forum. Accade, ad esempio, all’’Agenzia per il farmaco, l’Aifa che ha ancora in alto mare le piattaforme omogenee dei farmaci, necessarie per far partire le centrali uniche di acquisto, una novità del patto per la salute, ancora disattesa. La sanità è economia che produce ricchezza, non si può gestire a compartimenti stagno, ma va integrata con il welfare in un sistema che governi i costi del pubblico come del privato. “Senza la rete dei servizi, non servono i bonus, ma occorre una visione più lunga, non ragionieristica”. Conclude Errani.
La sanità assorbe il 5% della forza lavoro, oltre 630 mila persone, che stanno ormai diminuendo e il settore farmaceutico è il perno dell’economia europea, non solo nazionale. Occorre fare presto e rivedere i tre pilastri: il governo (governance), la gestione (il management) e l’operatività, mettendo a sistema e riformando tutte le istituzioni sanitarie, l’ Aifa, l’ Agenas e l’Istituto Superiore di Sanità. Sull’approviggionamento farmaceutico occorre valutare bene la cosidetta innovazione e capire a quale prezzo e per quale vantaggio documentato si debbano spendere soldi pubblici. E’ una questione etica non solo ragionieristica. Anche sulla ricerca clinica si deve fare di più. Sui grandi anziani (gli ottatenni) sarebbe utile stimolare la ricerca indipendente per non passare dai farmaci delle linee guida all’effetto placebo, secondo Vincenzo Panella, direttore regionale Salute della Regione Lazio perfino la valutazione dei piani di rientro è una modalità antica. Dunque è una questione politica, quella di scegliere la modalità di crociera oltre che la destinazione, non c’ è dubbio.
LA QUESTIONE POLITICO- COSTITUZIONALE
Nel mese di luglio si scalda decisamente l’aria per la sanità. Imminente l’ approvazione definitiva dei nuovi Lea da parte delle Regioni (attesi dal 2001), lo sbarco della sanità digitale, la stretta sulla riforma delle professioni sanitarie con la costellazione dei nuovi ordini professionali, poi il nodo del personale sanitario. Le nuove nomine a capo dell’Agenzia Nazionale Agenas del già assessore alla sanità della Regione Veneto, Luca Coletto, insomma riordino e riorganizzazione in vista del cambio di rotta costituzionale. Perché questo è quello che può davvero far cambiare le cose: la ricostruzione dei rapporti tra istituzioni, organi della governance, riordino della spesa farmaceutica, ripartendo dall’Aifa. Prima però, occorrerà la modifica al titolo V che decreterà la fine del federalismo sanitario. Le Regioni non hanno fatto le Regioni, non hanno appreso ed esercitato fino in fondo il loro ruolo, creando di fatto una Italia a tre velocità, con tanti sprechi e diseguali adempimenti dei livelli di assistenza ritenuti essenziali. Otto regioni sono in piano di rientro, da anni. La regia della sanità era stata impoverita con un ministero della Salute, svuotato di poteri e reso succube del ministero dell’Economia. Tutto da rifare, ormai. Così si torna a centralizzare e si invoca una cabina di regia politica nazionale sulla sanità, ministero salute e welfare forte. “Credo che il sistema vada resettato con la riforma del titolo V.” ha confermato l’onorevole Federico Gelli, il responsabile Sanità Nazionale del Pd Sparisce la materia concorrente, le Regioni avranno esclusività sulla programmazione e la gestione, anche se, lamenta Gelli, è contrario ad aver tolto alle Regioni, la prevenzione sul lavoro, ad esempio. “Per il resto l’impianto funzionerà, si augura”. Ma in casa Pd, sulla sanità il bello del confronto deve ancora venire, perché un’ assemblea vera e propria, ad hoc sulle riforme, deve essere organizzata. Così come l’altro attore-esautorato dalle decisioni sui Lea e sulle novità in materia di sanità ed istituzioni è stato proprio il parlamento.
Reclama un ruolo, una competenza o forse sarebbe meglio dire, almeno un riconoscimento istituzionale la senatrice Emilia Grazia De Biasi (Pd) che chiamata ad intervenire in chiusura dell’ampio e ricco forum organizzato a Roma, lo scorso 6 luglio dalla Accademia Nazionale di medicina e dalla Federazione Italiana Aziende sanitarie ed ospedaliere ( Fiaso), non ha apprezzato che il ministero della Salute e le Regioni si siano chiuse a guscio per definire i Lea e che abbiano trascurato sia i farmaci oncologici innovativi che la fibrosi cistica, ritenuta da alcune regioni, troppo onerosa e complessa, lamenta la pasionaria presidente della commissione Sanità del Senato.